2023-11-20
«Ci chiamano ignoranti perché pestiamo i piedi alle lobby»
Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini: «Non sopporto che si sminuisca l’intelligenza degli agricoltori. Ora la battaglia sulla carne sintetica si sposta in Europa. Alleiamoci coi Paesi del Sud».La tensione è scemata, ma la preoccupazione resta. Il timore è che si voglia tornare agli antichi stereotipi: il bifolco, il contadino che zappa e deve tacere perché alle sorti del mondo ci pensano gli altri. «Per me», dice quasi con la voce rotta Ettore Prandini, «è un’offesa inaccettabile». Il dinamico e giovane presidente di Coldiretti (ci sarà a fine dicembre l’assemblea nazionale, ma la riconferma sembra più che scontata) porta ancora dentro una cicatrice. Giovedì scorso era con molti suoi agricoltori davanti a Palazzo Chigi a manifestare in attesa che la Camera approvasse definitivamente il disegno di legge dei ministri della Sovranità alimentare e della Salute Francesco Lollobrigida ed Orazio Schillaci, che vieta la produzione, commercializzazione e importazione della carne coltivata. A un certo punto ha avuto un alterco con Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi di +Europa, usciti dal Parlamento con un cartello che hanno sventolato davanti ai manifestanti Coldiretti, con scritto: coltivate ignoranza. «Quando l’ho visto ho sentito il dovere di difendere la mia gente: è inaccettabile che un parlamentare offenda due milioni di agricoltori che con la loro fatica ogni giorno sfamano il Paese. Noi eravamo lì a festeggiare - in una manifestazione regolarmente autorizzata - l’approvazione di una legge che va nell’interesse di tutti i cittadini. Chi chiede rispetto per le istituzioni deve essere il primo a rispettare i cittadini che manifestano liberamente». Il fatto è che +Europa sta dalla parte delle multinazionali che vogliono chiudere le stalle per aprire i bioreattori ed Ettore Prandini - a sua volta allevatore - sta con gli agricoltori e con la zootecnia buona. Partiamo da qui a discutere del futuro dei nostri campi con chi peraltro fin da ragazzino - il padre del presidente di Coldiretti, Giovanni, è stato più volte ministro e uno degli esponenti di punta della Dc - è stato educato al rispetto del Parlamento. «Forse per questo l’offesa che viene da un parlamentare che deve farsi votare da quelli del Pd, perché col suo partito non avrebbe il consenso sufficiente a farsi eleggere, mi brucia ancora di più: non sopporto che si sminuisca il lavoro, la fatica, l’intelligenza, la capacità degli agricoltori».La legge sul no ai cibi sintetici però è un successo, anche della Coldiretti: non è soddisfatto?«Certo che sono soddisfatto. Abbiamo mobilitato milioni di persone, hanno sostenuto la nostra petizione tutte le Regioni, migliaia di sindaci. È chiarissimo che questa legge tutela i cittadini che chiedono tutela. Dopo l’approvazione definitiva della legge per fermare i cibi costruiti in laboratorio nei bioreattori, la battaglia si sposta in Europa dove l’Italia, che è leader mondiale nella qualità e sicurezza alimentare, ha il dovere di fare da apripista nelle politiche di tutela della salute dei cittadini. Peraltro non è la prima volta che facciamo da pionieri in Europa, dove ci aspettano altre prove».Dal punto di vista dell’impatto economico per noi la carne coltivata sarebbe un rischio?«Un rischio molto alto. Siamo il Paese che ha la migliore zootecnia d’Europa, siamo il Paese che ha la più alta biodiversità, aggressioni come quelle della carne sintetica al nostro sistema agricolo sono un danno gravissimo al valore economico delle nostre produzioni, ma anche della nostra specificità agricola».Dunque rimandate al mittente le accuse di essere anti-scientifici?«La verità è che noi diamo fastidio a molti, forse a troppi. Diamo fastidio sia come agricoltori che come rappresentanza di milioni di aziende. Diamo fastidio a tutti quei poteri che vorrebbero un annacquamento di qualsiasi forma di rappresentanza soprattutto quando, come noi, porta avanti proposte e azioni sfidanti che mettono in dubbio i paradigmi di una globalizzazione che è stata raccontata come l’eldorado, che doveva salvare il mondo, e che invece ha fallito, ha impoverito i ceti medi, che punta sull’omologazione. Per questo danno fastidio gli agricoltori che fanno vera innovazione, che producono con intelligenza. E evidente che c’è un progetto per staccare la produzione del cibo dall’agricoltura, per avere prodotti sintetici omologati sui quali guadagnano in pochi a discapito di tutti. Se questo è sviluppo, se questa è innovazione noi non ci stiamo».Ma se l’Europa dovesse dare via libera alla finta carne dovremmo obbedire?«La legge approvata giovedì mette in luce quattro aspetti. Tutela la qualità, la salute e i primati del Made in Italy con la dieta mediterranea proprio nel giorno del compleanno della sua iscrizione nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, avvenuta il 16 novembre del 2010. Secondo aspetto: è un segnale importante per l’Ue che, nel rispetto del principio di precauzione, ha già portato da oltre 40 anni a mettere al bando negli alimenti l’uso di ormoni che sono invece utilizzati nei processi produttivi della carne a base cellulare. La Commissione Agricoltura dell’Europarlamento ha già respinto a larga maggioranza un emendamento che individuava nelle proteine coltivate in laboratorio una delle possibili soluzioni al problema della dipendenza degli allevamenti europei dagli approvvigionamenti dall’estero. E peraltro l’opinione pubblica europea comincia a pensarla come gli italiani. Terzo: un’eventuale richiesta di autorizzazione alla commercializzazione della carne sintetica non potrebbe essere valutata dall’Ue con le procedure ordinarie dei novel food, ma per gli ingredienti utilizzati vanno applicate le stesse procedure previste per i medicinali. Anche alla luce del fatto che, dalle allergie ai tumori, sono 53 i pericoli potenziali per la salute legati ai cibi prodotti in laboratorio individuati nel Rapporto Fao e Oms. Quarta ragione, quella ambientale: Derrick Risner ed i suoi colleghi dell’Università della California a Davis hanno evidenziato che il potenziale di riscaldamento globale della carne sintetica è da 4 a 25 volte superiore a quello della carne bovina tradizionale. Mi pare che stavolta l’Italia faccia un favore all’Europa».Dunque anche le obiezioni ambientali alla zootecnia sono strumentali?«Si portano dati in Europa che non c’entrano nulla con noi. Se si guarda al Brasile con concentrazioni di decine di miglia di capi, ai grattacieli cinesi dove sono stipati 40.000 capi, ai Paesi arabi dove ci sono due stalle una con 80.000 capi e una con 100.000 è chiaro che sballa tutto. Da noi le stalle non arrivano a 250 capi: siamo la zootecnia più sostenibile al mondo».Allora come si spiega gli attacchi e le prese di posizioni europee anti-agricole?«Vogliamo prendere atto o no che per ogni eurodeputato ci sono 20 lobbisti che fanno gli interessi delle multinazionali? Con questo finto ambientalismo c’è una dichiarata volontà di attaccare la capacità produttiva dell’agricoltura per favorire l’importazione dall’estero di prodotti che peraltro non hanno i nostri stessi standard. E anche per fare spazio ai cibi alternativi: torniamo ai novel food e alla carne sintetica che rende palese che si vuole staccare la produzione di cibi dall’agricoltura. Insistiamo sulle norme specchio - cioè stessi controlli e stesse garanzie - sulle etichette di origine. Vorrei interrogare i difensori del finto ambientalismo su un tema: se smettiamo di coltivare e abbandoniamo le aree interne chi mantiene il suolo? Poi ci si lamenta del dissesto idrogeologico. Ecco vorrei che facessero una riflessione sul valore anche da questo punto di vista dell’agricoltura».A proposito di sviluppo, il 25 e 26 novembre tenete il Forum dell’agroalimentare: quali sono i temi centrali e le richieste?«Sono la necessità di salvaguardare la nostra produzione e il nostro modo di produrre. Sono le sfide internazionali che abbiamo con l’agroalimentare in scenari sempre più complicati: penso ai conflitti, ma penso anche alle sfide e agli attacchi che pone la grande finanza, alla speculazione sempre più esosa. C’è il tema della difesa dei nostri valori e della qualità e infine c’è l’esigenza di rafforzare le filiere. Daremo forma a una piattaforma di vero sviluppo agricolo e alimentare». Temi da portare in Europa dove però siamo minoranza…«Sono convinto che si debba, ma soprattutto si possa, creare un’alleanza dei Paesi del Sud d’Europa che hanno una specificità agricola del tutto diversa dal Nord. Sono convinto che dopo le elezioni europee questa alleanza sarà possibile». Ma intanto i dati dicono che si è sgonfiato il boom del made in Italy all’estero. È così?«Due guerre in corso non possono non pesare. La crisi che c’è in Germania, molto più forte che da noi, che è il nostro primo cliente non può non influire, ma penso che si tratti di una congiuntura momentanea. La nostra qualità è vincente. Semmai va fatta una riflessione sulla necessità di una maggiore e migliore internazionalizzazione. Con tutto il rispetto e riconoscendone il ruolo decisivo, non possiamo andare all’estero con le singole Regioni: bisogna vendere il marchio Italia, che peraltro è il terzo più potente al mondo, tutti insieme. Per questo insistiamo sul made in Italy».Con i Villaggi Coldiretti avete lanciato un dialogo diretto con i cittadini; com’è andata?«È stato un notevolissimo successo. Abbiamo incontrato due milioni di persone, gli abbiamo offerto un menù ad 8 euro per dimostrare che difendere la qualità italiana è indispensabile, fa bene e conviene. È stato un importante momento sociale: la gente ci apprezza e ci sprona e noi continueremo a difendere i principi distintivi della nostra agricoltura, del nostro cibo. Abbiamo il dovere di custodire per loro questi valori e di puntare alla massima qualità».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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