2021-04-08
Bloccare ancora i licenziamenti
farà una strage di posti di lavoro
Causa coronavirus, Maurizio Landini chiede che il blocco dei licenziamenti sia prolungato alla fine di ottobre. La norma, con il governo Conte, era stata resa obbligatoria fino al 31 marzo, poi, in vista della scadenza del divieto, il nuovo ministro del Lavoro, Andrea Orlando, aveva esteso la moratoria delle risoluzioni dei rapporti di lavoro per cause economiche fino al 30 di giugno, per le aziende che possono ottenere la cassa integrazione ordinaria, e al 31 ottobre, per quelle che usufruiscono degli ammortizzatori in deroga, tipo cassa CovidGià l'insistenza di uno stop che in altri Paesi è stato rimosso da tempo, per lasciare mano libera al mercato del lavoro, era parsa una forzatura, perché è da oltre un anno che siamo in una specie di regime speciale. Ma ora Landini e compagni (altri leader sindacali hanno infatti sottoscritto la richiesta) vorrebbero in pratica arrivare a fine anno, istituendo la variabile indipendente non più del salario, come negli sciagurati anni Settanta, ma dell'occupazione. A prescindere da come vadano i conti di un'azienda, secondo il capo della Cgil, si dovrebbe vietare di fare ricorso alla riduzione di personale. Perché c'è l'epidemia, ma soprattutto perché non c'è un'idea di rilancio dell'economia e dunque si rischia una perdita di posti di lavoro. Nell'ultimo anno i disoccupati sono aumentati di 1 milione, perché i contratti in scadenza non sono stati rinnovati. Tuttavia, senza il blocco, ragiona il numero uno del sindacato confederale, ne avremmo ancora di più: dunque meglio proibire per legge i licenziamenti. Premesso che il ministero del Lavoro ha già dato una sua interpretazione della norma contro le risoluzioni collettive dei rapporti di lavoro, imponendo il blocco anche per chi non chieda la cassa Covid e dunque estendendo il divieto fino al 31 ottobre, il discorso di Landini può apparire di buon senso, perché impedisce di lasciare senza stipendio i lavoratori, ma è un'arma pericolosa. Checché ne pensino i sindacati, nessuna azienda riduce il personale volentieri: se lo fa è perché vi è costretta dalle condizioni di mercato e dalle leggi di bilancio. Per consentire la prosecuzione delle attività e mantenere un equilibrio del conto economico a volte non c'è altra leva che la riduzione del costo del lavoro e, dunque, per garantire un futuro all'impresa bisogna intervenire riducendo la voce che spesso pesa di più, ovvero quella del numero di buste paga. Può non apparire bello, è doloroso, eppure se si vuole salvare una società a volte questo è il solo modo: quando i profitti non aumentano occorre che si diminuiscano le spese, come in qualunque famiglia.Bloccare per decreto la possibilità di contenere le uscite e perciò le perdite, nonostante ciò che crede Landini non è una buona idea, perché più si ritarda il taglio e più la situazione peggiora. Un po' come con quei pazienti affetti da necrosi per carenza di afflusso sanguigno, è necessario intervenire subito, in quanto più il tempo passa e più il malato rischia la vita. Rinviare non è la soluzione. Gli ammortizzatori sociali che tanto piacciono ai sindacati non salvano la vita alle aziende, ma quasi sempre ne prolungano l'agonia. A volte si spenderebbe di meno aiutando i lavoratori che perdono il lavoro, accompagnandoli verso un'altra occupazione. Ma per fare ciò servirebbe un sindacato moderno, che sapesse leggere i bilanci e conoscesse le problematiche delle imprese. Quasi mai invece ci troviamo davanti sindacalisti che conoscono la materia di cui si ergono a difensori. Gli strumenti con cui si oppongono a decisioni che appaiono ineluttabili sono quelli del secolo scorso: gli scioperi, le proteste e così via. La Cgil vive ancora come nel Novecento, convinta che lo Stato, con le Partecipazioni statali e un po' di comunismo importato dall'Unione Sovietica, possa tutto. Il mondo invece è cambiato. C'è l'Europa, la concorrenza, la decrescita infelice che amano i grillini e pure il Covid. Le sciagure insomma ce le abbiamo quasi tutte. E ogni tanto si aggiunge anche il sindacato, con i suoi ragionamenti da socialismo reale fuori tempo massimo.
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Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
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