2022-03-16
L’eterno riflesso guerrigliero della sinistra radical chic
Concita De Gregorio (Ansa)
Su giornali e tv la sinistra da salotto abbraccia lo «stile Zelensky» con una vampa bellicista che mancava dai tempi di Che Guevara e dei vietcong. E spacca il mondo tra pro e contro Putin dopo avere insultato «chi propone soluzioni facili per problemi complessi».«Questi sì che sono buoni. Bocconcini di Roquefort ricoperti di noci tritate. Saporitissimi. Delicatissimi. È il modo in cui l’aroma secco delle noci cede al gusto austero del formaggio che li rende così buoni, così delicati». E chissà che sceglierebbe un guerriero del battaglione Azov o dell’Oun da questo vassoio di antipasti. Non è nemmeno troppo difficile immaginarle, le focose editorialiste, ticchettare emozionate sul rovere anticato per porgere una tartina all’orso in mimetica e mitragliatore: «Questi sono uomini veri!»; «Non ho mai incontrato un paramilitare… Per me è la prima volta!»; «Non si capisce come, ma nella testa tutto si confonde all’idea di quanto sono belli. Affilati come lame». Quanto all’esemplare maschio della specie intellettuale, beh, lui la competizione con le belve nazionaliste un po’ la soffre. Si stringe il rotolino di grasso appena sotto l’ombelico e si consola lumando la combattente in divisa che campeggia sulla copertina della rivista New York (perché qui si leggono pure i giornali stranieri, cosa credete), poi corre a pubblicare un tweet a sostegno di Zelensky, si sa mai che cento condivisioni massaggino un filino la virilità offesa. Scene d’altri tempi. Ma il fatto è che il conflitto in Ucraina, assieme alle suggestioni un po’ confuse sul ritorno della guerra fredda, ci ha ripresentato con potenza una figura che credevamo scomparsa: il radical chic. Bisogna ammetterlo: di questo termine coniato dal genio di Tom Wolfe, negli ultimi anni - e soprattutto a destra - si è fatto largo abuso. La formuletta è stata applicata indistintamente a tutti gli spocchiosetti progressisti, e alla fine ha perso significato e impatto, un po’ come accaduto al «politicamente corretto». Oggi, però, la Storia riproposta in farsa ci regala l’epifania del Radicale Raffinato in senso proprio, quello che «ama lo stile romantico e rudemente vitale dei primitivi»: basta sostituire «patriota ucraino» a «black panther» e siamo esattamente dentro al libro di Wolfe. Sbaglia infatti chi, in queste ore, crede d’intuire nei progressisti guerrafondai uno slittamento a destra. Al contrario: siamo sempre lì, nel solco antico della sinistra mondana. La quale, certo, ora come allora flirta con il capitale godendone i benefici, ma sembrava aver perso il gusto parafiliaco per il guerrigliero. E invece rieccole lì, le madame ben truccate che dall’ottomana inveiscono contro il dittatore Putin. Più che amore per «la-libertà-e-la-democrazia» (una parola sola) sembra foia terzomondista per il guevarista di turno: lo stile Zelensky illanguidisce la signora e suggerisce al signorino nuove nuance di stile, vedi la barbetta incolta e la felpa di Emmanuel Macron, e passi se fino a ieri abbiamo riso delle tenute salviniane da battaglia. Sì, la vampa bellicista è proprio quella dei tempi d’oro, quando a far furore erano i prodi vietcong o le ascelle sudate di un barbudo. In sottofondo, tuttavia, s’avverte sempre la spinta sentimentale delle dame della carità upper class: «I bambini, signora mia, qualcuno pensi ai bambini!». Tintinnano i sobri gioielli di Antonella Boralevi negli studi tv, mentre fa piovere indignazione sui presenti che non tifano adeguatamente per la «resistenza ucraina». Più calibrata Concita De Gregorio, che si limita a punzecchiare con l’unghietta ben limata i compagni che sbagliano: «Qualcuno muore, qualcuno spara, qualcuno dice la sua e dopo esce per cena», scrive la nostra, pensosa, e l’inchiostro è vellutato quasi come la sua voce. Ci dicono tuttavia che esca a cena anche Enrico Letta, e che come lui pasteggino pure tutti i novelli partigiani con le chiappe altrui che da una ventina di giorni si sbracciano per consegnare lanciarazzi ai pensionati di Kiev. Almeno altri politici europei (i polacchi, per dire) hanno avuto il buon gusto di presentarsi di persona nelle terre martoriate: i nostri restano qui al calduccio, giustificandosi con il fatto che sarà appena meno caldo perché s’abbassa il termostato d’un grado come avviene in casa Gassman. Non ci risulta, poi, che l’editorialista di punta e di tacco di Repubblica stia esibendo la chioma bionda e le belle camicie morbide in prima linea. Se Bombita De Gregorio se la prende con la «sinistra né-né», Massimo Gramellini preferisce mazzolare colleghi e intellettuali che la fanno troppo complicata e non sono lesti ad arruolarsi. Dalla sua trincea sulla prima pagina del Corriere della Sera spara quanti osano temperare gli entusiasmi militaristi e s’arrischiano a notare che «la situazione è più complessa». Il rubrichista è furente: «Ci stanno facendo venire il complesso di non essere abbastanza complessi». Ma pensa: non erano proprio gli chic radicali a insistere che il sovranismo e il populismo fornivano «soluzioni facili per problemi complessi»? Non erano loro a svillaneggiare gli ignoranti destrorsi incapaci di leggere nelle pieghe della realtà? Ora impongono la scelta biforcuta: bianco o nero, o con noi o contro. Riducono il pandemonio ucraino a fola per bambini: «Se un grosso picchia uno piccolo io che devo fare?» (così Concita, suadente). Le risposte possibili sono tante, ma quella fornita dai governanti europei è chiara: «Armo il piccolo, tanto ci va di mezzo lui. Poi vado da un grosso non russo a comprare il gas e chi se ne importa se altri piccoli in giro per il mondo vengono picchiati». Se l’élite radicale ordina d’arruolarsi nelle Brigate Rolex, le masse radical aspiranti chic s’adeguano e corrono su Amazon a ordinare felpe e tazze col logo del battaglione Azov, che su Instagram fan sempre una porca figura. In fondo i combattenti ucraini sono, con le parole di Tom Wolfe, «esotici, romantici, lontani». E ai popoli lontani, da sempre, lo chic radicale riconosce (lo notava lo studioso israeliano Yoram Hazony) una «maturità etica» diversa: ci sta che siano un po’ ferini, un po’ barbari. Quindi pazienza se, come scrive Repubblica, «un cannoneggiamento degli ucraini a Donetsk ha ucciso 23 civili in fila al bancomat e alla fermata del bus». Pazienza se qua e là, tra le bandiere gialle e azzurre, compare anche una svastica: Paolo Berizzi, il nazistologo anche lui in forze a Repubblica, è impegnato a sanzionare i «neonazisti di Do.Ra. di Varese». Pazienza: in nome della buona causa ogni sacrificio (sulla pelle altrui) può essere tollerato. E comunque basta chiacchiere, c’è da servire l’aperitivo: niente caviale e vodka, mi raccomando, è questione d’impegno civile. Resta il dubbio su quale tartina possa far piacere al miliziano di Kiev, ma siamo certi che a breve un documentario di Netflix ce lo farà sapere.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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