
Il direttore della «Civiltà Cattolica» risponde così al nostro articolo sull'abbandono dei temi etici pur di abbattere i gialloblù. Ma tace sul merito. E Twitter lo seppellisce.Sua eccellenza impugna il crocifisso, e questa è già una novità. Padre Antonio Spadaro utilizza il pulpito di Twitter, a lui famigliare almeno quanto un altare, per contestare con somma indignazione un articolo della Verità nel quale spiegavo la sua idiosincrasia per Matteo Salvini, la sua predisposizione a essere il Roberto Saviano in tonaca della parrocchia globalista. E aggiungevo che «pur di non ritrovarsi mai più il leader leghista davanti, sarebbe disposto a soprassedere su eutanasia, nozze gay, utero in affitto mascherato». Il direttore della Civiltà Cattolica, gesuita, soprannominato in Vaticano «l'uomo che sussurra al pontefice» (quindi potentissimo) accusa il giornale di «continuare nei suoi attacchi subdoli. Scrive che io sarei disposto a soprassedere su certe questioni morali pur di vedere sconfitto un noto politico sovranista. Dicano dove l'ho detto o chiedano scusa per avere detto falsità. #gnegne». Sorvolando sul finale da asilo mariuccia che neanche un seienne ai primi passi nel catechismo, ci permettiamo di dissentire su tutto, soprattutto su tre punti, come molti dei commentatori che hanno travolto di fischi il suo post. 1 L'attacco non è subdolo, ma è solare visto che si basa sui suoi scritti nell'ultimo anno e sui suoi ultimi 100 tweet, nei quali mostra un'ossessione millenarista al limite della scomunica nei confronti di Salvini e - per proprietà neppure troppo transitiva - di tutti coloro che lo hanno votato e lo sostengono.2 Quelle che lui chiama distrattamente «certe questioni morali» sono i valori non negoziabili della Chiesa, che costituiscono la pietra angolare della fede presso i cittadini. Sono famiglia, fine vita, lavoro, dottrina. Ma anche parole illuminate e prese di posizione nel solco dell'etica cattolica su eutanasia, aborto, adozioni gay, utero in affitto, eterologa. Tutto ciò manca nel vocabolario di padre Spadaro, così concentrato sulla doppietta «Vade retro Salvini-Avanti tutta migranti» da dimenticarsi completamente il resto. Se parla da sottosegretario del governo Ursula invece che da pastore di anime, non può certo prendersela con chi glielo fa notare. 3 Niente da smentire, in fondo abbiamo dato per dubitativo ciò che è fattuale. La scaletta degli argomenti l'ha stilata lui e dalla foga ha tralasciato di parlare di Dio agli uomini, se non attraverso la narrazione ripetuta all'infinito della metafora migratoria come epicentro del cristianesimo.Il tweet di riferimento di padre Spadaro, quello con la graffetta dell'immortalità, recita: «Questo è tempo di resistenza, umana, civile e religiosa». Per spiegare meglio il concetto cita un intervento del nuovo evangelista David Sassoli e spiega il suo pensiero così: «Crisi di governo, serve una precisa garanzia di un'Italia europea». È anche orgoglioso di annunciare: «Oggi ho celebrato la messa con il formulario del messale romano per i profughi e gli esuli». Il pastore è preoccupato non per la povertà, la paura, l'incertezza, lo smarrimento che attanagliano le sue pecore ma per la Open arms «in attesa di una mano aperta per vincere la vergogna e l'ignavia che ci attanagliano». Il resto sfuma fra le nebbie di ciò che è scontato, le squallide vicende di Bibbiano non pervenute. Come se, invece di essere un prete, fosse il renziano Luigi Marattin con la frusta o l'assatanato Riccardo Puglisi con il pallottoliere. Lui non si rivolge agli indecisi e agli scettici, ma alla claque. Cataloga, disseziona, divide i buoni dai cattivi, vale a dire i progressisti dai sovranisti neanche fossero specie arboree. Ecco, Spadaro è un Linneo del pensiero religioso. E si merita il commento amaro di un lettore disilluso: «Lampedusa è meglio di Lourdes, soprattutto per i non credenti».
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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