2022-02-13
I rispettosi, gli spaventati e i migliori: ecco il popolo della mascherina a oltranza
Malgrado non ci sia più l’obbligo di portare la protezione all’aperto, per strada uno su due la indossa ancora. Per molti il regime sanitario è diventato un’abitudine.Un gregge senza volto. È questa l’immunità che cercavamo quando ci siamo incamminati a tentoni dentro la bufera della pandemia? Nel primo weekend libero dall’obbligo delle mascherine all’aperto in assenza di assembramenti, il mondo che ci viene incontro passeggiando per le nostre città è formato da due distinti tipi umani: coloro che sorridono liberati da una restrizione di stampo cinese o sovietico. E coloro che - con maggiore prudenza, qualche volta diffidenza, più spesso paura - mettono un passo davanti all’altro guardinghi, come gatti in tangenziale, toccati nel profondo dalla lunga e pervasiva narrazione del terrore. Ancora non ci credono. La percentuale nella conta personale è simile, 50 e 50, uno su due. Vanno raccontati, fotografati come cavie inconsapevoli di un esperimento sociale di Stato. La comédie humaine è variopinta. Da una parte ci sono i Libertari tout court, finalmente padroni del proprio respiro, desiderosi di riappropriarsi della loro vita senza lo Stato fra i piedi. Ci sono i Giovani, che già credevano poco nell’imposizione dall’alto priva di riscontri scientifici (perfino alcuni virologi da salotto hanno sempre mostrato contrarietà nei confronti del bavaglio all’esterno): possono mostrarsi, ascoltarsi, tornare alla confortante banalità di un gesto inconsueto. Ci sono gli Insofferenti, che tenevano il bavaglio per puro rispetto delle regole. Ma nelle zone poco frequentate, da settimane, lasciavano penzolare il rettangolo di stoffa a lato dell’orecchio o se lo calavano sotto il mento come un alibi innocente.È più interessante passare al popolo mascherinato anche dopo la fine del divieto. Li riconosci dallo sguardo, che quasi sempre trasmette rimprovero per chi gira a bocca nuda: «Guardalo l’incosciente, alla larga». Cambiano marciapiede come due anni fa, faticano a convincersi che possa esistere un mondo senza Speranza, nel senso di Roberto. Sono tre le categorie. I Rispettosi dello Stato etico, per i quali un Dpcm è un testo dei Beatles (Imagine) con gli articoli al posto delle strofe e Mario Draghi è John Lennon. Nel marzo 2020 cantavano dai balconi, avrebbero accettato anche i banchi a rotelle e i gazebo a forma di primula. Poi ci sono gli Spaventati, travolti dai numeri e dalle profezie degli sciamani televisivi. Hanno ascoltato il sottosegretario Pierpaolo Sileri annunciare «i 30.000 morti di gennaio»; hanno interiorizzato le cupe profezie di Walter Ricciardi, i «ricordati, devi morire» di Massimo Galli. E non sono riusciti a cambiare canale mentre Fabrizio Pregliasco annunciava il potere salvifico dei lockdown. Come canarini che non escono dalla gabbia aperta per paura della vertigine della libertà, meritano rispetto. Massima solidarietà, con loro il tempo sarà galantuomo. Infine ci sono i Migliori per decreto, che esibiscono la mascherina come una coccarda dell’Anpi, sempre impegnati a marcare una malintesa superiorità morale. Sono simili a coloro che negli anni 70 giravano per le università con Il Manifesto nella tasca dell’eskimo per non rischiare le sprangate dei Katanga e per far sapere in giro che stavano dalla parte giusta (o comoda) della Storia. Proliferano nelle scuole e nelle redazioni, sono quelli che al minuto uno della libertà reintrodotta hanno scritto che le Ffp2 «già ci mancano». Coscienze inquiete a stipendio fisso, direbbe Carlo Emilio Gadda. Orfani del sistema. Costoro oggi sono felici (per carità lo siamo tutti) perché il governo, nel decreto Milleproroghe, sta cercando le risorse per il bonus psicologico. Imbarazzante dissociazione: prima inneggiavano al terrorismo sanitario, ora inneggiano alle cure contro le sue nefaste conseguenze. Il gregge senza volto non è una sensazione ma un’inconsapevole degenerazione. Lo ha spiegato con il consueto fervore il professor Giuseppe Zangrillo, che pure qualche esagerazione (in senso opposto) l’aveva sparata. «Oggi a Milano nove persone su dieci portano ancora la mascherina all’aperto e questo non è un segno di responsabilità ma di preoccupante psicosi collettiva, figlia dell’ignoranza, della disinformazione e dell’irrazionalità. La cosa fondamentale è comprendere che, o ripartiamo subito e realmente, oppure distruggiamo irreparabilmente una società fatta di persone, imprese, attività. Ma soprattutto di giovani che devono tornare a vivere sognando e potendo realizzare i loro progetti».Sotto le mascherine all’aperto c’è da ricostruire. Togliere un totem di pezza a chi ha imposto la libertà vigilata per interessi politici è solo il primo passo; ora vanno recuperati i codici del vivere di comunità e va diradata la cappa di diffidenza nei confronti dell’altro, che inevitabilmente comincia per strada. Un potenziale untore non può tornare ad essere un amico o semplicemente un essere umano in un quarto d’ora. Peraltro la campagna di odio sociale è tutt’altro che finita: dal 15 febbraio gli over 50 senza super green pass potranno recarsi a lavorare senza mascherina, ma rimarranno chiusi fuori. Segue emoji con la mano in faccia.