2018-12-19
Il processo Eni-Nigeria fa emergere lo scontro tra lo Stato e i fondi
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Nuova udienza del processo sul giacimento nigeriano Opl-245, dove Claudio Descalzi è imputato per corruzione internazionale. Sul banco dei testimoni sfila Karina Litvack, consigliere indipendente, espressione dei fondi d'investimento che detengono la maggioranza delle quote flottanti. «Non fu verbalizzata una mia domanda su una società che era stata imposta a Eni dal governo del Congo». La manager venne estromessa dal Comitato Controllo rischi dopo le indagini della procura di Siracusa sul presunto complotto contro l'amministratore delegato e reintegrata nel 2017 dopo che la sua posizione fu archiviata. Durante il consiglio di amministrazione del 30 luglio del 2014 Claudio Descalzi avrebbe minacciato le dimissioni dopo una nota inviata al board dall'ex consigliere Luigi Zingales.Per chi segue da anni il caso Opl-245 - il giacimento in Nigeria in mano alle compagnie petrolifere Eni e Shell - l'udienza del 19 dicembre del processo che vede imputato l'amministratore delegato Claudio Descalzi per corruzione internazionale, passerà alla storia per lo scontro tra i fondi di investimento e Nerio Diodà, l'avvocato della società a partecipazione statale (30,10% tra Mef e Cdp) di San Donato. Sul banco dei testimoni è salita infatti Karina Litvack, consigliera indipendente espressa dai fondi nel 2014, rimasta tutt'ora nel board dopo quasi cinque anni di polemiche, indagini, storie di complotti, un particolare avvicendamento nel Comitato controllo e rischi (Ccr) il 29 luglio del 2016 («Ne fui informata a comunicato già scritto» ha spiegato) e poi una reintegrazione. E' stata considerata, sin dall'insediamento di Descalzi nel maggio del 2014, una dei due consiglieri scomodi, la manager straniera che provava a porre domande all'interno del board insieme a Luigi Zingales, poi dimessosi nel 2015. Litvack ha ripercorso gli ultimi anni passati dentro la società gestita da Descalzi e dal presidente Emma Marcegaglia, precisando ogni singolo dettaglio delle riunioni dei consigli di amministrazione, anche perché aiutata da un'agenda dove ha riportato sempre i resoconti. Durante l'udienza ha ricordato persino la riunione del cda del 30 luglio del 2014, quando Descalzi arrivò a minacciare le dimissioni in modo anche «molto colorito» per una nota che Zingales aveva inviato al board con cinque domande sui vertici della società. Non solo. Nel luglio 2015 Litvack avrebbe invitato anche a cena il numero uno di Eni. Lui, secondo la testimonianza, parlò di tutto, ma non di Opl-245. E alla fine lei gli disse: «Credo che tu sia onesto e che hai ricevuto consigli sbagliati». Lui, a quanto riferito, rispose: «Se ho accettato consigli ne sono responsabile. Sono il capo». Non solo, sempre tra le domande della manager canadese di questi anni ci fu quella sull'indagine svolta dalla agenzia investigativa indipendente Pepper Hamilton sulla Nigeria, dove avrebbe collaborato anche l'ex capo dei legali di Eni, ovvero Massimo Mantovani, ora indagato per associazione a delinquere: avrebbe cercato di depistare con alcuni dossier falsi nella procura di Siracusa (dove fu indagata e accusata proprio la consigliera indipendente) l'inchiesta milanese su Opl-245. Sulla vicenda nigeriana Diodà ha insistito con Litvack nel sapere quanto fosse venuta a conoscenza delle problematiche che riguardavano la società Malabù e il ruolo di Dan Etete, l'ex presidente che era già stato condannato in Francia per riciclaggio nel 2007 e che si era autoassegnato il giacimento alla fine degli anni '90. «Il caso Opl-245 era noto negli ambienti di Oil&gas, ma ne venni a conoscenza non appena insediata nel 2014 perché contattata dalla società civile, da Global Whitness e Trasparency International», ha spiegato Litvack, aggiungendo che nel 2016 aveva anche provato a porre una domanda sul Congo che non le fu verbalizzata dal consiglio di amministrazione: aveva sollevato problematiche su una società che era stata imposta dal governo congolese all'Eni. Anche sulle operazioni del Cane a sei zampe sul Paese centrafricano è stata aperta un'indagine dalla procura di Milano la scorsa primavera. I pm Sergio Spadaro e Paolo Storari ritengono che Eni, per ottenere il rinnovo dei diritti di sfruttamento dei giacimenti, abbia accettato di coinvolgere nei lavori società congolesi indicate dal governo per almeno il 10% del valore dei contratti, stimati in 350 milioni. Ma di quel 10% avrebbero beneficiato anche alcuni esponenti di governo attraverso partecipazioni occulte in società schermo tra cui la Africa Oil and gas corporation di Denis Gokana, consigliere speciale del presidente Sassou Nguesso. Anche nell'inchiesta congolese compare Roberto Casula, capo delle attività di esplorazione e produzione, già rinviato a processo per Opl-245. Non solo. Tra Nigeria e Congo c'è un altro punto di congiunzione, chiamato Maria Paduano, detta Marinù, moglie dell'ambasciatore Domenico Bellantone. Il dettaglio fu ricordato dall'Espresso in un'inchiesta, ma il nome della Paduano, indagata nell'inchiesta congolese - in quanto esponente della Wnr la presunta "società di comodo" che secondo gli inquirenti sarebbe stata il veicolo per retrocedere a Casula parte delle tangenti - compare anche nel libro Enigate (editrice Paper First) del giornalista Claudio Gatti dove si fa riferimento a una mostra organizzata nel 2011 ad Abuja proprio dalla moglie dell'ambasciatore insieme con Marta Boeri, lei moglie invece dell'ex capo centro Aise di Mosca, Nicola Boeri. Il tema della nostra intelligence estera nella vicenda Opl-245 è venuto fuori in un'altra udienza dove è stato ascoltato l'ex console italiano in Nigeria Antonio Giandomenico. E' stato lui a raccontare che fu il dirigente Aise Salvatore Castilletti - già capocentro del Sismi a Baghdad all'epoca della vicenda Sgrena-Calipari - a consigliare di scegliere Gianfranco Falcioni, anche lui sotto processo per la tangente da 1,1 miliardi di dollari, come viceconsole onorario. «Mi disse che secondo loro (Aise) era preferibile il signor Falcioni per quel compito», ha spiegato Giandomenico, al sostituto procuratore Spadaro. Non solo servizi, ma anche opere d'arte. Va ricordato che Patuano e Bori hanno curato diverse mostre d'arte in questi anni in Africa, tramite M&m Contemporary Art, di cui però non si ha traccia. Esiste invece una Nm Contemporary che ha come sede il Principato di Monaco, fondata da Matteo Basilè di cui sempre le due donne hanno curato una mostra al Cairo nel 2010, con il patrocinio dell'Ambasciata d'Italia in Egitto. Il nome della Paduano era già stato oggetto di polemiche durante l'ultima assemblea degli azionisti, quando l'associazione Re:Common aveva incalzato i vertici sull'assunzione dell'avvocato e curatrice di mostre nel settembre del 2017. Sono state due settimane complesse per il nostro colosso petrolifero. Le motivazioni della sentenza di condanna di primo grado per i due intermediari Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, secondo cui la procedura di acquisto" del giacimento petrolifero Opl 245 «da parte di Eni» è stata «costellata» da «un'impressionante sequenza di anomalie», ha scatenato una replica da parte dell'azienda di San Donato che ha di nuovo ribadito «la correttezza del proprio operato nell'acquisizione di Opl 245 in Nigeria e di avere trattato e concluso l'operazione direttamente con il Governo nigeriano». Matteo Salvini, il vicepremier e ministro dell'Interno ha invece detto di riporre la «massima fiducia in Descalzi e nell'Eni. Sono convinto che un grande paese debba necessariamente tutelare le proprie risorse migliori e l'Eni è una delle principali aziende del Paese».
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica). Nel riquadro il programma dell'evento organizzato da La Verità
Charlie Kirk con la moglie Erika Frantzve (Getty Images)