2021-04-30
Dossier segreti e lotte per il potere. Il Csm dei veleni del dopo Davigo
Piercamillo Davigo (Ansa)
Indagata l'ex segretaria del giudice in pensione: è accusata di aver spedito ai giornali carte riservate. Nei verbali di interrogatorio di Piero Amara i nomi di magistrati, professionisti, investigatori e politiciNel libro nero della magistratura potrebbe presto entrare un nuovo capitolo intitolato «Il corvo del Csm». Un paio di settimane fa tre toghe romane di primo piano, il procuratore Michele Prestipino, l'aggiunto Paolo Ielo e la pm Rosalia Affinito, si sono presentate nella sede del parlamentino dei giudici, per coordinare la perquisizione della stanza di un'impiegata, M. C., accusata di aver inviato plichi con materiale segretato a due testate giornalistiche, Il Fatto quotidiano e La Repubblica. Ma la signora non è una funzionaria qualsiasi: sino a ottobre è stata la segretaria di Piercamillo Davigo e adesso si occupa di un altro consigliere, il laico in quota 5 stelle, Fulvio Gigliotti. La donna è anche la compagna di F. G., ex presidente di sezione della Corte di appello di Roma andato in pensione a giugno. L'uomo, dopo essere stato uno dei leader romani di Magistratura indipendente, era passato alla corrente davighiana di Autonomia & indipendenza. Anche la sua compagna, dentro al Csm, ha fatto da amministrativa prima di alcuni consiglieri di Mi e successivamente ha iniziato a collaborare con i membri di A&i, a partire da Aldo Morgigni, uno dei fondatori della corrente. Non si tratta, insomma, di una grigia funzionaria, ma di una persona perfettamente inserita nei meccanismi del Csm e della magistratura in genere.Dentro le buste incriminate, M. C. avrebbe inserito i verbali senza timbri, né firme dell'avvocato Piero Amara, controverso testimone di più Procure, il quale negli anni ha patteggiato diversi anni di reclusione per corruzione in atti giudiziari. Il suo racconto a puntate è iniziato tra novembre e dicembre del 2019 con quattro interrogatori resi davanti al procuratore aggiunto di Milano Laura Pedio e al pm Paolo Storari, nell'ambito delle indagini sul cosiddetto «falso complotto Eni». In essi, il lobbista siracusano, avrebbe denunciato moltissimi fatti illeciti riferendo decine e decine di nomi, in particolare magistrati (da quelli della Procura di Catania alle toghe della fallimentare di Roma), alti ufficiali dei carabinieri e della guardia di finanza, imprenditori, professionisti, politici. Un parterre de rois che sarebbe in gran parte affiliato a una fantomatica super loggia massonica denominata Ungheria.Stralci di questi verbali, a partire dal 2019, accuratamente selezionati e con lunghissimi omissis, sono stati inviati in diverse Procure italiane, competenti per i presunti reati segnalati da Amara.Alla fine di ottobre del 2020 qualcuno ha fatto recapitare al Fatto quotidiano una prima busta con i verbali e circa un mese dopo una seconda. I cronisti hanno segnalato le strane missive alla Procura di Milano che ha fatto i primi accertamenti. Verso marzo un altro pacco è stato spedito, via posta, al consigliere del Csm Nino Di Matteo. Lui e il collega Sebastiano Ardita hanno deciso di portare la questione all'attenzione della Procura di Perugia, ritenendo i verbali e la lettera d'accompagnamento (anonima) una forma di dossieraggio in qualche modo collegata all'inchiesta umbra su Luca Palamara, fatto recentemente oggetto di nuove accuse da parte di Amara. Ieri i procuratori di Milano e Perugia, Francesco Greco e Raffaele Cantone, con una nota congiunta hanno riferito che, dopo aver svolto accertamenti, hanno trasmesso gli atti a Roma ipotizzando il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio per l'invio dei verbali ad alcuni quotidiani. Le verifiche dei due uffici e della guardia di finanza «hanno permesso», si legge in una nota, «con sicurezza anche documentale, di ricostruire compiutamente i fatti riguardanti le modalità con le quali alcuni verbali apocrifi (in formato Word), relativi ad attività segretata, sono entrati nella disponibilità di due testate giornalistiche, rispettivamente nell'ottobre 2020 e nel febbraio 2021». Quindi le Procure di Milano e Perugia, avendo individuato Roma come luogo della consumazione del reato, hanno trasmesso gli atti nella Capitale.Adesso le indagini dovranno verificare chi abbia consegnato all'impiegata, nella Città eterna, il malloppo estratto da un pc della Procura o della Gdf di Milano.Mercoledì, Di Matteo ha denunciato il presunto dossieraggio durante il plenum, dopo che sui giornali erano stati pubblicati i primi distillati dei verbali segretati. Il consigliere del Csm ha dichiarato: «Ho ricevuto un plico anonimo, tramite spedizione postale, contenente la copia informatica e priva di sottoscrizione dell'interrogatorio di un indagato reso nel dicembre 2019 dinanzi all'autorità giudiziaria. Nella lettera anonima quel verbale veniva indicato come segreto e l'indagato menzionava in forma diffamatoria se non calunniosa, circostanze relative a un consigliere di questo organo». Di Matteo ha spiegato di aver contattato la Procura di Perugia «nel timore che tali dichiarazioni e il dossieraggio anonimo potessero collegarsi a un tentativo di condizionamento dell'attività del Csm». Il presunto bersaglio sarebbe il collega e amico Ardita, uno dei magistrati chiamati in causa da Amara. Ardita, come risulta dalle carte dell'inchiesta su Palamara, aveva cercato di accelerare l'iter dell'esposto dell'allora pm Stefano Fava contro l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, accusato di non aver autorizzato l'arresto di Amara. Davigo e Ardita, insieme, avevano anche incontrato Fava e sostenuto la candidatura a procuratore di Roma di Marcello Viola. Dopo l'esplosione del caso Palamara, però, erano entrati in rotta di collisione. Tanto che l'ex campione di Mani pulite, proprio nell'ottobre del 2020, nei giorni in cui la sua segretaria avrebbe spedito la prima busta con i verbali al Fatto quotidiano, ha preso le distanze dal suo vecchio delfino, dichiarando, davanti alla Procura di Perugia, di averlo visto «agitato», subito dopo la pubblicazione delle intercettazioni di Palamara: «Avevo rappresentato ad Ardita che era poco prudente avere frequentazioni con il consigliere Lepre (Antonio, captato dal trojan nella riunione dell'hotel Champagne, ndr)» e che «questa sua frequentazione avrebbe potuto essere utilizzata come un argomento contro di lui, come una sorta di riscontro rispetto a un'eventuale chiamata di correità». Poi aveva aggiunto di non poter «spiegare interamente la vicenda, in quanto coperta in parte da segreto d'ufficio», senza specificare quale. La frattura tra Ardita e Davigo era diventata definitiva nel marzo del 2020 quando i due si divisero sulla nomina del procuratore di Roma. In quell'occasione anche Di Matteo non seguì il vecchio maestro e il 19 ottobre 2020, durante il plenum, votò pure a favore della decadenza di Davigo dalla carica di consigliere del Csm per sopraggiunti limiti di età. Una decina di giorni dopo, secondo l'accusa, la ex segretaria di Piercavillo avrebbe fatto partire il primo plico indirizzato al Fatto quotidiano, magari pensando di inviare materiale a un giornale amico (Davigo è una firma della testata). In realtà i cronisti, come detto, hanno segnalato la spedizione agli inquirenti e questi hanno iniziato a monitorare la situazione, arrivando a individuare la presunta, insospettabile «postina».