
Il fondatore del M5s rispolvera la vecchia teoria della lotta generazionale. Visto che i sessantenni non sostengono più i grillini, allora il guru pensa bene di escluderli. La scusa è banale: difendono le pensioni e non pensano al futuro dei figli.Uno vale uno, ma a patto che abbia meno di 60 anni, altrimenti non vale niente. Lo dice Beppe Grillo, il quale ha proposto di togliere il diritto di voto ai pensionati. Siccome il futuro è dei giovani, non si capisce perché si debba lasciarlo nelle mani dei vecchi. «Raggiunta una certa età», ha spiegato il guru pentastellato in un post sulla sua piattaforma web, «i cittadini saranno meno preoccupati del futuro sociale, politico ed economico, rispetto alle generazioni più giovani, e molto meno propensi a sopportare le conseguenze a lungo termine delle decisioni politiche. In tal caso i loro voti dovrebbero essere eliminati del tutto». Chiaro il concetto? Dopo il taglio delle pensioni, i sessantenni dovrebbero veder tagliato anche il loro diritto di decidere da chi farsi governare. Perché - come ha fatto chiaramente capire il fondatore dei 5 stelle - non essendo disposti a sopportare gli interventi sul loro assegno previdenziale, si metterebbero di traverso, giudicando ingiusto qualsiasi provvedimento che li penalizzi. Dunque, togliamogli il voto. E già che ci siamo - visto che il comico parla di futuro sociale, economico e politico - leviamogli pure le cure, in quanto avanzando con gli anni l'incidenza sui costi sanitari aumenta. Già, e alla fine, perché non privarli anche di altri servizi? In fondo non ne hanno bisogno, perché il loro futuro è limitato.Beppe Grillo la butta lì, ma si capisce che la proposta è seria, così come lo era la decrescita felice, cioè l'idea di un Paese messo a dieta, ma obbligato a esultare nel mito di un'economia fondata sulla diminuzione dei bisogni. Tanto per capirci, un Paese più povero, ma che liberando le risorse occupate dai pensionati potrebbe vivere alla grande anche con la decrescita. Il disegno punta alla rottamazione degli anziani, ridotti a persone incapaci di intendere e volere, e dunque di votare. Sessantenni egoisti, concentrati sulle proprie esigenze e non su quelle delle giovani generazioni. E perciò, per carenza di visione, ma soprattutto di disponibilità a farsi massacrare da uno Stato rapace, vanno privati del diritto di voto e trasformati in cittadini di serie B. E la democrazia dal basso, la democrazia digitale che salta l'intermediazione dei partiti e rende o dovrebbe rendere tutti cittadini padroni di loro stessi, con uguali diritti e capacità di far valere le proprie ragioni? È una democrazia, ma vincolata al limite di età. Così come i giovani non possono votare prima dei 18 anni (ma adesso la maggioranza giallorossa, nella speranza di guadagnare voti, intende abbassare l'età a 16) gli adulti non potranno votare dopo i sessanta. Vecchi trattati come rimbambiti, da tassare, ma non da far votare. Perché la nuova democrazia prevede che si voti come piace alle élite, anzi agli elevati, come li chiama Grillo. E all'élite grillina che - in base alle ultime analisi sui flussi elettorali - ha visto calare fra i propri sostenitori le persone di una certa età, ovviamente non piace come votano gli anziani. Dunque, via il diritto di voto ai sessantenni, manco fossero mafiosi interdetti dai pubblici uffici. E l'attesa di vita che fa spostare anno dopo anno l'età del pensionamento un po' più in là? Quella rimane. Si diventa vecchi sul luogo di lavoro, faticando giorno e notte e arrivando alla soglia dei 70 anni, senza potersi ritirare prima perché la cosa non piace a Matteo Renzi. Ma quando c'è da rinnovare il governo, da decidere il presidente della Regione o anche solo il sindaco, quando si tratta di stabilire se a Palazzo Chigi ci deve stare «Giuseppi» Conte, Paolo Gentiloni, Giorgia Meloni o Matteo Salvini, nisba. L'anziano resta a casa, il giovane, che magari non ha ancora un lavoro perché non ha trovato quello adeguato alle sue aspettative, invece va a votare.La proposta politica del guru a 5 stelle non stupisce, perché fa il paio con la possibilità di dare la scheda elettorale ai sedicenni e perfino con il reddito di cittadinanza, con cui si offre ai giovani un sussidio che rischia di superare l'assegno previdenziale, ovvero premia chi non lavora e punisce chi ha lavorato. Provate a mettervi nei panni di un sessantenne che ha versato 40 anni di contributi e ha pagato tutte le tasse, ha raggiunto una pensione decente e ora si sente dare del pensionato d'oro, a cui devono far pagare di più le prestazioni e a cui è necessario togliere le detrazioni fiscali oltre che il diritto di voto «perché non è propenso a sopportare le conseguenze a lungo termine delle decisioni politiche». Voi che fareste? Io so bene che farei: organizzerei una rivolta. Sarò anche una pantera grigia, come pensa lui, ma a Grillo e compagni farei vedere le stelle. Ma quelle vere, non quelle di cartone che lui ha inventato.
La Commissione rivede al ribasso la crescita dell’Italia nel 2025 (+0,4%) e gli «strilloni» anti-governo ghignano: «Fanalino». Ma le stime dei burocrati sono spesso fallaci. E il nostro Pil pro capite supera quelli della Germania e della Francia del debito.
Tutti a parlare del fatto che le previsioni di crescita per il 2025 relegano l’Italia a fanalino di coda. Ah, le previsioni arrivano dalla Commissione europea. Che quattro volte l’anno ci offre le sue analisi sul passato e le sue previsioni per il futuro. A febbraio sono pubblicate le previsioni invernali. A maggio quelle di primavera. A settembre quelle estive. E a novembre quelle di autunno. E sono queste quelle che molti quotidiani italiani hanno commentato ieri. Il faro era puntato sulla bassa crescita. Che è una realtà indiscutibile.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa, in un colloquio con il Corriere della Sera confessa: «Era una chiacchierata in libertà tra amici» e convinto di «non aver mai fatto dichiarazioni fuori posto, mai esibizioni di protagonismo» aggiunge di aver «letto e riletto Belpietro, senza capire in cosa consisterebbe il complotto».
Ansa
Slitta a oggi il termine per le modifiche alla manovra. Spunta bonus per le scuole private.
Rush finale per gli emendamenti alla manovra. È slittato a oggi il termine per la presentazione dei cosiddetti segnalati. Significa che le 5.742 proposte di modifica del testo iniziale, saranno ridotte a 414. Sempre oggi si svolgerà un pre Consiglio dei ministri in vista del cdm di domani. Uno dei punti all’ordine del giorno è lo schema di disegno di legge che prevede l’istituzione del Registro unico nazionale dei dispositivi medici impiantabili. Sono poi previsti due schemi di decreto legislativo. Il primo su Terzo settore, crisi d’impresa, sport e Iva. Il secondo, introduce integrazioni per Irpef e Ires, tocca la fiscalità internazionale, le imposte sulle successioni e donazioni e di registro, con modifiche anche allo Statuto dei diritti del contribuente e ai testi unici delle sanzioni tributarie. Si affronterà poi l’adeguamento alla normativa europea. Vengono esaminati in via definitiva i decreti relativi alle sanzioni per chi viola gli obblighi sui carburanti sostenibili per l’aviazione (Saf).
Lucio Malan (Ansa)
La mossa di Lucio Malan ricorda che 275 miliardi di riserve sono del Paese. Anche se non ne può disporre per le regole europee.
Ci sono diversi modi per mandare frecciatine nemmeno tanto trasversali verso la Banca d’Italia, l’Eurosistema e la Ue. Uno è quello di voler stabilire in modo inequivocabile chi è il proprietario delle riserve auree detenute e gestite dalle stanze di Palazzo Koch.
Dopo un tentativo simile durante il governo Conte uno, a opera del senatore leghista Claudio Borghi, venerdì è stato il senatore Lucio Malan, capogruppo di Fdi al Senato, con altri quattro senatori del suo partito, ad apporre la propria firma su un lapidario emendamento alla legge di Bilancio 2026: «Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano».





