2022-04-23
Draghi non vuole i tennisti russi. Pasticcio in vista agli Internazionali
Il governo vorrebbe convincere gli organizzatori del torneo romano a praticare un ostracismo simile a quello di Wimbledon. Ma poi a rischiare sanzioni saremmo noi. E tutti i big del passato bocciano l’idea.«Servono sacrifici strutturali». Quaranta a quindici. «Dobbiamo dare un segnale di autorevolezza». Doppio fallo. C’era una volta la politica del ping pong, inclusiva e decisiva per avvicinare la Cina al mondo occidentale. Oggi va di moda quella del tennis, un giochino ad excludendum che piace un mondo a Mario Draghi, a naso più avvezzo allo sport da divano che a quello giocato. La strategia della racchetta è riassumibile nel diktat: fuori i russi dal torneo. E allora prego, batti lei. C’è qualcosa di fantozziano nella scelta del premier di mostrare i muscoli e indurre gli organizzatori degli Internazionali d’Italia a tagliare la partecipazione degli atleti russi e bielorussi perché «potenzialmente conniventi con il regime aggressore di Vladimir Putin». La proprietà transitiva attorno ai gesti bianchi è del tutto arbitraria, come se un sindaco bandisse un direttore d’orchestra o un’università vietasse un corso su Fedor Dostoevskij, ma in questa delirante primavera bellica sembra che ogni bizzarria abbia diritto di cittadinanza. Anche la rincorsa di Draghi a farsi percepire più russofobo di Boris Johnson. Quest’ultimo ha indotto l’All England Lawn Tennis Club a escludere da Wimbledon il numero due del mondo Daniil Medvedev e il numero otto Andrej Rublev, spinto anche dalla famiglia reale che mai vorrebbe vedere un suo membro consegnare il trofeo a un russo. E allora facciamolo anche a Roma. Così Palazzo Chigi sta spingendo forte la pallina in questa direzione ed è possibile che il 2 maggio il torneo più importante d’Italia parta monco. Non tanto per l’assenza di Medvedev, che è infortunato di suo e potrebbe rientrare solo al Roland Garros a Parigi, ma per quella degli altri tennisti russi iscritti. Dal capo del governo non trapela nulla, se non l’intenzione di dare il segnale di intransigenza, forte anche della decisione del Cio (il comitato olimpico internazionale) di «mettere al bando gli atleti russi e bielorussi raccomandando alle federazioni di non invitarli». La formula darebbe piena legittimità alla decisione ma espone il tennis italiano a un rischio concreto, quello di vedersi arrivare una risposta fra i denti alla velocità di quelle di Roger Federer. Mentre a organizzare Wimbledon è un club privato, gli altri tornei si sviluppano sotto il cappello di Atp e Wta, le due associazioni che riuniscono i giocatori professionisti e hanno un impegno contrattuale con le federazioni, nel nostro caso la Federtennis. Atp e Wta già si sono espresse dichiarando che «escludere gli atleti russi non è solo ingiusto, deludente e discriminatorio, ma segna un pericoloso precedente».Una posizione non trattabile contro la quale Draghi sta provando comunque a manovrare, forte del consenso dell’amministrazione americana, sua unica referente in questa stagione da falco. La rigidità potrebbe innescare reazioni incontrollate come pesanti sanzioni (i sanzionatori sanzionati è uno scenario gaddiano), più il rischio di vedere Roma esclusa dalla mappa dei tornei Master 1000, i più prestigiosi del mondo. E quello non secondario di mettere a repentaglio le Atp Finals di Torino fra i migliori tennisti del mondo a novembre. Forse per questo il presidente federale Angelo Biraghi ripiegherebbe volentieri sul folclore: «Far suonare prima della finale l’inno italiano e l’inno ucraino». Forse per questo il numero uno del Coni, Giovanni Malagò, preferisce alla democristiana tenere i piedi in tutte le scarpe da tennis: «Il bando sarebbe in linea con quanto deciso dal Cio per gli altri sport individuali, ma non dobbiamo dimenticare che gli atleti russi sono vittime della situazione, almeno quelli che non sono usciti con dichiarazioni a favore della guerra».L’Italia che nel 1976 andò serenamente a giocare (e a vincere) la Coppa Davis a Santiago del Cile, in casa di Augusto Pinochet, adesso non sopporta le voleès di rovescio dei russi. Ma sono proprio i campioni di quell’epoca complicata e divisiva a ribellarsi al premier ancora prima della decisione. Adriano Panatta, parlando di Wimbledon: «La trovo una stron… Medvedev e Rublev hanno già dissentito da quanto sta facendo il loro Paese. Quella di non farli giocare è una decisione ipocrita». Paolo Bertolucci: «Sarebbe una decisione profondamente ingiusta. Sento dire che i tennisti russi e bielorussi dovrebbero fare dichiarazioni contro Putin; mi sembra assurdo quando il giocatore ha la madre o la sorella in Russia. Questi ragazzi non c’entrano niente con la guerra». Nicola Pietrangeli: «Mi auguro che a Roma non facciano come gli inglesi, la politica non dovremmo mai entrare nello sport». È curioso notare come lo stesso Club degli Intransigenti con Novak Djokovic al tempo del braccio di ferro sul vaccino oggi veda all’orizzonte, limpida, una discriminazione. Bentornati sulla terra (rossa). A questo proposito è proprio il numero uno del mondo a sottolineare il paradosso in atto: «Non posso sostenere la decisione di Wimbledon, penso sia pazzesca. Quando la politica interferisce con lo sport il risultato non è mai buono. Io sono un figlio della guerra (in Jugoslavia, ndr), per questo la condannerò sempre». Quanto a lui, potrebbe giocare anche se non vaccinato. A conferma di come il tema fosse mediaticamente isterico, non è più all’ordine del giorno neppure delle virostar. Chiodo scaccia chiodo. Game, set and match.