
L'ex senatore pd ha usato l'Ufficio antidiscriminazioni come un pulpito per attaccare il governo su Ong, migranti e temi arcobaleno. Ora che il suo mandato è giunto al termine, bisogna cogliere l'occasione per cambiare registro. Altrimenti meglio chiudere l'ente.Luigi Manconi merita senz'altro il titolo di maggior esperto italiano di piagnisteo. Dopo aver passato un anno a sostenere i piagnistei delle minoranze perseguitate (vere e presunte), ora piagnucola per sé stesso. «Un anno all'ufficio antirazzismo, ma dal governo ostilità e indifferenza», grida disperato dalle pagine di Repubblica. La notizia è che sabato 23 marzo si è concluso il suo mandato a capo dell'Unar, ovvero l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che dipende dal dipartimento Pari oppotunità della presidenza del Consiglio. «Non mi aspettavo, certo, riconoscimenti da un governo che evidentemente mi considera un avversario politico», spiega Manconi. A suo dire, gli esponenti dell'attuale esecutivo sono colpevoli di aver disertato le «moltissime iniziative importanti» organizzate dall'Unar sotto il suo comando. Persino il sottosegretario Vincenzo Spadafora avrebbe ignorato il fondamentale ufficio. Il governo tutto, prosegue l'offesissimo Manconi, «è stato indifferente o insofferente». Terribile, nevvero? A questo punto, però, un paio di precisazioni s'impongono. Luigi Manconi è stato nominato al vertice dell'Unar da Paolo Gentiloni. Si è trattato a tutti gli effetti di un contentino: il Pd ha deciso di non ricandidare Manconi (già presidente della Commissione diritti umani del Senato) e ha dovuto trovargli un posticino comodo. Anche solo per questo, il nostro dovrebbe avere il buon gusto di non lagnarsi: invece di lasciarlo nell'oblìo, un incarico glielo hanno affidato. Ma non è tutto. Manconi sostiene che il governo lo abbia trattato come un «avversario politico». Beh, le cose non stanno esattamente così. La realtà è che è stato il caro Luigi, sin dall'inizio, ad agire come un nemico del governo. Non c'è stata occasione di cui non abbia approfittato per fare politica, con la scusa che per l'incarico non percepiva soldi. E per tutta la durata del suo mandato non ha fatto altro che occuparsi di argomenti cari ai progressisti. Vogliamo fare qualche esempio? A settembre del 2018, l'Unar ha sponsorizzato il progetto «Liber@ di essere», ovvero una serie di corsi di formazione rivolti a operatori sanitari, assistenti sociali, psicologi e professionisti vari della Regione Lazio. Tutta la baracca è stata finanziata con 75.000 euro, allo scopo di «rafforzare le conoscenze e competenze teorico-pratiche sull'omosessualità e la transessualità». Insomma, l'Unar ha messo in piedi un bel corso di formazione Lgbt. E questa è solo una delle tante iniziative con i colori dell'arcobaleno che l'ufficio antidiscriminazioni ha patrocinato. Potremmo citare anche il famoso «tavolo Lgbt»: ha riunito varie associazioni «per i diritti gay» che si sono quasi esclusivamente dedicate a lamentarsi del governo. Del resto, come dicevamo, Manconi si è occupato quasi esclusivamente di sparare contro la compagine gialloblù. Soprattutto, ovviamente, riguardo alle questioni migratorie. A gennaio, per dire, ha presenziato a una conferenza stampa dal titolo «Sea watch, Open arms e la politica europea nel Mediterraneo», una specie di enorme spottone a favore delle Ong e contro l'esecutivo colpevole di opporsi ai taxisti del mare. Nello stesso mese, ha promosso assieme allo scrittore Sandro Veronesi l'appello «Non siamo pesci», in cui si spiegava che «le navi umanitarie, le poche rimaste, salvano l'onore di un'Europa che dà il peggio di sé e si mostra incapace persino di provare vergogna». Di nuovo, una bella campagna a favore delle Ong e uno sberleffo al governo. Tra un'intemerata contro Salvini e l'altra, però, Manconi ha trovato il tempo per difendere Edoardo Albinati, lo scrittore che si augurò la morte di un bambino sulla nave Aquarius. Sul Corriere della Sera, il capo dell'Unar pubblicò una sterminata articolessa per spiegare che Albinati aveva rivendicato «una sorta di diritto di rappresaglia», opponendosi al «cinismo di governo». Ed è proprio sul giornale di via Solferino che l'instancabile Luigi ha dato il meglio di sé. Verso la fine di febbraio (quando era ancora al vertice dell'Unar, dunque), ha scritto un articolo con un titolo possente: «La morale identitaria disumanizza i migranti». La tesi del pezzo era molto semplice: chiunque critichi l'accoglienza indiscriminata è un individuo crudele che gode se i migranti muoiono. Non solo: chi non vuole l'invasione si pone fuori dai «valori condivisi». Di fronte a persone del genere, concludeva Manconi, è «difficilissimo [...] non essere tentati da un senso di superiorità morale». Capito? Se non volete il servizio navetta dal Nordafrica siete moralmente inferiori, «fuori dai valori condivisi». razzisti, brutta gente da disprezzare. Ecco, questo è stato il tenore degli interventi di Manconi in qualità di presidente dell'Unar. Dal primo all'ultimo giorno di servizio. Se fosse onesto, dovrebbe ringraziare il governo per la sua «indifferenza», visto che lo hanno lasciato pontificare in libertà in ogni circostanza... Attenti, però, perché non è finita. Su Repubblica, Manconi lancia l'allarme. «Temo che si rischi davvero di andare verso l'azzeramento dell'Unar», dichiara. Se accadesse, non sarebbe certo un male. Sarebbe molto peggio se l'Unar diventasse (come si augura Manconi e come auspica la Comissione Ue) «un organismo autonomo dal governo». Ci manca solo l'ennesimo ente gestito dall'Europa al fine di osteggiare «sovranisti e populisti»... A dirla tutta, non c'è nemmeno bisogno che l'Unar chiuda. Basterebbe che a guidarla fosse una persona meno imbevuta di ideologia. Combattere le discriminazioni e il razzismo è giusto. Ma usarli per attaccare i nemici politici è molto triste. Nell'ultimo anno l'Unar non ha fatto altro: è il momento di cambiare una volta per tutte.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





