2023-11-15
Costi più alti e dazi: le grandi aziende abbandonano la Cina per Vietnam e India
Xi Jinping (Getty Images)
Marzio Morgante (Ata): «Pechino fa i conti con spese di manodopera maggiori e la paura di altri lockdown». Oggi il vertice Biden-Xi.Oggi Joe Biden e Xi Jinping si confronteranno a margine del vertice Apec in una blindatissima San Francisco. «Siamo contrari a definire la relazione Cina-Usa in termini di concorrenza», ha spiegato la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning. Invece per la Casa Bianca si tratta proprio di «gestire responsabilmente la concorrenza». «Non stiamo cercando di separarci dalla Cina. Quello che stiamo cercando di fare è cambiare le relazioni in meglio», ha aggiunto ieri Joe Biden. L’obiettivo infatti è la riduzione del rischio, senza scivolare nella separazione delle due economie (decoupling). Il leader cinese ha bisogno poi di rassicurare gli investitori stranieri per allontanare i fantasmi della crisi finanziaria, tanto che durante il summit incontrerà in una serata di gala da 40.000 dollari a tavolo centinaia di dirigenti di aziende americane che fanno affari in Oriente. Pechino deve infatti fare i conti con la delocalizzazione. Che coinvolge multinazionali e colossi americani ma anche imprenditori del Vecchio Continente. «Stiamo assistendo al trasferimento della produzione di molte aziende italiane ed europee dalla Cina ad altri Paesi asiatici come il Vietnam o la Thailandia, non solo per risparmiare sui costi, ma anche per le politiche Usa che limitano il made in China. È in corso una sorta di reshoring della parte europea verso Est Europa e Italia, ma soprattutto in Asia. Penso che probabilmente tra due-tre anni una parte importante delle imprese potrebbe riallocare la produzione fuori dalla Cina». Marzio Morgante ci parla da Hong Kong, dove lavora come managing partner di Asian tax advisory, società di consulenza specializzata nell’assistenza a imprese e investitori privati che guardano all’Asia per l’espansione della propria attività su base globale. Lo studio è stato fondato nel 2014 proprio a Hong Kong, cui è seguita nel 2021 la sede di Singapore, ed è composto da professionisti che seguono società europee e italiane per la strutturazione e implementazione della propria attività in Asia, fornendo assistenza fiscale e societaria, inclusi servizi di contabilità e di amministrazione.I motivi della riallocazione sono diversi. «Chi produce - spiega Morgante alla Verità - non si vuol trovare di nuovo bloccato con altri lockdown come quello del Covid che, vi ricordo, in Cina è durato molto più a lungo che in Italia. Poi c’è stato il problema logistico con i prezzi dei container che sono schizzati rendendo inutili i risparmi. Il costo della manodopera in Cina è salito di molto negli ultimi anni. Infine, c’è il fatto che alcuni distributori americani e anche europei stanno facendo pressioni alle aziende italiane per spostare la produzione fuori dalla Cina. Già con la trade war di Donald Trump era arrivato il primo scossone per i dazi imposti. Ma ora le pressioni si stanno facendo sempre più stringenti, lasciando sempre meno spazio di manovra alle imprese. Questo lo vediamo in settori come gli arredi, l’occhialeria, l’orologeria, l’informatica, ma la tendenza si sta spostando anche su altri comparti». Va inoltre considerato che la Cina sta facendo una trasformazione regolamentare che rende gli investimenti esteri più onerosi. E poi c’è il problema della privacy sui dati delle aziende straniere. «Nel settore della moda e del design le aziende ci dicono anche che il mercato cinese stenta a riprendersi sul fronte dei consumi». Quanto al possibile impatto dello stop al memorandum sulla via della Seta, da parte delle aziende italiane «non c’erano grandi aspettative quindi non ci sono grosse delusioni», sottolinea Morgante.La migrazione produttiva non si dirige solo verso il Vietnam e la Thailandia, ma anche in India. Seguendo le orme di un colosso come Apple che da mesi ha intensificato gli sforzi per portare fuori dalla Cina il più possibile della produzione dei suoi dispositivi spingendo appunto su India e Vietnam, che erano già nella supply chain di Cupertino. «Si tratta di riallocare. Quando i player si spostano, come Apple, creano nuovi ecosistemi e piattaforme indipendenti e si crea una filiera spostandola. Lo vediamo anche in Messico con la riallocazione di una parte di produzione fatta in Usa», sottolinea il responsabile dello studio Ata.Lato Hanoi, il Paese ha però poco meno di 100 milioni di abitanti, meno di un decimo della popolazione cinese. Può gestire siti di produzione da 60.000 persone, non hub come Zhengzhou che arrivano a centinaia di migliaia. L’India, dal canto suo, ha una popolazione grande quasi quanto quella cinese, ma non ha lo stesso livello di coordinamento governativo. I Paesi emergenti dove spostare la produzione sono pronti ad accoglierla? «Sul fronte della logistica, la Thailandia è la Cina di dieci anni fa, il Vietnam è la Cina di venti anni fa. La Cina dal punto di vista infrastrutturale ha fatto miracoli. Spostare tutta la produzione dalla Cina alla Thailandia è impossibile perché non ci sono le persone, manca la capacità produttiva. Sarà interessante l’India che però mostra forti criticità sul lato delle infrastrutture», risponde il manager. «In Vietnam ci sono due modi di fare produzione per le aziende straniere: il primo direttamente tramite aziende di proprietà e questo solitamente garantisce un controllo maggiore sulla qualità, ma anche costi maggiori di produzione. Il secondo indirettamente tramite fabbriche possedute da locali, ma non solo, che fanno produzione per conto terzi. In quest’ultimo caso il controllo della qualità è più difficile, ma i costi possono essere più competitivi».All’interno del Far East cresce, intanto, Singapore. Raffaella Piccoli e Daniela Radrizzani, partner dello studio, operano proprio da lì e ci spiegano che questa città-stato è sempre più rilevante come hub alternativo a Hong Kong soprattutto a seguito della pandemia. Ha dimostrato di essere più neutra e indipendente, garantendo una maggiore trasparenza normativa e un sistema più efficiente per gli investimenti diretti esteri.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.