2021-10-06
Contrordine piddini, Calenda non è più il male
Dopo aver trattato il leader di Azione da «socialfascista» per tutta la campagna elettorale, ora Enrico Letta e Roberto Gualtieri pretendono sostegno contro Enrico Michetti. Lui punge: «Mi farò spiegare da loro quando sono di destra e quando di sinistra». E Vittorio Sgarbi lo corteggia.La candidata Valentina Sganga attacca Giuseppe Conte: «La faccia va messa anche dove si perde».Lo speciale contiene due articoli.Missione retromarcia. Con l'opportunismo strategico che lo contraddistingue da prima della nascita, il Pd ha girato il volante e ha già cominciato a inseguire Carlo Calenda con la lingua rasoterra. Troppo luccicante quel 19% conquistato a Roma per lasciarlo in mezzo a una strada fra i cinghiali. E se Walter Veltroni che si professava ateo («Credo di non credere») nel 2000 riuscì a creare lo slogan «I care» traducendo in inglese il motto di don Milani, dovrebbe essere un gioco da ragazzi per Enrico Letta trasformare un pericoloso postfascista in un riformista di sinistra pronto a regalare la sua rendita al chitarrista Roberto Gualtieri.Non passa neppure una notte che il numero uno del Nazareno lancia la strategia del cancellino: «Il passato non conta, con Calenda dobbiamo convergere». La risposta non si fa attendere. «Letta dice che le nostre strade dovranno convergere? Non lo so, sono confuso, fino a domenica hanno detto che ero di destra. Vorrà dire che lo sentirò e mi farò spiegare bene quando sono di destra e quando di sinistra». La reazione del leader di Azione alle prime avances è quella della signorina Felicita riluttante e anticipa un corteggiamento con luna piena e mandolini spiegati. Quel 19% è fondamentale al ballottaggio per sparigliare rispetto al 30 a 27 che vede in vantaggio Enrico Michetti su Gualtieri. E potrebbe essere meno friabile del 19% di Virginia Raggi, formato anche da un popolo antisistema che non si è mai arreso ad essere inglobato nell'establishment. La sinistra li ha sempre considerati «voti in libera uscita» ma nessuno può garantire agli strateghi progressisti in quale casa stiano per tornare. E allora meglio puntare su Calenda (che ha preso più voti del Pd), una volta ripulito con una sana e inodore doccia democratica.Sotto il Cupolone tira aria di Ulivissimo, l'unico albero presente nella storia politica di Letta e del suo mentore Romano Prodi. E, se dovesse funzionare, ecco il laboratorio per provare a sconfiggere il centrodestra alle politiche. Il segretario non ne fa mistero: «Oggi può nascere una nuova stagione, il nuovo Ulivo. Un centrosinistra moderno e anche radicale, nei comportamenti e nei temi». L'anziano guru bolognese che non ha abbandonato il sogno del Quirinale approfondisce il concetto senza citare la parola inciucio: «È finita l'epoca dei fenomeni e delle emozioni. Il Pd è oggi il perno di una coalizione e non c'è più un problema di intesa fra uguali, ma di un'alleanza fra partiti con differenze quantitative. I 5 stelle al Nord stanno scomparendo».Il messaggio è chiarissimo, a Roma per vincere bisogna tornare all'elettrodomestico preferito dall'ala emiliana del partitone rosso, il frullatore. Soviet al ragù più transizione elettrica con una spruzzata di vecchio «lib-lab», più la melassa dei diritti universali sponsorizzati Ferragnez, con il collante del modernariato antifascista e del finto riformismo dei grandi giornali. Tutti dentro, dal Vaticano a Madre Teresa, perché la linea è sempre quella di Jovanotti e la sinistra dura e pura seguirà. «Senza di noi, quei disperati dove vanno?». Letta ha avuto la conferma a Siena, eletto dalle stesse vittime del crollo del Monte dei Paschi (storica banca piddina): in alcune ridotte il Nazareno vincerebbe anche candidando Jack lo Squartatore. Nel minestrone neoulivista è previsto pure Giuseppe Conte, ma in forma ancillare. Con quelle percentuali l'avvocato del popolo può solo servire a tavola. Lui lo ha capito e fa il prezioso: «È chiaro che i cittadini non possono essere considerati un pacco postale, non vorrei essere irriguardoso indicando preferenze. Di sicuro la nostra forza politica non può avere affinità con la destra». Prova a trattare ma è pronto per il ruolo di cameriere. Il problema rimane Calenda, con quel 19% e la certezza di non doversi schierare: «La presunzione del Pd di decidere «chi sta dove» è sbagliata. Esiste un'area di riformismo pragmatico che non si accontenta dell'offerta politica attuale e che a Roma ha avuto un'affermazione molto significativa. Non faremo apparentamenti o alleanze, sarebbe scorretto e poco onorevole. Nei prossimi giorni deciderò chi votare, ma personalmente e senza contropartite».Anche il centrodestra è interessato a quegli elettori, che ritiene in parte strutturalmente suoi. È Vittorio Sgarbi a lanciare la partita a scacchi con un'apertura del barbiere: «Fossi in Michetti offrirei a Calenda un assessorato nella prossima giunta». Giorgia Meloni è prodiga di complimenti: «Ha fatto un exploit notevole». È facile intuire che la partita per la capitale sarà vinta da chi riuscirà ad accaparrarsi il sostegno dei transfughi dal mondo pentastellato (attenzione, gli ultrà di Virginia Raggi non hanno niente a che vedere con la corrente Conte che non voleva neppure candidarla) e dell'incravattato mondo Calenda. Riformismo pragmatico, bello slogan. Per farlo entrare nel frullatore «non basterà rimettere le querele», come sussurra un colonnello piddino riferendosi all'alleanza con i pentastellati. Il problema è sempre quello: per entrare in una eventuale giunta Gualtieri, Calenda ha fatto sapere che «non dovrà esserci neppure l'ombra di un grillino». Chi convince Nicola Zingaretti che li ha portati anche nei posti chiave della Regione Lazio? E chi lo dice a Goffredo Bettini? L'architetto politico dell'alleanza strutturale con il Movimento 5 stelle è anche la potente guida della sinistra romana del sottopotere e degli appalti. Un groviglio micidiale, per scioglierlo servirebbero porte girevoli e facce di bronzo. Non mancano. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/contrordine-piddini-calenda-non-e-piu-il-male-2655224910.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-torino-la-resa-dei-conti-grillina-rende-piu-incerto-il-ballottaggio" data-post-id="2655224910" data-published-at="1633458957" data-use-pagination="False"> A Torino la resa dei conti grillina rende più incerto il ballottaggio Da Roma a Torino il tracollo del M5s sta creando un terremoto politico e non soltanto all'interno del Movimento. Sicuramente, infatti, ci saranno delle conseguenze sui ballottaggi del prossimo 17 e 18 ottobre proprio nelle due città dove i cittadini hanno bocciato sonoramente i cinque anni di amministrazione delle due pasionarie pentastellate, Chiara Appendino e Virginia Raggi. Una bocciatura senza appello nella città della Mole dove torneranno a sfidarsi Stefano Lo Russo, candidato del centrosinistra che al primo turno ha ottenuto il 43,69% dei consensi e Paolo Damilano, candidato civico del centrodestra, con il 38,87% dei voti. Fuori dal ballottaggio la grillina Valentina Sganga che non è andata oltre il 9,19% ed è subito andata all'attacco di Giuseppe Conte, nuovo leader del Movimento: «Conte? Non l'ho sentito e mi è dispiaciuta la presenza solo a Napoli... Per ripartire, per ricostruire, bisogna metterci la faccia anche dove si perde, come a Torino e Roma. In un posto dove si perde, un domani si può vincere, ma ci si riesce stando vicino alle persone che su quel territorio si sono spese...». Alla Sganga, capogruppo uscente in Comune, non è piaciuta affatto che, mentre si svolgeva lo spoglio evidentemente poco favorevole, Conte fosse già corso a Napoli per festeggiare con il suo ex ministro, Gaetano Manfredi, la vittoria sull'onda dell'asse Pd-M5s. Più facile esaltare il risultato napoletano che fare autocritica, per Conte, secondo l'accusa della trentacinquenne torinese, paladina dell'ala più a sinistra dei 5 stelle. E gli attriti tra M5s e Pd che hanno attraversato i 5 anni di amministrazione Appendino avranno un peso sul ballottaggio visto che proprio Lo Russo, già assessore all'urbanistica della giunta Fassino, è stato il capo della forte opposizione alla sindaca grillina. Conte, che prima aveva escluso ogni possibilità di apparentamento con la coalizione di centrosinistra in caso di ballottaggio, ieri ha lanciato un avvertimento alle due sindache sconfitte che avevano scelto di non avere legami con i dem: «Con queste Comunali si è di fatto chiusa una stagione, cioè quella del “soli a tutti i costi"». Se non ci sarà un apparentamento, non è da escludere però che alla fine arrivi un'indicazione di voto agli elettori pentastellati interessati soltanto ad ostacolare la vittoria del centrodestra che con il candidato civico Damilano, Sganga, sicura che qualsiasi sarà il risultato «avremo un sindaco e delle forze in consiglio comunale che, per forza di cose, non saranno abbastanza rappresentativi» sulle scelte in vista del ballottaggio, invita gli elettori 5 stelle ad andare a votare: «Vista la nostra percentuale ci collocheremo all'opposizione perché il nostro dieci per cento è determinante e farà sì che i due candidati tengano in considerazione i temi che abbiamo sollevato l'ambiente, i giovani e le periferie».
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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