2025-07-26
La Consulta frena sull’eutanasia. Ma il Pd pensa già al medico-killer
La Corte boccia il ricorso sulla paziente paralizzata che chiedeva di essere uccisa, senza entrare nel merito dell’ammissibilità della pratica. Però tira in ballo il Servizio sanitario nazionale. E i dem ci si aggrappano.La Consulta frena sull’eutanasia, senza esprimersi sulla sua ammissibilità. Intanto, tira in ballo il Servizio sanitario nazionale. E ciò basta al Pd per ridare l’assalto al disegno di legge sul fine vita, promosso dalla maggioranza, che invece mira a escludere medici e infermieri dall’iter del suicidio assistito. È uscita ieri la sentenza sul caso di una cinquantacinquenne toscana, affetta da sclerosi multipla progressiva e completamente paralizzata. Benché la Asl competente le abbia riconosciuto il diritto alla «dolce morte», Libera - così l’ha ribattezza l’Associazione Luca Coscioni - non è in grado di somministrarsi da sola il farmaco letale. Perciò, chiede che sia il suo dottore di fiducia a compiere il gesto finale. Il problema, da cui origina l’interpellanza del Tribunale di Firenze, è se poi egli debba essere imputato ai sensi dell’articolo 579 del Codice penale, quello che punisce l’omicidio del consenziente. Solo per il successivo, il 580, che norma la fattispecie dell’aiuto al suicidio, un precedente verdetto ha disposto la non punibilità del reo, qualora abbia agevolato il proposito di una persona in possesso di quattro requisiti, che spetta alla Asl e al comitato etico territoriale valutare: aver contratto una malattia irreversibile; patire sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili; essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale, compresi cateteri o altri dispositivi la cui privazione cagionerebbe in breve il decesso; essere pienamente capace di intendere e volere. Nello specifico, la signora lamenta l’irreperibilità di un macchinario attivabile con un comando vocale, oppure tramite bocca e occhi, che inneschi la pompa infusionale contenente la dose fatale; di qui, il bisogno di essere affiancata da un soggetto terzo, che però rischia una pena da 6 a 15 anni.La Consulta si è limitata a giudicare non ammissibili le questioni di legittimità costituzionale, perché «il giudice a quo non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito» alla possibilità di procurare quella strumentazione. L’ordinanza fiorentina ha dato conto di un’interlocuzione con l’azienda sanitaria locale; invece, le verifiche necessarie «avrebbero richiesto il coinvolgimento di organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, al quale sono assegnate specifiche funzioni istituzionali di natura consultiva, anche per le aziende sanitarie locali». L’assenza dei dovuti approfondimenti può aver leso «l’autodeterminazione» della donna, «la quale, ove tali dispositivi esistessero, e potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati al suo stato di sofferenza, avrebbe diritto ad avvalersene».Per questo appare troppo ottimistica la soddisfazione dei «malati che vogliono vivere», ascoltati in udienza lo scorso 8 luglio, come del meloniano Ignazio Zullo, capogruppo di Fdi in commissione Sanità a Palazzo Madama, nonché relatore del ddl sul fine vita, il cui esame è slittato a settembre. «Con questa sentenza», ha commentato il senatore, «si chiude a ogni tentativo delle opposizioni di introdurre in Italia l’eutanasia». Ma purtroppo, come ha notato l’Associazione Coscioni, la Consulta «non ha preso una decisione sull’eutanasia per mano di un medico». Se l’è cavata biasimando la carenza di ricerche del macchinario. Sul resto, ha taciuto.Peggio: i giudici hanno inserito, in coda alla sentenza, una considerazione che può minacciare l’impianto della norma ideata dalla maggioranza per colmare il cosiddetto «vuoto legislativo». La persona in possesso dei famosi quattro requisiti, sottolinea la Corte, «ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego». È il Ssn, affiancato dal comitato etico, «a verificare, insieme alle condizioni legittimanti, anche le modalità di esecuzione» della procedura, svolgendo «un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili».La Consulta, quindi, parla di un presidio per i deboli; i critici notano che è in ballo un mutamento della natura della professione medica, visto che nel Giuramento di Ippocrate i camici bianchi si impegnano a «non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte» dei pazienti. Fatto sta che è a questo passaggio che si è subito aggrappato il Pd. A partire da Alfredo Bazoli, vicepresidente dei senatori dem. Il verdetto, ha osservato, «mi pare chiuda il dibattito e ogni possibile dubbio sul ruolo del Servizio sanitario nazionale», per cui «il testo in discussione in commissione» andrà «integrato». Gli ha fatto eco il suo principale, Francesco Boccia: «Il testo deve essere cambiato».Pro vita e famiglia potrebbe averci visto giusto: la pronuncia non liberalizza l’eutanasia, ma «scardina la legge del centrodestra». Comprensibilmente, Lucio Malan ha manifestato «disagio» per l’intervento «periodico» delle toghe costituzionali nel processo legislativo. Attribuendo una funzione al Ssn, secondo il capogruppo di Fdi in Senato, la Corte è «entrata in un campo che non dovrebbe spettare al giudice delle leggi». Bisognerà comunque «tenere conto di questa sentenza nel proseguimento del lavoro della commissione», ha riconosciuto Malan. E meno male che i giudici, se accusati di volersi sostituire al Parlamento, si schermiscono dietro la «leale collaborazione» tra istituzioni. A questo punto, accompagnino direttamente deputati e senatori in Aula. Magari, tenendoli per mano.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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