2020-12-01
È un mondo alla rovescia: i laici difendono la fede più della Chiesa cattolica
(Maria Moratti/Getty Images)
I ministri pretendono di anticipare la nascita di Cristo, la Ue vuole vietare i canti alla messa di Natale. A opporsi sono i tribunali, mentre i capi religiosi tentennano. Ormai la frase «lo dico da cattolico» in bocca ai governanti suona come «ho amici ebrei» sulle labbra dell'antisemita. Prima di cancellare la messa natalizia di mezzanotte, decretando che Gesù Cristo può ben nascere due ore prima, il ministro Francesco Boccia ha premesso di parlare «da cattolico». Lo stesso ha fatto intuire il ministro Elena Bonetti. Persino Giuseppe Conte si è raccontato a suo tempo come cattolico e devoto a Padre Pio, eppure non esita a imporre il coprifuoco pure al Bambinello tramite decreto: «Parola di dpcm. Rendiamo grazie al dpcm». Non stupisce, dunque, che la più robusta difesa della cristianità possa arrivare da chi cattolico non lo è affatto, o addirittura dai massimi custodi dell'ortodossia laica. Nel mondo alla rovescia, a baluardo della fede si erge il Consiglio di Stato francese, il più alto tribunale amministrativo della nazione che ha fatto della laïcité un valore fondante, ribadito ultimamente nella sanguinosa battaglia a protezione delle vignette su Maometto di Charlie Hebdo. Al tribunale si era rivolta la Conferenza episcopale di Francia onde contestare le limitazioni imposte dal governo alle messe. Regole che apparivano assurde a occhio nudo: massimo 30 persone in chiesa, non di più, perfino in cattedrali mastodontiche come Saint-Sulpice a Parigi, 6.170 metri quadrati. Gli stessi limiti non valevano per gli esercizi commerciali: se a Saint-Sulpice avere 30 fedeli significa concedere qualcosa come 205 metri quadrati a persona, in un centro commerciale è sufficiente che i metri quadrati a disposizione siano 8. Per quale ragione dovrebbe essere più sicuro frequentare una cattedrale del consumo che una cattedrale vera? In virtù di tali patenti assurdità, il Consiglio di Stato ha stabilito che «il primo ministro deve modificare, entro tre giorni le disposizioni, adottando misure strettamente proporzionate per vigilare sui raduni e le riunioni negli edifici di culto». Fatto ancora più rilevante, i giudici hanno spiegato che la limitazione imposta dal governo è «non necessaria, sproporzionata e discriminatoria» e costituisce «una violazione grave e manifestamente illegale» della libertà di culto. Ecco il nodo: non c'è bisogno d'essere credenti e nemmeno cattolici per difendere la libertà di culto. La sua tutela è un punto cardine di tutte le dottrine liberali. Anzi si può dire che il liberalismo nasca in Europa, dopo le guerre di religione, proprio per garantire la libertà di culto e, di conseguenza, la pace. Imposizioni arbitrarie come il limite di 30 persone in Francia o, in Italia, lo spostamento della messa di mezzanotte, sono dunque illiberali, prima ancora che offensive nei confronti dei cristiani. Non per nulla, anche la Corte suprema americana ha levato i paletti alle celebrazioni piantati da Andrew Cuomo, governatore di New York. Che la liberal democrazia preveda la tutela della libertà di culto è un'ovvietà, e non dovrebbe esserci nemmeno bisogno di ribadire il concetto. A quanto pare, però, oggi tocca battersi per l'ovvio, perché forse così ovvio non è. Tanto che addirittura l'Unione Europea - un'istituzione che ama presentarsi come paladina dei «diritti umani» - non si fa scrupoli a proporre restrizioni allucinanti, degne di uno Stato socialista da film distopico. Mercoledì i geni di Bruxelles - che finora se ne sono bellamente fregati della gestione della pandemia, lasciandoci in balia del caso su tutto, a partire dall'immigrazione - pubblicheranno il «piano per il Natale» chiamato Remain safe strategy. Si tratta di linee guida non vincolanti - «raccomandazioni», come ormai si usa dire - ma estremamente emblematiche della mentalità dominante. Tra i vari consigli non mancano quelli relativi allo svolgimento delle messe. Meglio evitarle, fanno capire gli eurocapoccioni, e se proprio non si può sopperire con i collegamenti Internet, occorre indossare la mascherina in chiesa, mantenere i distanziamenti e tenere il più possibile isolate le famiglie. Ma soprattutto, come ha anticipato ieri Repubblica, bisogna «proibire i canti, considerati capaci di aumentare la diffusione del Covid». Lungi da noi lo struggimento per certe esuberanti schitarrate vista altare, ma l'assurdità della pretesa non può lasciare indifferenti. Se si accettasse la logica dell'Ue, allora si dovrebbero vietare i canti in ogni spazio chiuso: multare chi fischietta al supermercato, manganellare chi canticchia in metropolitana mentre ascolta musica con lo smartphone e via di questo passo. In quanti si scandalizzerebbero se Bruxelles dicesse che, dopo i baci e gli abbracci, sono proibite anche le canzoni? Si sprecherebbero i commenti indignati e le interviste ai cantanti grondanti indignazione. Se però la restrizione è limitata alle celebrazioni religiose, soprattutto quelle cristiane, non si notano grandi esplosioni di sconcerto. Nemmeno - fatto davvero sorprendente - da parte delle gerarchie ecclesiastiche. Se per un laico le limitazioni al culto sono semplicemente antidemocratiche, per il cristiano sono molto di peggio. La chiesa come «spazio sacro», notava Romano Guardini, è «proprietà di Dio, espressione della sua inaccessibilità, immagine della sua santità e richiamo alla sua potenza». Come si può accettare che in questo luogo divino dettino legge politici e mercanti i quali, invece di esser scacciati dal tempio, ne diventano padroni?Con rarissime eccezioni, i vescovi italiani si sono precipitati a ribadire la sottomissione al governo. Avvenire, il quotidiano della Cei, domenica si è trasformato nell'avvocato difensore del ministro Boccia: gli ha concesso ampio spazio affinché potesse giustificarsi, sminuendo il contenuto offensivo delle frasi su Gesù (chissà se avrebbe mai osato mostrare la stessa leggerezza nei riguardi della fede islamica). Di più: gli ha perfino permesso di fare la vittima. Il ministro infatti non si è scusato per ciò che ha pronunciato: si è «rammaricato» perché le sue parole sono state rese pubbliche. Avvenire, del resto, è lo stesso giornale che apre alla mordacchia arcobaleno (il ddl Zan) e spiega che «a scuola si può parlare di identità di genere». È il volto di una Chiesa che rifiuta di contrastare il pensiero unico, e talvolta lo asseconda. Il problema, in fondo, non è che non si canti in chiesa. Ma che la Chiesa scelga ogni volta di tacere e acconsentire.
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