2019-01-26
Bussetti non espelle i cellulari dalla scuola
Il ministro dell'Istruzione si oppone alle proposte di Lega e Forza Italia per vietare gli smartphone: «Fanno parte della didattica e ho fiducia nei ragazzi». Molti studi però dimostrano che rallentano l'apprendimento. Perfino Bill Gates disse no ai suoi figli.Mariastella Gelmini. Poi ce n'è un'altra realizzata da Giorgia Latini della Lega. Entrambe si inseriscono nella discussione (in corso alla commissione Cultura della Camera) riguardo la legge che istituisce l'insegnamento dell'educazione civica nella scuola primaria e secondaria e che ha per primo firmatario il leghista Massimiliano Capitanio. Il testo della Gelmini è chiarissimo: «Fatti salvi i casi previsti dal presente articolo», si legge, «è vietata l'utilizzazione dei telefoni mobili e degli altri dispositivi di comunicazione elettronica da parte degli alunni all'interno delle scuole primarie, delle scuole secondarie di primo e di secondo grado e negli altri luoghi in cui si svolge l'attività didattica». È, semplicemente, una norma sacrosanta. Eppure, la reazione di Bussetti è stata fredda, per non dire gelida. «L'utilizzo dei device per quanto riguarda la didattica è uno strumento fondamentale e quindi sono a favore del loro uso ma soprattutto ho fiducia nei nostri studenti», ha commentato ieri il ministro. Poi ha aggiunto: «Credo molto nel loro senso di responsabilità sull'uso consapevole di questi strumenti ai fini di un migliore apprendimento. Condanno invece in maniera decisa l'uso per altri fini». Ecco, saremmo davvero molto curiosi di sapere quale possa essere «l'uso consapevole» dello smartphone ai «fini dell'attività didattica». Forse gli studenti lo utilizzeranno per fare ricerche su Wikipedia? Bella prospettiva, non c'è che dire. Appena Bussetti si è insediato, il nostro giornale gli ha rivolto un appello: gli abbiamo chiesto di fare un passo indietro sui cellulari in classe. L'idea geniale, come noto, era venuta a Valeria Fedeli, responsabile dell'Istruzione per il precedente governo. Nel settembre del 2017, la rossocrinita democratica ha convocato un gruppo di esperti (praticamente tutti favorevoli all'utilizzo del cellulare in classe) che in poco più di tre mesi ha prodotto un decalogo rivolto agli insegnanti. Poiché «il telefonino è nelle mani di tutti», dichiarò la Fedeli, «rifiutare che entri a scuola non è la soluzione». Non bastava che i dispositivi elettronici assorbissero costantemente occhi e menti dei ragazzi (compresi i bambini della scuola primaria) nell'arco della giornata e durante il cosiddetto tempo libero. No, bisognava che l'ossessione digitale proseguisse anche in classe. «La scuola accoglie e promuove lo sviluppo del digitale nella didattica», si leggeva nel testo presentato in pompa magna dalla Fedeli. Persino Giuseppe Fioroni, un ministro di centrosinistra, aveva un'opinione diversa. Tanto che, nel 2007, stabilì alcune linee guida sull'utilizzo dei telefonini a scuola, spiegando che «l'uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici rappresenta un elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente». Ecco, noi speravamo con tutto il cuore che il nuovo governo, animato da passioni identitarie e sovraniste, ponesse rimedio allo scempio, opponendosi all'inutile invasione tecnologica. E invece niente da fare. Bussetti, sull'argomento, si è sempre mantenuto vago. Almeno fino a ieri, quando ha fatto chiaramente capire di non apprezzare il divieto di utilizzo dei supporti elettronici. Prendiamo atto della sua autorevole opinione, ci mancherebbe. Sarebbe interessante, però, sapere da che cosa sia motivata. Se diamo un'occhiata agli studi svolti in questi anni a livello internazionale, ci rendiamo conto che all'uso degli smarthpone si oppongo un bel po' di luminari. Ricordiamo, per esempio, lo studio realizzato nel 2015 da Louise-Philippe Beland e Richard Murphy della London school of economics, il quale dimostra che «nelle scuole che mettono al bando gli smartphone i risultati degli studenti nei test migliorano». A conclusioni simili è giunta una ricerca effettuata nel 2012 da Jeffrey H. Kuznekoff (Ohio university) e Scott Titsworth (University of Nebraska). Non per nulla, i cellulari a scuola sono vietati in Francia, nel 90% circa delle scuole inglesi, in vari istituti tedeschi e persino in tantissimi Stati americani. Potremmo continuare citando i libri di Jean M. Twenge, psicologa della San Diego state university, o quelli del grande germanico Manfred Spitzer (Corbaccio ha appena ristampato il suo Demenza digitale, titolo eloquente). Nel 2010, Steve Jobs in persona dichiarò al giornalista Nick Bilton: «In casa limitiamo l'uso della tecnologia ai nostri ragazzi». Bill Gates ha fatto sapere di aver vietato l'uso dei dispositivi digitali ai suoi figli fino ai 14 anni. Se persino i due santoni della rivoluzione digitale hanno agito così, per quale motivo i ragazzi italiani non dovrebbero essere protetti? Perché ci fidiamo del loro giudizio e siamo sicuri che mai e poi mai utilizzeranno il cellulare per mandare messaggini o chattare? Siamo seri, per favore. Caro ministro, dica no agli smartphone. Non è una cosa di destra né di sinistra. È solo buonsenso.
(Guardia di Finanza)
In particolare, i Baschi verdi del Gruppo Pronto Impiego, hanno analizzato i flussi delle importazioni attraverso gli spedizionieri presenti in città, al fine di individuare i principali importatori di prodotti da fumo e la successiva distribuzione ai canali di vendita, che, dal 2020, è prerogativa esclusiva dei tabaccai per i quali è previsto il versamento all’erario di un’imposta di consumo.
Dall’esame delle importazioni della merce nel capoluogo siciliano, i finanzieri hanno scoperto come, oltre ai canali ufficiali che vedevano quali clienti le rivendite di tabacchi regolarmente autorizzate da licenza rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ci fosse un vero e proprio mercato parallelo gestito da società riconducibili a soggetti extracomunitari.
Infatti, è emerso come un unico grande importatore di tali prodotti, con sede a Partinico, rifornisse numerosi negozi di oggettistica e articoli per la casa privi di licenza di vendita. I finanzieri, quindi, seguendo le consegne effettuate dall’importatore, hanno scoperto ben 11 esercizi commerciali che vendevano abitualmente sigarette elettroniche, cartine e filtri senza alcuna licenza e in totale evasione di imposta sui consumi.
Durante l’accesso presso la sede e i magazzini sia dell’importatore che di tutti i negozi individuati in pieno centro a Palermo, i militari hanno individuato la presenza di poche scatole esposte per la vendita, in alcuni casi anche occultate sotto i banconi, mentre il grosso dei prodotti veniva conservato, opportunamente nascosto, in magazzini secondari nelle vicinanze dei negozi.
Pertanto, oltre al sequestro della merce, i titolari dei 12 esercizi commerciali sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria e le attività sono state segnalate all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, per le sanzioni accessorie previste, tra le quali la chiusura dell’esercizio commerciale.
La vendita attraverso canali non controllati e non autorizzati da regolare licenza espone peraltro a possibili pericoli per la salute gli utilizzatori finali, quasi esclusivamente minorenni, che comprano i prodotti a prezzi più bassi ma senza avere alcuna garanzia sulla qualità degli stessi.
L’operazione segna un importante colpo a questa nuova forma di contrabbando che, al passo con i tempi, pare abbia sostituito le vecchie “bionde” con i nuovi prodotti da fumo.
Le ipotesi investigative delineate sono state formulate nel rispetto del principio della presunzione d’innocenza delle persone sottoposte a indagini e la responsabilità degli indagati dovrà essere definitivamente accertata nel corso del procedimento e solo ove intervenga sentenza irrevocabile di condanna.
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