2023-05-19
I presunti censurati si esibiscono in vergognose censure
Mentre pure Natalia Aspesi allunga il corteo di piangina per l’addio di Fabio Fazio alla Rai fatto passare per epurazione, il «Domani» sputa sul premio giornalistico in memoria di Grilz: «C’era La Russa». E scatta lo stigma fascista.A breve a sinistra avranno terminato i capelli da strapparsi e le vesti da stracciarsi e non avranno più una lacrima da versare. Tutta la disperazione la stanno spargendo in questi giorni per l’amara sorte di Fabio Fazio, un povero conduttore che ha subito una ingiustizia inaudita: poiché il suo contratto è scaduto e nessuno dei suoi presunti amici progressisti glielo ha rinnovato, lascia la Rai per rifugiarsi a Discovery dove guadagnerà oltre mezzo milione in più di prima (costerà alla nuova emittente circa 10 milioni di euro in quattro anni). Davvero un triste destino, il suo. E dunque sono tutti lì a gridare all’epurazione, alla destra fascista, alla mordacchia. Persino la brillante Natalia Aspesi torna a farsi piacere Fazio e vaneggia di una «vendetta» della destra ai suoi danni, come se Sua Banalità Fabio dovesse occupare una poltrona pubblica in prima serata per diritto divino. La Aspesi, con gran gioia di Repubblica che la piazza in prima pagina, si strugge anche per le sorti di alcuni sovrintendenti a cui non verrà rinnovato il ben retribuito incarico (sempre pubblico, elargito dal ministero della Cultura o simili). Il discorso sull’elezione divina, ovviamente, vale anche per i boiardi della cultura: se rispondono ai giusti referenti devono godere di prebende e esercitare il potere senza che altri fiatino, poiché l’occupazione dei posti nel «settore cultura» spetta alla sinistra, quasi per natura, e guai a chi fiata. Insomma, semplicemente i nostri svergognati maestri non tollerano che qualcuno si serva dal piatto che ritengono essere di loro esclusiva proprietà. Tra una lacrima e l’altra, infatti, i presunti perseguitati hanno buon gioco a perseguitare. Non passa settimana senza che la compagnia di giro dei «moralmente superiori» individui un bersaglio da colpire più o meno direttamente. Da qualche giorno si stanno accanendo contro un mostro sacro come Alain De Benoist (uno che non è nemmeno possibile definire «di destra», pensate un po’), colpevole di essere stato invitato al salone del libro di Torino. Prima un notista della Stampa che quasi sicuramente non ha mai sfogliato un libro di De Benoist lo ha definito putiniano, ieri Guido Caldiron sul Manifesto ha rincarato la dose sempre in salsa russa. Ai loro occhi è inaccettabile che l’autorevole Alain parli: andrebbe censurato proprio come, sempre al salone, fu censurata qualche anno fa la casa editrice Altaforte. Guai a profanare la fiera che i liberal trattano come fosse un feudo. Non a caso mesi fa, quando si trattò di sceglierne il nuovo direttore, l’allineatissimo Paolo Giordano rifiutò all’ultimo il posto perché avevano osato proporgli di prendersi un paio di consiglieri «di destra» (Marcello Veneziani, Pietrangelo Buttafuoco o gente di quel livello, tanto per capirsi). A ben vedere, tuttavia, non c’è nemmeno bisogno d’essere troppo di destra per finire nel mirino. La settimana passata è toccato a Carlo Rovelli subire una quasi censura da parte di un altro dei maneggioni che circolano nell’ambiente cultural-politico-editoriale, cioè Riccardo Franco Levi, uno che al salone di Torino è sempre stato molto riverito. Levi, come noto, ha prima invitato Rovelli a rappresentare l’Italia alla Buchmesse di Francoforte poi, di sua iniziativa, gli ha ritirato l’invito per evitare che quello parlasse di guerra o lo mettesse in imbarazzo con il governo. Per fortuna, il caso pare rientrato, anche perché qualcuno da sinistra si è espresso in difesa di Rovelli. Vale però la pena di notare la finezza: lo stimato fisico è stato difeso perché considerato una sorta di «compagno che sbaglia» ma soprattutto perché si riteneva che a chiederne l’interdizione fosse stato il governo fascista. L’hanno raccontata così, come una scorrettezza meloniana, e invece aveva il colore esattamente opposto: i progressisti sono così feroci da pugnalarsi fra ex amici. È sufficiente la minima deviazione dalla linea ufficiale per attirarsi insulti e disprezzo. Ne sa qualcosa la scrittrice Daniela Ranieri, firma del Fatto, che per un articolo giudicato (sai che novità) filorusso è stata insultata via social da fior di colleghi che evidentemente si ritengono, a torto, migliori di lei.Infine, l’ultimo e forse più vomitevole episodio, particolarmente odioso perché riguarda la memoria di un defunto. Il quotidiano Domani, presto rilanciato online, se l’è presa ieri con il premio giornalistico fresco di fondazione intitolato al grande Almerigo Grilz. Motivo? Al lancio dell’evento ha partecipato, tra gli altri, Ignazio La Russa. E nell’organizzazione c’è un ex portavoce di Forza nuova uscito anni fa dal movimento. Tanto basta agli omuncoli per coprire di fango una manifestazione non connotata politicamente che premierà i reporter di guerra, gente che in teoria rischia la pelle. Tanto basta a certi poveracci per sporcare il ricordo di Grilz, maestro di giornalismo morto sul campo in Mozambico nel 1987 (oggi avrebbe 70 anni, fate due conti). Grilz ha lavorato per le maggiori emittenti tv del mondo, ha pubblicato su riviste autorevoli di mezzo pianeta. Ma va il presidente del Senato a celebrarlo ed ecco che lo dipingono come uno sporco fascista perché nel 1977 fu consigliere comunale del Msi a Trieste. Così funziona: se non sei del giro, ti colpiscono. E pure dei morti non hanno pietà, forse perché invidiosi: i trapassati sono comunque più vitali del culturame «illuminato».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)