2020-10-09
Buzzi vuota il sacco sulla Capitale. «Il Pd, che spettacolo desolante»
Uno dei volti simbolo dell'inchiesta sul malaffare romano svela «la sua verità» in una lunga intervista su Dplay e in un libro. «Non sono un corruttore. Ho pagato io le truppe cammellate per le primarie dem».Salvatore Buzzi è più combattivo che mai. Poco meno di un anno fa la Corte di cassazione ha escluso l'associazione mafiosa nel processo passato alla storia come «Mafia capitale», e ora l'uomo che fu al vertice della cooperativa 29 giugno è in attesa del nuovo processo d'appello. Una sentenza senza l'ombra della mafia potrebbe consentirgli di evitare il carcere. Nel frattempo, Buzzi ha deciso di aprire l'idrante. Vuole parlare e raccontare la sua verità. Ha da poco pubblicato un libro, Se questa è mafia (Mincione edizioni), e non si trattiene dal rilasciare interviste televisive. Dovremmo vederlo su La7, da Massimo Giletti, nei prossimi giorni. Ma la prima apparizione in assoluto sullo schermo la farà grazie a Dplay Plus, la piattaforma streaming pay di Discovery Italia, che oggi renderà disponibile La versione di Buzzi, una lunga intervista faccia a faccia con il giornalista Daniele Autieri, che La Verità ha potuto vedere in anteprima. Come ovvio, Buzzi impiega la maggior parte del tempo a difendersi. Non ci sta a passare per corruttore, anzi tende a dipingersi come vittima - o, almeno, come ingranaggio - di un sistema di malaffare. Che non sarà mafioso ma, stando a quanto dice l'uomo della 29 giugno, era senz'altro endemico. In video, Buzzi racconta di aver conosciuto in carcere Roberto Spada (noto ai più per aver colpito con una micidiale testata un inviato della trasmissione Nemo): «Un ragazzo normale, tranquillo. Certo ha fatto quella stupidaggine, la testata... Ancora oggi lui dice che ha fatto una stupidaggine... Però si è preso 6 anni per una testata». Seguono vari attacchi alla giustizia italiana («Dopo quello che mi è successo dubito di tutte le condanne»). E infine si arriva lì, al cuore della vicenda: ai rapporti tra la politica e gli affari (non esattamente puliti). Buzzi scende nei particolari, racconta dei rapporti opachi costruiti a destra e a sinistra. Insiste a spiegare che la quasi totalità degli atti di corruzione che gli vengono imputati sarebbero stati, in verità, una sorta di «pizzo» che lui era costretto a pagare ai politici per farsi versare denari dovuti. Tra i suoi contatti ci furono due uomini dell'amministrazione di destra. «Quando Alemanno diventò sindaco», racconta, «la nostra cooperativa cominciò a essere contestata. Con Alemanno avevamo problemi. Io l'avrò incontrato 3 o 4 volte in 5 anni. Per il resto non avevamo rapporti con nessuno. A parte Franco Panzironi e Riccardo Mancini. Con Panzironi c'erano rapporti “mercantili". Davamo soldi in parte in chiaro e in parte in nero. Credo che in nero gli abbiamo dato 250.000 euro. Mentre con Mancini le relazioni erano ottime. Mancini (che ora è morto, ndr) era un mio amico. Lo avevo conosciuto in carcere. È stato lui a presentarmi Massimo Carminati, mi disse di partecipare a una gara d'appalto assieme a lui».L'uomo simbolo dell'inchiesta che fu Mafia Capitale, tuttavia, appare particolarmente duro nei confronti del Partito democratico. Sia nel libro sia nell'intervista video ripete gli stessi concetti, piuttosto pesanti. Nel sul testo autobiografico se la prende «con il Pd che addirittura si è costituito, con una faccia di bronzo, parte civile contro me e i collaboratori di 29 giugno iscritti al partito. Forse perché a volte ho pagato gli stipendi degli impiegati della federazione romana? Ho sponsorizzato la campagna elettorale di decine di candidati? O perché ho assunto centinaia di persone segnalate? O perché ho fatto votare alle primarie per eleggere il segretario cittadino, nell'ottobre 2013 ben 220 persone? Eh sì, le famose truppe cammellate che si vedono alle primarie del Pd. Erano in ballo Giuntella, sostenuto dall'area di Bersani contro Cosentino, sostenuto da Bettini e Zingaretti. Io nel mezzo, sollecitato da entrambi e alla fine metto in campo 220 votanti, 140 per Giuntella e 80 per Cosentino». Passaggi roventi, che però (come spesso accade quando ci sono di mezzo i dem) non sembrano suscitare chissà quale indignazione. E dire che gli esponenti del Pd, a partire da Matteo Orfini, si ostinarono per mesi a ribadire che «il Pd non c'entra con Mafia Capitale». Stando a Buzzi, non è proprio così. «La nostra casa è sempre stata la sinistra», dice nell'intervista visibile su Dplay Plus. «La campagna elettorale l'abbiamo fatta a Marino, non ad Alemanno. C'abbiamo le prove. Anzi con Alemanno per 5 anni è stato difficile, era un'amministrazione ostile». Tra le varie cose che il capo della 29 giugno fece per il Pd ce n'è una surreale: Buzzi racconta che nel 2013 aveva accumulato circa 11 milioni di euro di credito con il Comune di Roma per la gestione dell'accoglienza. «Per farmi dare quei soldi ho dovuto pagare 130.000 euro. Parte di quei 130.000 sono serviti a finanziare un convegno del Pd». Si tratta di un convegno che si è tenuto al Teatro Quirino il 29 novembre 2014, pochi giorni prima del suo arresto. A quell'evento l'ospite d'onore era Giuseppe Pignatone. «Volevano presentarmelo», dice Buzzi, «ma ho declinato». Il giorno prima, dopo tutto, era partito il mandato di carcerazione con il suo nome scritto sopra. Gli strali contro la sinistra, in ogni caso, non sono finiti. «Siamo cresciuti con Rutelli e ci siamo sviluppati con Veltroni», racconta Buzzi. «Ma in quegli anni non abbiamo mai ricevuto una richiesta inopportuna. Quando è arrivato Marino in Consiglio comunale c'è stato un decadimento desolante. Quello che ho visto con Marino non lo avevo mai visto prima. Chissà, forse perché eravamo diventati molto grandi... Tutti venivano a chiedere». Fu da quel contesto che emerse una delle frasi storiche di Buzzi: «La mucca deve mangiare per essere munta». Lui la spiega così: «È normale, se mi chiedi di assumere gente prima mi devi dare lavoro». L'altra frase mitologica, quella sui migranti che rendono più della droga, Buzzi la attribuisce a un momento di rabbia durante un litigio con una sua collaboratrice. In sostanza la rinnega. Peccato: è tra le cose più vere che abbia mai detto.