2023-11-25
La rabbia d’Europa può arrivare anche qui
Disordini a Dubino il 23 novembre 2023 (Getty Images)
In Irlanda ancora scontri dopo l’accoltellamento dei bambini: abitanti e teppisti scatenati con la polizia accusata di proteggere il criminale. Francia sconvolta dall’assalto «etnico» al paesino Ue e giornali sotto choc per il boom di Geert Wilders in Olanda. Inutile prendersela coi populismi: sta arrivando il conto avvelenato di politiche migratorie, economiche e ambientali fallimentari.Furore. È il comune denominatore degli incendi che percorrono l’Europa e non hanno niente a che vedere con i fuochi fatui. La notte di violenza in Irlanda, la caccia all’uomo bianco nella Francia rurale, la stessa vittoria elettorale di Geert Wilders in Olanda segnano la linea dell’orizzonte e spiegano con la forza devastante della cronaca gli errori della politica, le sciatterie di Bruxelles, l’incapacità di ascoltare il rumore di una società occidentale in preda al malessere. Ogni volta che la rabbia prende il sopravvento nelle strade (o nelle urne), la reazione delle élite sovranazionali che di fatto ci governano (e delle mosche cocchiere locali che le rappresentano) è di sorpresa, di indignazione. Passa l’appetito, stasera niente camembert. «Oddio tornano i sovranisti, signora mia».Niente di più falso e di più illusorio per la Babele socialdemocratica che pretende di rieducare il continente profondo. Questo è Furore, sordo e cupo come quello del capolavoro di John Steinbeck, dove i contadini dell’Oklahoma cacciati dalle loro case con decreto bancario, nell’insensato immobilismo dello Stato, ammassano le loro cose sui camion sgangherati e cercano di rifarsi una vita in California. Spoliati dei loro averi, privati dei loro diritti di cittadini, mandati via con le ruspe dalla terra dei padri non possono andarsene a cuor leggero, sottostare ai soprusi e sentirsi stranieri senza reagire.La rivolta di Dublino nel quartiere della presunta integrazione multirazziale dopo l’accoltellamento di tre bambini e una donna davanti a una scuola, è furore. Insensato, senza sbocchi, frustrante, ma è quella cosa lì. È l’urlo di Munch di gente esasperata che arriva a bruciare le auto della polizia, che cerca protezione e non la trova. I cartelli «Irish Lives Matter» valgono più di tutti gli editoriali in punta di penna. E i balbettii del primo ministro Leo Varadkar - secondo il quale «è più grave la reazione violenta degli accoltellamenti» -, rischiano di gettare altra benzina sul fuoco. L’anestetico dell’accoglienza con il suo portato di buonismo da sacrestia non funziona più. Non sono impazzite le persone, semplicemente reagiscono in modo sbagliato a politiche sbagliate.Il corto circuito del furore è avvenuto in Francia. Anche qui violenza e lame che luccicano. Solo Emmanuel Carrère poteva immaginare una trama simile e ambientarla in un santuario del Tour de France, sotto l’Alpe d’Huez, a Crépol, vicino a Grenoble. «Siamo qui per pugnalare i bianchi», gridavano gli assalitori con coltelli e machete mentre un gruppo di ragazzi stava lasciando il ballo d’inverno, tradizione locale. Non una guerra tra fazioni rivali ma un agguato in piena regola. Colore della pelle, religione, rabbia sociale. «Una banda venuta per uccidere», ha commentato il sindaco Martine Lagut. Un ragazzo di 16 anni ammazzato, 18 feriti. Il furore degli immigrati di seconda generazione senza futuro, il furore di chi fra qualche giorno avrà bisogno di sostituire il dolore.Mentre noi ci balocchiamo con il patriarcato, a Dublino e a Grenoble i nodi cominciano a venire al pettine. Sono conseguenze scomposte, inaccettabili di politiche lunari e qualche volta paradossali, contro i cittadini, da parte dell’Europa malata di marketing, di peloso egualitarismo, di buffa «sostenibilità» a parole. Chi pensa solo a marginalizzare gli eccessi affibbiandoli alla società violenta sbaglia. Chi per 20 anni ha pianificato una «convivenza osmotica» e la creazione di un pacifico melting pot continentale ora tace. Quando, a proposito dell’accoglienza diffusa, il cardinale Giacomo Biffi parlava di «banalizzazioni ansiolitiche e speranzose minimizzazioni» veniva sbeffeggiato come reazionario in tonaca. Invece aveva ragione. C’è di più. Annientato da politiche vessatorie, impoverito dalle transizioni multiple, travolto dalla disillusione, bullizzato dalle élite dominanti, il fu ceto medio con il potere d’acquisto dimezzato non è più riflessivo; ha smesso di riflettere e con un paradigma da Midwest «ha preso la mazza da baseball». Sembra un paradosso ma il furore più pacifico è in Olanda, dove l’ultradestra ha fatto il pieno alle elezioni. Anche qui l’interpretazione è semplice e va nella direzione del rifiuto. Quando dall’altra parte c’è Frans Timmermans, icona di ogni svolta progressista di Bruxelles, bandiera dell’estremismo ideologico liberal che ha dichiarato guerra ai contadini, ha minato la redditività delle aziende, il potere d’acquisto delle famiglie, gli interessi strategici del continente, ecco che perfino Wilders non è più un incubo ma un rifugio. Segnali per la tornata elettorale europea del prossimo giugno.Irlanda, Francia, Olanda, bandierine su una carta geografica che è anche la nostra; da queste gastriti viscerali non siamo immuni per decreto. I segnali sono facilmente decrittabili. Le politiche che peggiorano le condizioni di vita dei cittadini, le favole dell’immigrazione incontrollata, l’immobilismo di governi paralizzati dal patto di stabilità portano a conseguenze nuove, talvolta irrazionali. Il fallimento dell’agenda della sinistra arcobaleno, tecnocratica, post-storica, incline aI refrain dell’«andrà tutto bene» è sotto gli occhi di tutti; a Dublino, Amsterdam, Crépol si vedono le impronte digitali. Scriveva Steinbeck: «Nei cuori degli umili maturano i frutti del furore e s’avvicina l’epoca della vendemmia». Che non sempre è quella di settembre.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)