2023-10-15
Il capo dei terroristi palestinesi: «Bambini uccisi? Danni collaterali»
Osama Hamdan (Getty images)
Il leader di Hamas, al sicuro in Libano, sproloquia su «Repubblica» prima negando la strage del rave («Non ci sono prove, è una bugia israeliana») poi giustificando la mattanza di civili: «Morti necessari».«Danni collaterali». Hamas derubrica le stragi di civili e di bambini a casualità necessarie, come una percentuale di prodotti ortofrutticoli andata a male nel trasporto. Qualcosa che non dovrebbe suscitare riprovazione perché «è funzionale alla liberazione della nostra terra». Lo spiega con barba curata e voce notarile Osama Hamdan, uno dei principali leader del gruppo terrorista palestinese, dalla sede in Libano protetta dai cugini sciiti di Hezbollah, emanazione degli ayatollah iraniani. Il contabile della mattanza non prova alcun sentimento per le vittime. In un’intervista a La Repubblica ripete «noi puntiamo ai militari, quelli sono danni collaterali». E con la freddezza di un oberstumführer aggiunge: «Nessuna diplomazia, avanti con la lotta armata». Costi quel che costi, anche a quei bambini.È lo scenario del terrore. Contro l’indignazione dell’Occidente più sensibile c’è un negazionismo diffuso, lievemente più importante (e molto meno comico) di quello climatico. Per questo, chi va in piazza per la causa palestinese è per proprietà transitiva un potenziale fiancheggiatore del terrorismo islamico più feroce. Hamdan si fa beffe della realtà, recita il suo copione fino in fondo. E per la strage di giovani al rave di Re’im (ci sono video che mostrano le raffiche di kalashnikov anche nei bagni chimici) ha una spiegazione agghiacciante: «Non ci sono prove di morti alla festa di cui parla, è una storia raccontata solo dagli israeliani. Il nostro obiettivo era attaccare i militari, incluso il quartier generale della brigata di Gaza. I civili non erano un obiettivo, forse c’è stato qualche incidente». Zero aperture anche sui 130 ostaggi civili. «Non sono ostaggi ma prigionieri di guerra. Nessuno scambio fino a quando Israele non cessa gli attacchi. Non si negozia sotto le bombe». Il leader di Hamas al calduccio lontano dalle zone di operazione, a qualche migliaio di chilometri di distanza dai luoghi in cui si rischia la vita, incita alla guerra totale. «Ci sono chance reali che l’allargamento del conflitto avvenga. L’America vuole la guerra, vogliono finire Hamas per finire la causa palestinese, così la normalizzazione va avanti e Israele diventa il poliziotto del Medio Oriente. Questo voleva dire Benjamin Netanyahu con il suo “cambierò il Medio Oriente”, ma i palestinesi combatteranno». La sua è un’implicita spiegazione dei massacri: impedire la pace sancita dagli accordi di Abramo fra Tel Aviv e gli Emirati Arabi; senza guerra nei territori non avrebbe senso Hamas e non arriverebbero i miliardi da Iran e Qatar. Conclude il ragioniere dell’orrore nell’intervista a La Repubblica: «Smantelleremo lo Stato di Israele. L’Iran sostiene la causa palestinese da 40 anni e sta portando il suo supporto a un livello superiore».Essendo in un’enclave iraniana del Libano, Hamdan non ha problemi a dire il contrario di ciò che ha affermato per 30 anni, vale a dire che «non esiste alcuna prova del sostegno finanziario iraniano ad Hamas, si tratta di voci e speculazioni». Una frase ripetuta fino alla noia quando, negli anni ‘90, era il rappresentante del gruppo jihadista a Teheran e ne gestiva l’ufficio. La sua è la storia tipica di un carnefice da scrivania con cravatta Hermès, forgiato nell’ipocrisia diplomatica di quell’area e non nei campi paramilitari. Ha 58 anni ed è nato a Bureij, grande campo profughi nella striscia di Gaza, teatro da mezzo secolo di ribellioni e intifade. Ha studiato in Giordania, alla Yarmouk University di Irbid, ateneo fra i più radicalizzati, dove si teorizza la jihad senza condizioni. Si è laureato in chimica, è diventato attivista del movimento studentesco islamico e ha lavorato in Kuwait fino alla Guerra del Golfo. Entrato a far parte dei colletti bianchi di Hamas, si è fatto le ossa a Teheran prima di essere nominato «primo rappresentante in Libano», ruolo che ricopre ancora oggi dopo una parentesi al Cairo. Già una decina di anni fa nei summit multilaterali teorizzava la guerra totale a Israele, anche in presenza di rappresentanti dell’Unione Europea che lo consideravano un simpatico monello. In un’intervista al network libanese Al-Jadid Tv diceva: «Politicamente, la soluzione dei due Stati è finita. Stiamo entrando nella fase di liberazione del Palestina». E infiammando i più esagitati teorizzava il concetto di Ritorno. Un’anabasi araba, «il Ritorno dei rifugiati nella loro patria e il ritorno degli israeliani nei Paesi da cui provengono». Aggiungendo come provocazione: «Li cacceremo e non dovremo preoccuparci dove andranno».Per Osama Hamdan neppure la teoria degli effetti collaterali è nuova. Per rafforzare il concetto di vendetta, in un’altra intervista televisiva (questa volta al canale Al-Quds) affermò che «uccidere bambini è scolpito nella mentalità storica sionista ed ebraica. Ricordiamo tutti come gli ebrei massacravano i cristiani, per mescolare il loro sangue nei sacri matzo (il pane non lievitato, ndr). Questo non è frutto della fantasia o qualcosa tratto da un film. È un fatto riconosciuto dai loro stessi libri e da prove storiche». Secondo lui la pietà non può esistere. E se dei ragazzi innocenti vengono uccisi mentre ballano «dev’essere stato un incidente».
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