2024-01-03
Emergency fa lo spot al suo taxi del mare a colpi di stereotipi e balle sugli sbarchi
Il video della Ong fa leva sul dramma dei naufragi per spingere l’immigrazione di massa, vera causa di vittime e sfruttamento.La trovata è di sicuro impatto, e non solo perché a realizzarla ci ha pensato una delle più importanti agenzie pubblicitarie in circolazione, cioè Ogilvy (produzione affidata da The Family). La nuova campagna promozionale di Emergency funziona soprattutto perché asseconda alcuni dei luoghi comuni più diffusi e triti a proposito dell’immigrazione di massa. Si basa cioè sull’equivalenza tra migranti scesi dai barconi e naufraghi. Come si legge nel comunicato ufficiale della campagna «il film Uomo in mare è una storia distopica che avviene in una qualsiasi spiaggia italiana. Un bagnino sta controllando l’orizzonte, quando all’improvviso avvista un bagnante che sta affogando».Lo spot prosegue seguendo la più semplice argomentazione da salotto tv. Suona più o meno così: se qualcuno è in mare e annega bisogna salvarlo trascurando tutto il resto, ergo chi si oppone all’immigrazione di massa è una persona senza cuore che lascerebbe morire un poveraccio che si trovi in difficoltà tra i flutti. Nel filmato di Emergency si vede appunto il bagnino pronto a gettarsi in acqua per recuperare il bagnante nei guai. Ma gli altri avventori della spiaggia «lo bloccano con alcuni luoghi comuni su migrazioni e accoglienza: “Chissà da dove arriva quello lì”, “Ma poi dove lo mettiamo? Qui non ce lo voglio”, “Finché sanno che c’è qualcuno che li salva, continueranno a fare il bagno”. E ancora: “Quelli non hanno voglia di fare niente” e “Dovrebbero starsene a casa loro”». Il risultato è scontato: «Circondato da un gruppo di persone che gli impediscono di muoversi, il bagnino non riesce a buttarsi in acqua. L’uomo in mare annega di fronte all’indifferenza collettiva, creando una potente metafora che racconta l’indifferenza che circonda queste tragedie quotidianamente». Davvero commovente. «Questa campagna», dicono da Emergency, «rappresenta un augurio per il nuovo anno e una pratica messa in atto da Emergency che, oltre al lavoro nelle zone di guerra e crisi, con la sua nave Life Support si occupa di soccorrere le persone migranti che attraversano il Mediterraneo centrale, una delle rotte migratorie più pericolose al mondo». L’organizzazione umanitaria coglie l’occasione per rilanciare un appello ai politici: «Servono canali di accesso legali e sicuri e una missione di soccorso coordinata a livello europeo, ma intanto non possiamo restare a guardare».Intendiamoci: Emergency ha tutto il diritto di spargere in giro i contenuti che desidera, finché non viola leggi o non compie qualche crimine. La sua campagna, tuttavia, pone due tipi di problemi. Il primo è di carattere squisitamente politico: gestire i confini, e quindi anche i salvataggi, spetta alle autorità competenti, non a Ong che agiscono in barba alle decisioni dei governi e fregandosene dei rapporti fra nazioni. La questione migratoria, in questo senso, riguarda la sovranità nazionale e di conseguenza la democrazia: non possono essere quattro attivisti a decidere come si debba agire nel Mediterraneo. Ma c’è anche un secondo problema, più profondo e più consistente: un tema in qualche modo culturale. Al progressista medio, con molta probabilità, lo spot di Emergency piacerà tantissimo: lo rafforzerà nelle sue convinzioni, lo spingerà a odiare ancora di più i cattivoni di destra che «vogliono far morire la gente in mare». Può persino darsi, però, che anche qualche altro spettatore più sensibile si faccia colpire dalle immagini e si convinca della bontà della causa. Ecco perché sarebbe il caso di demolire una volta per tutte qualche stereotipo. Per prima cosa, già oggi i migranti vengono quotidianamente recuperati in mare dalle autorità italiane, le quali dunque non lasciano morire la gente, anzi fanno di tutto per salvarla. E se qualcuno muore, la colpa è dei trafficanti e degli scafisti, non della Guardia costiera o di altri. Secondo: i migranti non sono naufraghi in senso stretto ma persone deliberatamente abbandonate alla deriva in attesa che qualcuno le soccorra. E anche quando le loro imbarcazioni fanno effettivamente naufragio, ciò avviene proprio per via dei mezzi inadeguati utilizzati dai responsabili del traffico. Pensare che la soluzione al problema sia mandare in giro più navi possibile per tirare a bordo quanti più stranieri è per lo meno ingenuo. Significa, nei fatti, fingere di non vedere che la migrazione di massa è un sistema di sfruttamento appositamente costruito e alimentato e non un «fenomeno epocale» dipendente da dinamiche storiche o ambientali. La logica delle Ong, pure qualora salvi qualche vita umana (e sono comunque poche), anche indirettamente alimenta il meccanismo migratorio, poiché ne compie la fase centrale trascurando tutte le altre. A tutto ciò vanno aggiunti i pelosi interessi che animano tanti (troppi) presunti salvatori e che La Verità non ha trascurato di raccontare in questi anni, fino all’ultima triste vicenda riguardante Luca Casarini e soci spirituali. Se si volesse essere onesti, dunque, bisognerebbe girare ben altro film. O, più semplicemente, si potrebbe aggiungere qualche scena allo spot di Emergency. Ad esempio, si potrebbe mostrare un bel salvataggio in mare e poi un bagnino soddisfatto che dice agli amici: «Fortuna che c’è chi annega, altrimenti dovrei lavorare al bar». E chissà, magari lo stesso bagnino potrebbe essere mostrato a fine turno, mentre torna nella bella casetta che divide con la moglie. Immaginate la videocamera che lo segue mentre rientra, l’occhio sapiente del regista ce lo mostra mentre guarda con amore la donne a le sussurra: «Stasera vestiti bene cara, fai valere il tuo diritto all’eleganza». E stop.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.