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Ansa
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(IStock)
In commissione Affari Sociali si discute di transizioni di genere pericolose e non risolutive per gli adolescenti. Il nodo delle terapie farmacologiche e dei loro effetti collaterali spesso non reversibili. Medici ed esperti lanciano l'allarme.
Forse con la cultura gender si è andati troppo oltre, e sarebbe il caso di fermarsi a riflettere sulle conseguenze del cosiddetto «metodo affermativo» per le transizioni di genere, che intervengono su soggetti di età sempre più bassa. Alla Camera, in commissione Affari Sociali, l’occasione per discutere su questa tema così delicato l’ha data una risoluzione della sinistra, presentata dalla capogruppo di Avs Luana Zanella, che se approvata impegnerebbe il Servizio Sanitario Nazionale ad approntare delle linee guida ad hoc per la «medicina di genere». Il fatto è che i protocolli reclamati dai firmatari del documento, si rifanno a quelli in vigore, ad esempio, nei paesi scandinavi, dove l’approccio «affermativo» sta di fatto assecondando la transizione di genere in tempi brevissimi per un folto numero di adolescenti, senza un approfondimento psicologico adeguato ma agendo semplicemente sulla base dell’affermazione del ragazzo o della ragazza di non sentirsi identificarsi più nel sesso di nascita (la cosiddetta «disforia»). Adolescenti, dunque, che si ritrovano oggetto di terapie a base di bloccanti ormonali non esenti da effetti collaterali complicati, ma soprattutto difficilmente reversibili, e sono sempre più numerosi i casi di ragazzi caduti in depressione per non aver risolto con la transizione la propria condizione di disagio.
Sono problemi che i medici, gli psicologi e gli esperti ascoltati in commissione in settimana hanno fatto presente, chiedendo dunque prudenza a chi vorrebbe facilitare anche in Italia le procedure per la transizione degli adolescenti e darle in carico alla sanità pubblica. Per lo psicologo e psicoterapeuta Emiliano Lambiase, Coordinatore dell'Istituto di Terapia Cognitivo Interpersonale e della Comunità Terapeutica Sisifo per le dipendenze comportamentali, quando un adolescente dice di non riconoscersi nel suo sesso, non dovrebbe essere subito avviato «un percorso affermativo di transizione, bensì un percorso di psicoterapia con il quale aiutare il paziente a trovare la strada migliore per sé, che potrebbe coincidere o meno coi desideri del momento, e che potrebbe variare nel corso del tempo». «Nei Paesi occidentali», ha aggiunto, «si è diffuso il cosiddetto 'modello affermativo' ma al contempo sono emerse criticità che hanno spinto molte nazioni a impiegare linee guida più caute e attente, che pongono maggiore attenzione ai minori ma rimettono anche la psicoterapia al centro del processo valutativo e di intervento. Decisioni ritenute all'apparenza semplici ed esplorative, come la transizione sociale o l'uso di farmaci bloccanti della pubertà, vanno assunte molto attentamente». Vi sono in Europa dei protocolli che prevedono l’uso dei bloccanti ormonali subito dopo l'inizio della pubertà, «Impedendo», ha concluso Lambiase, «la sperimentazione di quegli elementi costituitivi che potrebbero favorire la desistenza, col rischio di incrementare il percorso sulla transizione. Bisognerebbe considerare la psicoterapia come la prima e preferenziale opzione terapeutica, mentre l'eventuale assunzione di bloccanti della pubertà dovrebbe essere vincolata a un precedente periodo di psicoterapia senza risultati positivi, all'inserimento in protocolli di ricerca controllati e legati a criteri di selezione, e protratta per un periodo di tempo». Proprio sull’uso di questi farmaci si è concentrata l’audizione di Marco Del Giudice, professore di psicologia presso il Dipartimento di scienze della vita dell'Università di Trieste: «Le ricerche sul modello affermativo sono deboli e viziate dai tabù, mentre ci sono anche dubbi su rischi ed effetti della transizione, da un lato, e l'uso dei bloccanti della pubertà dall'altro. Le future linee guide dovrebbero incoraggiare l'apertura di altre modalità di trattamento, e restrizioni all'applicazione di alcune metodologie soprattutto nel caso di pazienti minorenni, e in particolare quelli che prevedono la soppressione della pubertà". “Tutti i presupposti del modello affermativo», ha aggiunto, «Sarebbero basati su evidenze deboli e incerte, e spesso contraddittorie. Negli ultimi anni è diventato sempre più difficile però fare ricerca per via di tabù ideologici. Oltre il 90% degli adolescenti che iniziano l'uso dei bloccanti, passano al trattamento con gli ormoni cross-sex: in pratica non è vero che la soppressione della pubertà è una pausa di riflessione, bensì è il primo passo decisivo verso la transizione medica».
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