2019-02-13
Caterina si è sacrificata per il figlio. È lei l’emblema della fede cristiana
Dopo averle diagnosticato un cancro in gravidanza, i medici le avevano suggerito l'aborto. Lei ha cambiato le cure e ha cresciuto due bimbi. Il male è tornato ed è morta: il suo funerale «gioioso» ha unito tutta Firenze.Ci osserva con lo stesso sorriso del giorno del matrimonio, avvolta nella felicità di una foto con i chicchi di riso fra i capelli neri scattata all'uscita dalla chiesa. Ci osserva ma non ci giudica, Caterina Morelli, guidata dalla fede nella casa del Padre l'8 febbraio scorso per la suprema scelta di vita: sacrificare la propria perché suo figlio, il piccolo Giacomo, potesse camminare nel mondo. I medici le avevano diagnosticato un tumore al seno a 37 anni mentre era in dolce attesa, le avevano consigliato di abortire per curarsi meglio, le avevano garantito un'evoluzione positiva del male. Ma lei, per amore di quel bambino, ha deciso di portare avanti la gravidanza. Ha messo sul piatto della bilancia due vite e ha sacrificato la propria, da mamma.È la storia di Caterina, che oggi non vorrebbe sentir parlare di eroismo perché lo ha praticato consapevolmente ogni giorno difendendo quella scelta, camminando verso il destino accompagnata dall'angoscia, dal dolore e dalla speranza. Illuminata da una fede incrollabile, cementata da anni dentro il movimento di Comunione e liberazione (il 9 febbraio don Julián Carrón l'ha indicata come esempio a tutti i membri della Fraternità di CL). È stata un esempio, la sua casa di Firenze è diventata meta di chi ne condivideva la dolce tenacia, di chi l'ha vista combattere contro il «buon senso» comune, alla ricerca di qualcosa di sacro che potremmo chiamare grazia. Caterina era sposata con Jonata dal 2012, aveva due figli, Gaia e Giacomo, ed era un medico. Quindi era anche più consapevole di altri, conosceva i messaggi del proprio corpo, ne avvertiva gli scricchiolii, sapeva perfettamente a cosa avrebbero portato una chemio e una radio in più, una rinuncia in meno. Ha combattuto sette anni; il tumore si era materializzato qualche giorno dopo le nozze, e per una beffa del destino le era stato diagnosticato qualche ora dopo la notizia più bella, quella della seconda gravidanza.Per lei il giorno del giudizio è stato quello. E oggi, in nome del suo esempio e della sua sofferenza, c'è un mondo che la celebra. «Le persone come te fanno bella la terra». «Hai dato a tutti noi una grande forza e un coraggio smisurato, non ti dimenticheremo». «Una donna meravigliosa che ha perso la vita per darne un'altra». Sono solo alcuni dei messaggi in bottiglia lanciati sulla rete (Facebook, WhatsApp dove aveva aperto un gruppo di preghiera e di conforto) dalle persone che l'hanno conosciuta o semplicemente che ne stanno conoscendo la vicenda terrena. «Ciao Cate, siamo con te», si leggeva su uno striscione allo stadio di Firenze, luogo di invettive e promesse belliche, dove lei con quel sorriso disarmante è riuscita perfino a zittire gli ultrà della curva Fiesole. E a derubricare la visceralità di una partita di calcio a insignificante dettaglio.La battaglia di Caterina prende il via quel giorno del 2012. Si sposa, si prepara ad accogliere il secondo figlio, si specializza in chirurgia pediatrica e comincia il primo ciclo di chemioterapia. Il male fa un passo indietro, ma non scompare. A Firenze insistono per l'interruzione della gravidanza, ma lei non vuole, si rivolge all'Istituto europeo di oncologia di Milano e concorda una terapia meno invasiva, anche se più rischiosa. Nasce Giacomo, il suo obiettivo è raggiunto anche se il prezzo sarà altissimo. Il suo percorso non è una beatitudine e noi non possiamo neppure immaginare le sofferenze, le lacrime, le notti trascorse con il marito a chiedere conforto, a cercare nelle pieghe del buio quel Dio manzoniano «che atterra e suscita, che affanna e che consola».Nel 2015 le metastasi si ripresentano, nel frattempo sono emigrate altrove nel suo corpo già debilitato. Lei non demorde, ma mentre affronta le cure organizza viaggi a Lourdes e a Medjugorje dove la preghiera è obiettivo di tutti. Attorno a Caterina prende forma un mondo di malati e di famiglie in cerca di speranza. La sua serenità diventa un esempio, la sua forza d'animo indica la strada, la sua casa si trasforma in un luogo di confronto collettivo. Come scrive in un post su Facebook Gabriele Toccafondi, deputato di Area civica, «lei non rinuncia mai a trasmettere positività alle persone che hanno perduto la fede», ad accogliere i senzatetto, a conoscere il mondo e a stupirsi delle sue meraviglie. A fine 2018 il tumore dà l'ultima spallata. Caterina coglie il segnale e chiede di anticipare la prima comunione di Gaia. Vuol vedere sua figlia salire all'altare, avvicinarsi a Gesù. Poi detta le ultime volontà, il suo funerale dovrà essere una festa, qualcosa che somigli alla sua scelta, al mondo che lascia, al profilo di Giacomo che si sovrappone al suo. Gesti semplici e definitivi, esempi concreti d'una religiosità solida che stridono perfino con la deriva politica della Chiesa di questi tempi, così concentrata sui temi sociali del mondo secolarizzato da dimenticarsi le soste della Via crucis, la narrazione eterna della meraviglia del cristianesimo. Quel «Ciao Cate, siamo con te», letto in uno stadio fra migliaia di tifosi, oggi ci risulta più delicato e potente di ogni editoriale di padre Antonio Spadaro sul destino dei cattolici. Perché non c'è nulla da scoprire, se non la definitività sempre nuova del sacrificio di una madre ai piedi della croce, orgogliosa di avere salvato (ancora una volta) suo figlio.
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Ll’Assemblea nazionale francese (Ansa)