2019-10-02
I vescovi difendono il crocifisso
solo per fare un dispetto a Salvini
Il ministro dell'Istruzione, Lorenzo Fioramonti, vorrebbe toglierlo dalle aule. Di fronte all'intemerata laicista (e banale) i vescovi alzano le barricate. Ma non per tutelare il fulcro della loro tradizione. Bensì per evitare di fare «un favore alla Lega».Matteo Salvini dovrebbe cominciare a emettere fattura. Ormai le sue idee e le sue posizioni politiche sono diventate una sorta di tappabuchi universale a uso e consumo (soprattutto) dei suoi avversari e nemici. Quando non sanno cosa dire o non hanno contenuti con cui riempire le loro scatole di fumo, tirano fuori dal cilindro il coniglio leghista. Qualsiasi proposta, per quanto assurda, diviene giustificabile nel momento in cui va «contro Salvini». I giallorossi di governo hanno sfruttato questo giochetto sin dal primo giorno di insediamento, anzi tutta la loro rappezzata alleanza è tenuta assieme con la colla antisovranista. Ora, a quanto pare, anche la Chiesa cattolica è decisa a seguire l'esempio. Come noto, il ministro Lorenzo Fioramonti - a cui forse non hanno spiegato che dovrebbe occuparsi di istruzione e non di cabaret - ha avuto da ridire sull'esposizione del crocifisso nelle aule. «A scuola non bisognerebbe esporre alcun simbolo religioso», ha detto. «La scuola deve rimanere laica. Ritengo che le scuole debbano permettere a tutte le culture di esprimersi. Non bisogna esporre un simbolo in particolare, eviterei l'accozzaglia, diventerebbe un mercato». La questione, in realtà, è già stata abbondantemente risolta dalla Corte costituzionale, dal Consiglio di Stato e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo cui l'immagine di Cristo non deve essere tolta dai muri. Ma il punto non è nemmeno questo. In fondo non stupisce che Fioramonti se ne esca - in mancanza di idee migliori - con banalità di questo tipo (che per altro lasciano piuttosto fredda anche una bella fetta del Movimento 5 stelle). Colpisce molto di più la reazione della Chiesa. Comunque la si pensi sul crocifisso a scuola, è evidente che per i cattolici dovrebbe trattarsi di una questione su cui transigere non si può. Quel corpo inchiodato a una croce è il fondamento della fede, della cultura e della tradizione cristiana. Il cattolicesimo, in fondo, più che una religione (cioè un insieme di regole), è una persona: Gesù. Levarlo di mezzo significa, nei fatti, cancellare il cattolicesimo. Dunque, dicevamo, è ragionevole che la Chiesa si opponga. E qui viene il bello. Più voci, in effetti, si sono fatte sentire contro Fioramonti. Ma per difendere il crocifisso hanno fatto ricorso ad argomentazioni che hanno dell'incredibile. Secondo Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, «togliere il crocifisso dalle aule delle nostre scuole darebbe solo manforte a Salvini. L'ex ministro dell'Interno, partendo da qui, farebbe una battaglia contro il governo che, oltre ad aumentare le tasse, lede anche la sensibilità di buona parte degli italiani».Chiaro, no? Il crocifisso va lasciato. Ma non perché rappresenta una parte fondamentale della cultura italica, non perché è il simbolo potente di una tradizione millenaria su cui il nostro Paese è stato in gran parte edificato. No: il crocifisso non va tolto perché, levandolo, si farebbe un favore a Salvini. Si potrebbe dire: vabbè, Pennisi è un caso a sé, la sua è una fissazione ideologica che non va presa troppo sul serio. Purtroppo, però, il nostro non è solo. Sull'argomento si è espressi in modo piuttosto deciso anche il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo. Quest'ultimo ha spiegato che il crocifisso ha «segnato l'essenza della nostra civiltà, della nostra cultura». Ma poi ha dovuto specificare che, se da una parte è sbagliato «attaccare le radici senza riflettere su ciò che siamo», dall'altra «ostentare i simboli senza avere una coerenza di vita è fuorviante». Insomma, ha dovuto ribadire la bacchettata a Salvini e ai suoi rosari persino nel momento in cui è il simbolo cristiano per eccellenza a finire sotto attacco. Il meglio, tuttavia, è arrivato da Avvenire. Il giornale dei vescovi ha dedicato all'uscita di Fioramonti soltanto un breve corsivo, che si concludeva così: «A riaprire certe “pratiche" si rischia soltanto di dare fiato proprio a coloro che quel simbolo di sconfinato amore e di pace vorrebbero usare, impropriamente, a guisa di randello». Eccola qua, di nuovo, la geniale argomentazione: Fioramonti sbaglia perché rischia di fare un favore ai sovranisti. Di fronte a frasi del genere, viene da pensare che, in certi ambienti ecclesiastici, l'odio per Salvini sia molto più forte dell'amore per Dio.