2022-03-10
Chesterton spiega i veri «barbari» pronti a fare a pezzi la civiltà
Gilbert K. Chesterton (Getty Images)
Rubbettino pubblica il testo anti prussiano del 1914 in cui l’autore inglese rintraccia il «male europeo moderno». Un progressismo che riduce l’uomo a oggetto di rapporti di forza. Cancellando la parola, la tradizione e il diritto.Mentre Berlino si riarma - con l’inquietudine che i precedenti storici legittimano - e la barbarie si scarica nella geografia prossima dell’Europa, Rubbettino propone un testo di fatto inedito di Gilbert Keith Chesterton. Pubblichiamo, per la traduzione e la curatela del vicedirettore della Verità, Martino Cervo, stralci da La barbarie di Berlino, pamphlet interventista del 1914. Allo scoppio della guerra, il creatore di Padre Brown si rivolge ai connazionali illustrando le ragioni dell’interventismo dopo Sarajevo. Ma la circostanza viene scavalcata - qui sta l’attualità profonda del testo - dall’indagine su quello che il grande inglese chiama «male europeo moderno». Ciò che, nella prosa implacabile resa più stringente dal clima bellico, Gkc imputa alla categoria spirituale del «prussiano» è in realtà una possibilità della storia europea di cui abbiamo evidenze in cronaca. Il precipitato naturale di un imperialismo psicologico che, lungi dall’esserne aberrazione, rappresenta un possibile esito del pensiero e della nostra cultura, e della sua proiezione sul mondo. La «barbarie» è una questione di fini, non di mezzi: di concezione della civiltà e dei rapporti tra uomini e tra Stati, di riconoscimento o meno di ciò che li precede e anticipa, sia esso la parola, il patto, il diritto, la tradizione, la natura, Dio. Reagire all’assetto che distrugge questo «dato» primo è, per Chesterton, un dovere a difesa della civiltà. Il motivo per cui valga vivere, scrivere e, ove necessario, combattere. Completano il volume le tre Lettere ad un vecchio garibaldino dello stesso Chesterton, coerenti con la temperie interventista dell’autore in quegli anni.La barbarie non è questione di mezzi, quanto di fini. Riteniamo che questi vandali con una patina di civiltà abbiano l’obiettivo terribilmente serio di distruggere alcune idee che il mondo - secondo loro - ha sorpassato, ma senza le quali - secondo noi - il mondo perirà.È essenziale che questa perniciosa peculiarità del prussiano, o “barbaro positivo”, venga colta. Egli ha ciò che, nella sua fantasia, è un’idea nuova, e intende applicarla su chiunque. Di fatto si tratta semplicemente di una falsa generalizzazione, ma sta davvero cercando di renderla generale. Ciò non accade con il “barbaro negativo”: non si applica al Russo o al Serbo, anche se sono barbari. Se un contadino russo picchia la moglie, lo fa perché i suoi avi lo hanno fatto prima di lui. E lo farà sempre meno, a mano a mano che il retaggio del passato tende a scomparire. Non pensa, come farebbe il prussiano, di aver fatto una nuova scoperta nel campo della fisiologia, accorgendosi che una donna è più debole di un uomo. Se un serbo accoltella il rivale senza dire una parola, lo fa perché altri serbi l’hanno fatto. Potrà perfino considerarlo un atto di pietà, ma di certo non un progresso. Non pensa, come farebbe il prussiano, di inaugurare una nuova scuola di orologeria partendo prima del «via!». Non pensa di essere all’avanguardia nel mondo militare perché è in retroguardia nel campo della morale. No: il pericolo del prussiano è che è pronto a combattere per vecchi errori come se fossero nuove verità. Ha orecchiato certe sciatte semplificazioni, ed è convinto che non ne abbiamo mai sentito parlare. E, come ho detto, la sua follia, limitata ma molto sincera, si concentra principalmente nel desiderio di distruggere due idee, le due idee gemelle da cui ha origine la società razionale. guerra alla promessaLa prima idea è quella del documento e della promessa, la seconda quella della reciprocità. È assodato che la parola data, ovvero l’estensione della responsabilità nel tempo, è ciò che ci distingue non solo dai selvaggi, ma dai bruti e dai rettili. La sagacia del Vecchio Testamento coglieva questo aspetto quando riassumeva l’oscura e irresponsabile enormità del Leviatano nelle parole: «Stipulerà forse con te un’alleanza?». La promessa, come la ruota, non esiste in natura, ed è il marchio dell’uomo. Facendo riferimento esclusivo alla civiltà umana, si può davvero dire che in principio era la Parola. Il giuramento è per l’uomo ciò che il canto è per l’uccello, o l’abbaiare per il cane: è la sua voce, ciò che lo rende riconoscibile. Come l’uomo che non sa rispettare un appuntamento non è adatto nemmeno per combattere a duello, così l’uomo che non è in grado di mantenere un appuntamento con se stesso non è abbastanza sano di mente neppure per suicidarsi. Non è facile ricordare qualcosa di altrettanto decisivo da cui si può dire dipenda l’enorme apparato della vita umana. Ma se essa dipende da qualcosa, è da questo esile filo, teso tra le colline dimenticate dello ieri e le montagne invisibili del domani. Da questo filo solitario pende tutto: dall’Armageddon a un almanacco, da una rivoluzione vittoriosa a un biglietto di ritorno. E contro questo filo solitario si accanisce vigorosamente il barbaro, con una sciabola il cui filo fortunatamente è spuntato. Chiunque può rendersi conto di ciò, semplicemente osservando gli ultimi negoziati tra Londra e Berlino. I prussiani avevano fatto una nuova scoperta di politica internazionale: che può spesso essere conveniente fare una promessa, e curiosamente poco conveniente mantenerla. Nella semplicità del loro cuore furono conquistati da questa scoperta scientifica, e divennero desiderosi di comunicarla al mondo. Pertanto, fecero una promessa all’Inghilterra, a condizione che quest’ultima rompesse la parola data, e con l’implicita condizione che la nuova promessa potesse essere rotta tanto facilmente quanto la precedente. Con profondo stupore della Prussia, tale ragionevole offerta fu rigettata! E io credo che lo stupore della Prussia fosse piuttosto sincero. Questo intendo, quando dico che il barbaro tenta di recidere quel filo di onestà e chiara coscienza da cui dipende tutto ciò che gli uomini hanno compiuto.I sostenitori della causa tedesca si sono lamentati del fatto che asiatici e africani, poco meglio di selvaggi, siano stati lanciati contro di loro dall’India e da Algeri. In circostanze normali, condividerei questo lamento di un popolo europeo. Ma le circostanze non sono normali. Ancora una volta, la barbarie decisamente singolare della Prussia va al di là di ciò che chiamiamo barbarie. [...] Anche i selvaggi fanno promesse, e rispettano coloro che le mantengono. Anche gli orientali mettono le cose nero su bianco, e malgrado scrivano da destra a sinistra conoscono l’importanza di un accordo scritto. Molti mercanti vi confermeranno che la parola di un sinistro e quasi disumano cinese vale spesso tanto quanto il suo contratto. E fu tra palme e tende di Siria che la Parola aprì il suo tabernacolo a colui che giura a proprio danno ma mantiene la parola. Senza dubbio l’Oriente è un fitto labirinto di ambiguità, e forse c’è più astuzia in un asiatico che in un tedesco. Ma non stiamo parlando delle violazioni della moralità umana in varie parti del mondo. Stiamo parlando di una nuova moralità disumana, che nega in blocco l’obbligo di mantenere l’impegno. I loro intellettuali hanno detto ai prussiani che tutto dipende dall’umore. E i loro politici hanno aggiunto che tutti gli accordi si possono sciogliere a fronte della «necessità». Ecco l’importanza cruciale della frase del Cancelliere tedesco. Non ha accampato scuse speciali sul Belgio, come fosse un’eccezione che conferma la regola. Ha detto chiaramente, secondo un principio applicabile ad altri casi, che la vittoria era una necessità e l’onore un semplice pezzo di carta. Ed è evidente che la semi-istruita immaginazione dei prussiani non può andare più in là di così. Non arriva a capire che se le azioni di ciascuno fossero completamente imprevedibili da un’ora all’altra, non saremmo solamente davanti alla fine di qualunque promessa, ma anche di ogni progetto. filosofi a berlinoIncapace di vedere questo, il filosofo di Berlino è davvero su un livello intellettuale inferiore rispetto all’arabo che rispetta il buon senso, o del bramino che protegge la casta. E in questa controversia abbiamo il diritto di presentarci con scimitarre come con sciabole, con archi come con fucili, con zagaglie, asce indiane e boomerang, perché in tutte queste armi c’è almeno un briciolo di civiltà che questi intellettuali anarchici vorrebbero distruggere. E se dovessero affrontarci al nostro estremo respiro cinti di spade così strane, e al seguito di insegne sconosciute, e chiederci per cosa combattiamo in una compagnia così bizzarra, sapremmo perfettamente come rispondere: «Ci battiamo per la fiducia e le alleanze, per la memoria salda e il possibile incontro degli uomini, per tutto ciò che rende la vita diversa da un incubo fuori controllo. Combattiamo per la vittoria dell’onore e del ricordo, per tutto ciò che può innalzare un uomo dalle sabbie mobili dei suoi umori e dargli la signoria sul tempo».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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