2022-12-15
A rischio pm lo stop ai tamponi in ospedale
L’addio all’obbligo di esami nelle unità d’emergenza non impedirà ai vertici sanitari di stringere le maglie. Né di fare screening a raffica nei reparti per coprirsi le spalle.A giudicare dal disinteresse di tv e giornali, la svolta sui tamponi in pronto soccorso è passata inosservata. Eppure, tra gli emendamenti al decreto Rave, approvato l’altro ieri dal Senato e il cui esame alla Camera è previsto per il 27 e il 28 dicembre, forse il più importante è proprio quello che riguarda l’eliminazione dei test obbligatori ai pazienti che accedono alle unità d’emergenza. Chiaramente, senza nulla togliere alla sacrosanta decisione di cassare l’obbligo di green pass, quale requisito per accompagnatori e visitatori in nosocomi e case di riposo. Persino i sassi, ormai, sanno che essere vaccinati non significa non essere infetti e contagiosi; dunque, pretendere che, per andare a trovare un nonnino in Rsa o un paziente in reparto, sia necessario esibire il certificato Covid, è contrario alla logica, al buon senso e al metodo scientifico. In un Paese in cui ci si riempie la bocca sul dramma degli ospedali al collasso, afflitti dalla cronica carenza di personale, la cancellazione del test coatto per i malati promette di restituire un pezzetto di normalità a chi, ogni giorno, combatte dentro una bolgia. Almeno, sgravando medici e infermieri da un’incombenza onerosa, che complica le procedure di gestione degli assistiti. E che costringe i sanitari ad allestire percorsi separati, dedicati ai positivi. Inclusi quelli del tutto asintomatici, finiti al triage per disturbi che nulla hanno a che vedere con il coronavirus. Il testo del dl Rave, modificato grazie all’intervento dei senatori Francesco Zaffini (primo firmatario degli emendamenti e presidente della commissione Sanità), Lucio Malan, Giovanni Berrino e Ignazio Zullo, esponenti di Fratelli d’Italia, abroga l’articolo 2 bis del decreto 52, risalente al 22 aprile 2021. Quella norma non riguarda solamente gli «accompagnatori dei pazienti non affetti da Covid-19, muniti» di card e, pertanto, autorizzati a «permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti d’emergenza e accettazione e dei reparti di pronto soccorso, nonché dei reparti delle strutture ospedaliere». Il testo stabilisce anche che, «per l’accesso alle prestazioni di pronto soccorso, è sempre necessario sottoporsi al test antigenico o molecolare», a prescindere dallo status vaccinale dell’interessato e salvi «i casi di oggettiva impossibilità dovuta all’urgenza». In pratica, un ferito, vittima di un pesante incidente stradale, può essere medicato subito: non ci si deve prima preoccupare di smistarlo a seconda dell’esito dell’esame Covid. Grazie al cielo. Per chi non versa in immediato pericolo di vita, vige il trattamento sancito dal governo Draghi. Se invece Montecitorio, dopo Natale, confermerà la linea di Palazzo Madama, gli ospedali non saranno più tenuti a eseguire questo screening capillare. E insensato.«Potrebbe essere intelligente», ha commentato ieri Matteo Bassetti con La Verità, «lasciare il tampone unicamente per chi è sintomatico e, magari, per gli ultrafragili: se si presenta un paziente ematologico, che deve andare accanto a un altro ematologico, lo sottoponi al test per evitare di farli entrare in contatto, in caso di positività. Ad ogni modo, è meglio lasciare che siano le Regioni e i direttori sanitari delle singole Asl a decidere a chi riservare i tamponi». E l’effetto degli emendamenti di Fdi sarebbe proprio questo. Parlamento e governo non possono certo impedire ai dirigenti delle aziende sanitarie di stringere le maglie. È possibile che, tra l’esigenza di snellire le procedure e quella di schermarsi dalle possibili conseguenze penali dell’allentamento dei protocolli - ipotesi di scuola: un familiare che fa partire una denuncia perché lo zio si è infettato durante le cure - essi considerino più urgente tenere aperto l’ombrello giuridico. D’altronde, ancora martedì sera, mentre il Senato depennava le disposizioni introdotte da Roberto Speranza e Mario Draghi, intervistato a Zona bianca, su Rete 4, Orazio Schillaci sottolineava che mantenere i tamponi «per chi arriva in pronto soccorso può essere una tutela».A ciò si aggiunge un’altra incognita: come si comporteranno i vari reparti? Una buona quota dei ricoverati finisce nei relativi posti letto dopo il canonico passaggio in pronto soccorso. Gli altri seguono iter differenti. Ma non è detto che, abolito il tampone in fase d’emergenza, poi, il delirio dei percorsi separati non si trasferisca nelle corsie. È emblematico che l’unica Regione ad aver aggiornato, ammorbidendole, le linee guida - l’Abruzzo - continui a richiedere il tampone «prima del ricovero in qualsiasi area di degenza […] o prima del trasferimento in chirurgia per un intervento». Condizioni già più rigorose di quelle previste dalla legge tuttora in vigore. Una sola cosa è sicura: se governatori e dirigenti salveranno il tamponificio, dopo la smettano di lamentarsi degli ospedali in affanno, intasati, ingestibili. Significa che saranno stati causa del loro male.Nel frattempo, giungono notizie interessanti sul fronte del siluramento finale del lasciapassare verde. Il senatore Zaffini ci ha promesso che terrà conto dei suggerimenti della Verità: «Lavoreremo a un provvedimento specifico per cancellare definitivamente il codice a barre». La validità del riquadro che costituisce l’essenza del green pass era stata prorogata, tramite un decreto del marzo scorso, fino al 2025. È come se avessimo una pistola carica sul tavolo. Il governo di centrodestra smantellerà i rimasugli del regime fondato sulla tesserina, sì. Lo strumento in sé, però, sopravvivrebbe. E potrebbe cadere ancora nelle mani sbagliate, tanto più che l’Ue - per la quale il green pass dev’essere in vigore almeno fino a giugno 2023 - ne ha recentemente tessuto le lodi. Ecco: sbrighiamoci a staccare la spina.