Al Museo delle Culture di Milano, la ricca collezione del museo Boijmans Van Beuningen - uno dei più importanti dei Paesi Bassi - dialoga con alcune opere della Collezione Permanente del MUDEC per una grande mostra sul Surrealismo. Tra dipinti, sculture, disegni, documenti e manufatti, esposte (sino al 30 luglio 2023) ben 180 opere di artisti famosi, da Magritte a Man Ray, passando per Dalì e Leonora Carrington.
Al Museo delle Culture di Milano, la ricca collezione del museo Boijmans Van Beuningen - uno dei più importanti dei Paesi Bassi - dialoga con alcune opere della Collezione Permanente del MUDEC per una grande mostra sul Surrealismo. Tra dipinti, sculture, disegni, documenti e manufatti, esposte (sino al 30 luglio 2023) ben 180 opere di artisti famosi, da Magritte a Man Ray, passando per Dalì e Leonora Carrington.Tra le esposizioni più attese e sorprendenti degli ultimi tempi, la mostra al MUDEC ha il potere di trasportare i visitatori in un mondo al di là della logica e della ragione, alla scoperta delle profondità dell'inconscio e dell'incredibile potere dell'immaginazione umana. Un mondo surreale, fatto di atmosfere metafisiche e immaginari onirici, dove la fantasia si mescola al mito e al mistero e la realtà è straniante, è «sur-realtà». Tutto questo prende il nome di Surrealismo, movimento artistico letterario (nato negli anni ’20 del secolo scorso in un Europa ancora traumatizzata dagli orrori del Primo conflitto Mondiale) ma anche – o forse soprattutto – un atteggiamento, un modo alternativo di essere e concepire il mondo, un modo di pensare radicalmente nuovo. In pratica, uno stile di vita. Ed è proprio da questo concetto che prende avvio la mostra milanese, curata dalla storica dell’arte Els Hoek e divisa in 6 sezioni, ognuna introdotta da una scultura o da un oggetto iconico e evocativo (come Le Temoin di Man Ray o il celebre Mae West Lips Sofa di Salvador Dalì ), per ricordare al pubblico come il surrealismo fu anche manifesto filosofico, pensiero poetico e sguardo incantato su una realtà «altra». Accanto ai «mostri sacri» del movimento surrealista - Salvador Dalí, René Magritte, Man Ray e Max Ernst, maestri nel «creare illusioni » e nello sfidare le percezioni - presenti in mostra anche nomi meno noti al grande pubblico (Eileen Agar e Unica Zürn, per citarne un paio, ma l’elenco è molto più lungo e articolato) e, oltre a dipinti e sculture, ad attendere il visitatore anche una ricca raccolta di pubblicazioni, scritti , manifesti, documenti e filmati, proprio per dare un’idea, la più ampia possibile, di cosa davvero fosse questo unico e stimolante movimento, che dall’Europa si sviluppò anche oltreoceano, influenzando generazioni e generazioni di artisti, «fil rouge » tra mondi e culture diverse. Esattamente come il MUDEC, scelto come sede espositiva di questa mostra anche per la sua «filosofia», da sempre indirizzata al sincretismo artistico e al dialogo fra l’occidente e il resto del mondo. Non è un caso, infatti, che nella scelta del materiale espositivo – tutto proveniente dal Museo Boijmans Van Beuningen, custode di una collezione di arte surrealista unica e famosa in tutto il mondo, arricchitasi, nel corso degli anni, anche di opere di arte contemporanea nate da idee ispirate al movimento - si sia data particolare importanza all’elemento etnico, con un focus particolare sull'interesse dei surrealisti per le culture native, viste come modelli alternativi all’ormai troppo industrializzata società occidentale. A questo particolare aspetto del surrealismo – ossia al rapporto fra il movimento e le culture del sud globale (termine usato per indicare i paesi una volta identificati come «in via di sviluppo») e con il Messico in particolare – è dedicata una fra le più interessanti sezioni espositive, dove alcune prestigiose opere d’arte surrealista provenienti dal Museo Boijmans Van Beuningen dialogano con una selezione di reperti delle importanti collezioni permanenti del Mudec. Molto interessante, fra le opere esposte in questa sezione, La reproduction interdite (1937), il celebre «ritratto di spalle» che Renè Magritte fece all’amico ed eccentrico mecenate Edward James, che, al pari di molti artisti visionari, attratti dall’elemento primordiale e fantastico ( da Leonora Carrington a Wolfgang Paalen, passando per Alice Rahon, Remedios Varo, Gordon Onslow Ford e César Moro), aveva trovato nel Messico e nella vicinanza con la cultura indigena il suo luogo di vita ideale. Se questa parte della mostra affascina per la sua particolare tematica, non meno suggestive le altre, dedicate a quelli che rappresentano gli aspetti più «classici» della ricerca surrealista: il sogno, la psiche, l’amore e il desiderio. E a proposito di sesso, amore e desiderio, impossibile non pensare a grande Man Ray e ai suoi famosi ritratti femminili, a quei nudi di donne che lui, praticante dell’amore libero, affascinato dal feticismo erotico e grande ammiratore dei romanzi sadomaso del marchese deSde, fotografava nei modi più sensuali: di Man Ray, presente in mostra la Venere restaurata (1936), un calco in gesso del torso della Venere di Milo legato da corde. Da una Venere all’altra, si passa dalla dea di Man Ray a quella di Salvador Dalí, l’artista che forse più di ogni altro ha esplorato l'inconscio ed evocato mondi onirici, in una fusione perfetta tra psicologia, arte e vita:la sua Venere di Milo con cassetti, scultura realizzata nel 1936 e anch’essa esposta al MUDEC, riproduce la statua classica con sparsi per il corpo alcuni cassetti apribili, metaforiche allusioni alle zone più profonde e segrete del nostro subconscio.Sala dopo sala, suggestione dopo suggestione, a completare il quadro di questo straordinario «racconto surrealista» un ricco apparato multimediale, con cortometraggi e spezzoni di film d’epoca, tra cui anche Spellbound (Io ti salverò) di Alfred Hitchcock, datato 1945.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.





