2020-10-31
Dottori in lacrime e cronache di trincea. È una piaga anche la retorica del Covid
I media cavalcano l'onda emotiva: «I medici sono stremati». Vero, ma è anche il loro lavoro. Così si alimenta solo l'ansia. «Il raffreddore senza tosse è un sintomo?». Sembra la domanda più pressante del popolo spaventato al medico di famiglia, nuovo eroe della seconda ondata, sostituto naturale nell'immaginario giornalistico del medico da terapia intensiva che aveva retto l'urto del virus in marzo. Eroi, trincea, assalto. Anche il lessico aiuta, e se la media nazionale (compresi gli asintomatici) è di 0,6 contagiati su 100, la percezione dei cittadini travolti dalla narrazione impressionista è quella di una Stalingrado sotto il sibilo degli Stukas. Tutti a tremare di paura. Lockdown.Non ne possiamo più. Il Covid è un agente patogeno infido e ancora letale. Ma a renderlo un flagello sociale in Italia è il combinato disposto d'una raffigurazione irrazionale (quando non paranoica) che si poggia su due pilastri: la spettacolarizzazione dell'operato di alcuni medici e l'inguaribile vanità hemingwaiana di buona parte dei media. Ci stiamo ricascando, l'autoreferenzialità di due categorie produce una miscela esplosiva che azzera la ragione. In questa fase servirebbero numeri, grafici e una sobrietà tacitiana. Invece non c'è giornale, sito, programma tv che dopo aver dedicato qualche riga o secondo a banalizzare i dati aggiungendo i contagiati di oggi a quelli di ieri, non si concentri su interminabili commenti da Halloween. E le storie, come da testatina acconcia. Sembra di sentirli, i capiredattori: «Portami delle storie». Roba da Walter Matthau in Prima Pagina. Tutte micidiali, effetto Omaha Beach. Eroi, trincea, assalto e stragi nascoste.Non ne possiamo più di storie sceneggiate, indirizzate a spiegare a un lettore perché dovrebbe fiondarsi sotto il letto. Catastrofismo puro di professionisti del percepito, lo stesso percepito che stigmatizzano quando riguarda i furti in casa o il numero dei clandestini. Ecco l'intervista all'infermiera Brunilde con il mal di schiena alla fine del turno, il ritratto del portantino Barella che racconta lo sconcerto nell'accompagnare il nonno intubato, la parola al dottor Stetoscopio che si rifiuta di seguire il protocollo perché secondo lui sarebbe sbagliato. I 50.000 colleghi silenziosi che lo applicano, ovviamente fanno statistica ma non fanno notizia. Avete notato che si lamentano tutti? La dottoressa che si sente abbandonata in studio, la collega che è costretta a pagare gli straordinari alla segretaria per fare i vaccini antinfluenzali, il medico di base che la sera è così sfinito da addormentarsi sul divano. Ma è il suo lavoro, e il colpo di sonno non può essere il segno eroico di una pandemia da affrontare con i nervi saldi. Non ne possiamo più perché ai cittadini arriva un mondo ansiogeno sull'orlo del baratro. Uno Strano ma Vero da rotocalco anni Sessanta, come se l'informazione al tempo del Covid si fosse fermata alla Domenica del Corriere con disegni di Walter Molino. Sulla razionalità della scienza vincono gli eccessi dell'aneddoto. E se i virologi litigano come cronisti sportivi senza un Aldo Biscardi a mitigarne la frustrazione, al centro del sabba mediatico dominano «quelli che fanno opinione». Un giornalista noto come Massimo Giannini contrae il virus, entra in reparto e che fa? Grida in pigiama che in ospedale «la gente soffre e rischia di morire». Applausi. Alla buon'ora. Non ne possiamo più perché è la seconda volta. E proprio a noi che pretendiamo di dominare l'informazione, la prima ondata non ha insegnato niente. Servirebbe sobrietà, avanti con la benzina. In questa epidemia eravamo entrati male, cavalcando l'onda di chi voleva criminalizzare il virus in Lombardia per scopi politici. Poi abbiamo puntato il dito sugli italiani irresponsabili; indimenticabile la sgangherata invettiva contro i bergamaschi di Michele Serra, che ieri senza fare un plissè (neanche fosse suo cugino prete) ha scritto: «La seconda ondata si frange contro l'Italia intera e noi nordici possiamo dire ai fratelli centromeridionali che l'urto è tremendo ma lo si può reggere». Infine abbiamo capito che il governo stava messo peggio di tutti e da allora le parole «ineluttabilità» e «responsabilità» hanno cominciato a circolare negli articoli. Schiene dritte. Eravamo entrati male e ne stiamo uscendo peggio, vittime di riflessi condizionati che portano dritti alla strategia del terrore. Prima dei politici, la gestione della pandemia boccia i virologi da pollaio tv e i giornalisti privi di equilibrio e distacco. Alla fine sono più efficaci 10 secondi di Zlatan Ibrahimovic che cento appelli di Galli e Burioni o cento articolesse da pseudo Pulitzer. Non ne possiamo più perché le parole sono malleabili per gli opinionisti, non per i cittadini. Senza scomodare Nanni Moretti, diceva Ambrose Bierce: «Il reporter è un animale culturalmente perverso che non ha sempre bisogno di mentire perché la lingua che adopera ha già mentito per lui». Eroi, trincea, assalto, salviamo la pelle. Il sistema mediatico è già all'8 settembre. Non vede l'ora di raccontare una partita a tennis sui tetti di Finale Ligure o ascoltare una Fender nella piazza Navona deserta. Anche qui non illudiamoci, nessun merito. La vita vera è sempre più forte delle finte emozioni.
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