2021-09-18
Amara abbandonato appena ha parlato del giro che conta
Pm e giornali lo coccolavano: serviva contro Luca Palamara ed Eni Ma quando ha coinvolto altre toghe e istituzioni è finito scaricato.Siamo stati i primi a pubblicare i verbali sulla loggia Ungheria del faccendiere Piero Amara, spiegando che tenerli chiusi nei cassetti avrebbe favorito ricatti e allusioni. Come ha dimostrato il caso del consigliere del Csm Sebastiano Ardita, il cui nome compare negli elenchi della loggia: quando il suo mentore Piercamillo Davigo lo ha scoperto, ha iniziato a mostrare le carte nei corridoi del Palazzo dei marescialli.Sin dal primo momento, ben sapendo che il faccendiere mischiava verità e bugie con grande perizia, non gli abbiamo dato credito e abbiamo provato a rompere il giocattolo che da troppo tempo maneggiava. C'è chi, invece, per mesi lo ha consultato neanche fosse l'oracolo di Delfi. Diversi uffici giudiziari gli hanno dato la patente del testimone affidabile, a partire da Roma, dove il procuratore aggiunto Paolo Ielo ha persino sconsigliato il suo arresto ricordando ai colleghi che avrebbero dovuto «affrontare un dibattimento con Amara teste di accusa». La Procura di Perugia, ancora a febbraio di quest'anno, quando era già ben chiara la sua inaffidabilità, lo ha utilizzato per provare a incastrare gli ex pm Luca Palamara e Stefano Fava, salvo poi cambiare improvvisamente cavallo e puntare su un altro faccendiere, Fabrizio Centofanti. Ma è a Milano che Amara è stato lucidato come una testata atomica e puntato sui vertici dell'Eni. Nel cosiddetto processo Opl 245 era un teste chiave e le sue dichiarazioni, alcune tra le più fumose e impalpabili, sono state trasmesse alla Procura di Brescia per tentare di disarcionare il giudice del processo Eni Marco Tremolada. Ovviamente la pratica è stata archiviata e i manager dell'Eni sono stati assolti. Nel bel mezzo del dibattimento che coinvolgeva l'azienda di Stato un pm della Procura, Paolo Storari, si è convinto che i suoi capi volessero mettere il coperchio sulle dichiarazioni di Amara. E così ha preso quei documenti esplosivi e li ha portati a Davigo. Il quale, come detto, è andato in tilt leggendo il nome del fedelissimo Ardita. Per circa un anno, però, sino alla pubblicazione del primo verbale sulla Verità, quelle carte e le trascrizioni di alcune registrazioni effettuate da Amara sono rimaste solo una chiacchiericcio da macchina del caffè.Eppure, dopo la cacciata di Davigo dal Csm al compimento del settantesimo anno di età, nel pieno della bagarre del processo Eni, con Amara teste chiave, la segretaria dell'ex campione di Mani pulite, Marcella Contrafatto, secondo la Procura di Roma, avrebbe inviato al suo giornale preferito, Il Fatto quotidiano, quei verbali, che, nella sua testa, smascheravano un sistema mefitico: «Come migliore giornalista da me riconosciuto, Le invio dei verbali molto interessanti» ha scritto a Marco Travaglio la signora. L'illusa, indottrinata dal quotidiano di riferimento, non aveva messo in conto la ragion di Stato, ovvero l'importanza che in quel momento Amara ricopriva nei vari filoni del processo Eni, uno dei temi prediletti dal giornale. E così l'inviato Antonio Massari, il 30 ottobre 2020, anziché raccontare ai lettori il contenuto del plico, prende il primo treno e va a Milano a portare quanto ricevuto in Procura, specificando, a verbale, il motivo della decisione di rinunciare allo scoop: «Considerata la rilevanza dei fatti esposti nei verbali di interrogatorio, ho ritenuto che il vero obiettivo dell'anonimo non fosse la mera divulgazione delle notizie, ma il danneggiamento dell'indagine e lo screditamento della fonte delle notizie cioè del dichiarante». Se la povera Contrafatto sperava che i suoi eroi avrebbero risvegliato dal torpore la Procura di Milano a colpi di esclusive, come nel 2016, quando, senza preoccuparsi delle conseguenze, misero in pagina gli atti segreti dell'inchiesta Consip, i cronisti, questa volta, erano più interessati a non «screditare» Amara, di cui, in queste ore, invece, rimarcano la «propensione a creare inchieste farlocche».Ieri i giornalisti di Fq, dopo aver deciso di mettere in pagina i verbali, come La Verità ha fatto a maggio e giovedì scorso, hanno spiegato la lunga autocensura non con la «tutela» di Amara, ma con l'esigenza di non pubblicare «notizie inesistenti» (se i verbali fossero stati apocrifi) o di non mettere in guardia «gli eventuali indagati» in presenza di dichiarazioni autentiche. Nel frattempo Amara è caduto in disgrazia ed è stato scaricato anche da chi prima lo coccolava come un pentito a 24 carati. Forse perché, come abbiamo letto, il faccendiere non chiama in causa solo magistrati di destra o amici di Palamara, ma anche l'ex premier grillino Giuseppe Conte (fortemente sostenuto dal Fatto), vecchi e nuovi vertici di Carabinieri e Guardia di finanza, toghe molto stimate nei circoli liberal della magistratura, come l'aggiunto di Roma Lucia Lotti (che, ci informa Il Fatto, avrebbe «chiarito la sua posizione»). E qual è adesso la prova provata della inattendibilità di Amara? Non l'assoluzione dei vertici dell'Eni, non il suo arresto a Potenza per una corruzione in atti giudiziari messa in piedi quando già collaborava con diverse Procure. No, la dimostrazione della sua scarsa credibilità è l'esito delle indagini della Procura di Perugia sulle accuse, non riscontrate, contro il giudice romano Marco Mancinetti. Un capitolo secondario della vicenda, ma sufficiente a giustificare la pubblicazione di tutti i verbali. Peccato che già prima del processo Eni in molti, noi per primi, avessimo messo in discussione la credibilità di Amara, a partire dal pm Fava, che, inascoltato ne aveva persino chiesto l'arresto perché il faccendiere aveva fatto incriminare con le sue presunte confessioni solo «quattro pensionati».Ma adesso che tutti scaricano Amara noi riteniamo doveroso chiederci: sono tutte balle quelle che ha raccontato? Si può buttare via il bambino con l'acqua sporca? Pensiamo di no. Soprattutto perché agli atti ci sono pizzini scritti da alcuni presunti affiliati a Ungheria, registrazioni e qualche notizia piuttosto circostanziata e facilmente riscontrabile.Una parte delle persone associate alla loggia, il faccendiere le ha frequentate per davvero. E anche molti magistrati che oggi dicono «Amara chi?» lo hanno incrociato. Eccome.Tra ieri e l'altro ieri i chiamati in causa (tutti innocenti fino a prova contraria) hanno smentito l'avvocato siciliano e annunciato querele. Dando la plastica evidenza dell'incredibile gioco di specchi dietro a questa inchiesta. Amara nei suoi verbali tira in mezzo anche coloro che dovrebbero indagare su di lui. Dai magistrati agli investigatori. Il comandante generale della Guardia di finanza Giuseppe Zafarana, citato come membro della loggia (cosa davvero difficile da credere) ha diramato un comunicato in cui ha negato di aver mai aderito a «tale iniziativa» o ad altre simili e ha aggiunto: «Anche in queste indagini il Corpo ha messo in campo le migliori risorse, ottenendo risultati di indubbia efficacia». Ricordando a tutti che a indagare sulle dichiarazioni che coinvolgono pure il loro capo sono proprio gli uomini della Guardia di finanza. Hanno smentito Amara anche gli ex comandanti generali di Gdf e Carabinieri Giorgio Toschi e Tullio Del Sette, i magistrati Luigi de Ficchy, Cosimo Ferri, Antonio Leone, Lorenzo Pontecorvo, l'ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, il presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, e l'editore Carlo De Benedetti. Un parterre che fa venire in mente Fabrizo De Andrè quando cantava: «Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)