2023-04-06
Sarà il precedente di un candidato dem a far crollare le accuse a Trump
Donald Trump (Getty Images)
Il processo traballa e un caso simile aiuta la difesa di The Donald che tuona: «Stanno usando la giustizia per vincere le elezioni». Il tycoon è incriminato per «conspiracy», una sorta di associazione a delinquere. Ma sui giornali è cospirazione, così suona peggio. Lo speciale contiene due articoli.Donald Trump va al contrattacco. Martedì sera, dopo l’udienza preliminare a New York per l’incriminazione promossa dalla Procura distrettuale di Manhattan, l’ex presidente ha fatto ritorno nella sua villa di Mar-a-Lago in Florida, dove ha tenuto un discorso durissimo. «Non avrei mai pensato che potesse accadere qualcosa del genere in America. Non avrei mai pensato che potesse accadere», ha dichiarato. «L’unico crimine che ho commesso è difendere senza paura la nostra nazione da coloro che cercano di distruggerla», ha aggiunto. «Il criminale è il procuratore distrettuale perché ha fatto trapelare illegalmente enormi quantità di informazioni del gran giurì, per le quali dovrebbe essere perseguito o, come minimo, dovrebbe dimettersi», ha proseguito, riferendosi al procuratore di Manhattan, Alvin Bragg.L’ex presidente ha anche attaccato il giudice che supervisionerà il suo processo, Juan Merchan, accusandolo di faziosità. «Il nostro sistema giudiziario è diventato illegale. Lo stanno usando ora, oltre a tutto il resto, per vincere le elezioni», ha aggiunto, criticando gli altri procedimenti giudiziari che dovrà affrontare (dalla presunta interferenza nelle elezioni del 2020 in Georgia alla questione dei documenti classificati indebitamente trattenuti). Insomma, l’ex presidente non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro. E, come già annunciato poche ore prima di presentarsi al tribunale di New York, punta a rimanere in corsa per la nomination presidenziale repubblicana del 2024. «Condanniamo qualsiasi attacco contro i giudici o il sistema giudiziario», ha detto la Casa Bianca. Affermazione curiosa visti gli attacchi dei democratici, lo scorso anno, contro la Corte suprema sull’aborto.A questo punto la domanda è: dobbiamo aspettarci un Trump rafforzato o indebolito da tale situazione? È magari un po’ presto per dirlo. Ma ci sono degli elementi che potrebbero andare a suo vantaggio. Innanzitutto, l’impianto accusatorio, articolato da Bragg in 34 capi d’imputazione, è traballante ed è stato definito «deludente» anche dalla testata liberal Vox. Il procuratore ha accusato l’ex presidente di aver falsificato i documenti aziendali della Trump Organization in riferimento ai pagamenti versati a tre persone, con lo scopo di evitare che potessero uscire rivelazioni compromettenti su di lui. Ora, la falsificazione di documenti aziendali non è un reato grave per la legge dello Stato di New York. In tal senso, Bragg punta a dimostrare che «Trump ha ripetutamente e fraudolentemente falsificato i documenti aziendali di New York per celare una condotta criminale, che nascondeva informazioni dannose agli elettori durante le elezioni presidenziali del 2016». In altre parole, l’ex presidente avrebbe violato le normative sui finanziamenti elettorali: il che, se dimostrato, si configurerebbe come un reato grave.Ed è qui che emerge il problema. Esiste un precedente che gioca a favore di Trump. Nel 2012, l’ex candidato presidenziale dem, John Edwards (sconfitto da Obama nelle primarie del 2008), finì sotto processo con l’accusa di aver indebitamente usato fondi elettorali per nascondere una relazione extraconiugale durante la sua campagna elettorale del 2008. Il processo naufragò, dal momento che la giuria non fu in grado di dimostrare che Edwards avesse usato quei soldi per tutelare la propria campagna e non, magari, per salvaguardare la privacy della sua famiglia. Si tratta di un precedente pesante, a cui ricorrerà certamente il team legale di Trump. D’altronde, nonostante l’altro ieri abbia detto di aver raccolto nuove prove, lo stesso Bragg, fino a pochi mesi fa, era scettico sulla solidità del caso.Ebbene, un impianto accusatorio tanto debole favorisce la tesi trumpista della persecuzione giudiziaria. Tesi a sua volta rafforzata da due elementi. Primo: Bragg appartiene al Partito democratico e, secondo il New York Post, ricevette indirettamente dal magnate liberal George Soros finanziamenti per la sua campagna elettorale del 2021 tramite l’organizzazione Color of change. Secondo: stando a quanto rivelato dal Daily Mail, la figlia del giudice Merchan, Loren, ha lavorato per il comitato elettorale di Kamala Harris, quando quest’ultima si candidò alla nomination presidenziale democratica del 2020. Non è allora, forse, un caso che, dopo la presentazione dei capi di imputazione, gran parte del Partito repubblicano sia tornato a fare quadrato attorno a Trump. A difenderlo contro Bragg non sono stati soltanto i suoi alleati, come lo speaker della Camera Kevin McCarthy , ma anche alcuni dei suoi più severi avversari interni, che non sperano affatto in una sua nuova vittoria elettorale: dal senatore Mitt Romney all’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. In particolare, Romney ha accusato Bragg di «criminalizzare gli oppositori politici», mentre Bolton si è detto «straordinariamente angosciato» dall’incriminazione.Tra l’altro, anche in ambienti dem qualcuno teme che un impianto accusatorio tanto claudicante possa rivelarsi prima o poi un boomerang per l’asinello. Del resto, nelle scorse ore, il team elettorale dell’ex presidente ha annunciato di aver raccolto dieci milioni di dollari da quando, giovedì scorso, è stata data la notizia dell’incriminazione. Le difficoltà non mancano, di certo. Ma il magnate ex presidente è ancora tutt’altro che fuori gioco.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dem-fa-crollare-accuse-trump-2659747721.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-qui-passa-per-un-golpista-con-un-tranello-lessicale" data-post-id="2659747721" data-published-at="1680782919" data-use-pagination="False"> Ma qui passa per un golpista con un tranello lessicale Le parole sono importanti, diceva qualcuno. E bisognerebbe anche saperle tradurre. Eh sì perché, dopo che è stata ufficialmente svelata l’incriminazione di Donald Trump l’altro ieri, alcune testate giornalistiche italiane hanno riportato che l’ex presidente sarebbe stato accusato di «cospirazione» (così hanno riferito, per esempio, Linkiesta, il sito del Fatto e altri). Un termine, «cospirazione», che nella nostra lingua evoca il complotto, la congiura, il golpe, il colpo di Stato. In tal senso, particolarmente emblematici, sotto questo punto di vista, sono stati i titoli in prima pagina di Repubblica e della Stampa di ieri che recitavano solennemente: «Trump, il cospiratore». Eppure, andrebbe ricordato che, nel diritto penale americano, «conspiracy» non significa né congiura né complotto né sovversione. La fattispecie della «conspiracy» indica, infatti, un’unione di due o più persone che si mettono d’accordo, per commettere un reato o una frode ai danni degli Stati Uniti. Il suo equivalente in italiano è, dunque, quello dell’associazione per delinquere. Un reato che, se dimostrato, è certamente grave. Ma che si configura comunque come qualcosa di ben diverso dalla congiura, dalla sovversione o dal golpismo.Tra l’altro, il termine «conspiracy» non figura neppure nel documento dell’incriminazione, recentemente reso pubblico: è stato soltanto usato dal procuratore di Manhattan, Alvin Bragg, mentre teneva una conferenza stampa l’altro ieri.Ora, va bene che i titoli di giornale devono riassumere e che magari talvolta possono comprensibilmente risultare imprecisi. Ma scrivere «Trump, il cospiratore» sulla base dell’incriminazione di Manhattan non è un riassunto. È qualcosa che semplicemente non esiste. Domanda: quel titolo sulle prime pagine dei due quotidiani di Gedi è solamente il frutto di una svista? Oppure, magari, si voleva fuorviare il lettore dando a intendere che l’ex presidente americano sarebbe stato accusato di ciò di cui non è stato accusato? Non è che magari qualcuno voleva avvalorare la tesi del Trump golpista in barba a quello che effettivamente contiene l’incriminazione della procura di Manhattan? Immaginiamo già la possibile obiezione: l’ex presidente è comunque un cospiratore perché ha incitato la folla contro il Campidoglio il 6 gennaio del 2021. Replichiamo all’obiezione. Primo: Trump è attualmente sotto indagine per i gravissimi fatti del Campidoglio da parte del procuratore speciale Jack Smith, nominato appositamente dal dipartimento di Giustizia a novembre. Bisognerebbe, quindi, eventualmente attendere l’esito della sua indagine prima di arrivare a qualsiasi tipo di conclusione su tale questione. Anche perché le inchieste parlamentari finora condotte sul tema (quelle della commissione 6 gennaio e quella autonoma dei deputati repubblicani) sono state caratterizzate da profonda faziosità politica. Secondo: con l’incriminazione della Procura di Manhattan i fatti del Campidoglio non c’entrano assolutamente nulla. A New York, Trump è accusato di falsificazione di documenti aziendali e di eventuale violazione delle normative sui finanziamenti elettorali in relazione alle presidenziali del 2016. Dargli quindi del «cospiratore» in riferimento a questo caso significa o aver preso un clamoroso abbaglio o, peggio ancora, aver cercato deliberatamente di portare fuori strada i lettori. Attenzione: qui non c’entra nulla l’opinione, positiva o negativa, che legittimamente si può avere sull’ex presidente americano e sulla sua incriminazione. Qui, semmai, c’è un problema di onestà intellettuale che, purtroppo, in certo giornalismo progressista italiano sembra latitare. Ma questa non è una novità.
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