È ribelle, è bella, e lo sa. Non a caso oggi si mostra sorridente sul suo nuovo profilo Instagram, dove conta già 2.715 follower. Pochi? L’ha aperto solo un mese fa: datele tempo! Non indossa più la veste monastica, ma tuniche che variano dal nero all’azzurro, come i suoi occhi. Tiene però ancora il velo: non più per obbedienza all’Ordine cistercense, da cui si è allontanata, ma forse per conservare quell’immagine devota che le garantisce consenso e attenzione.
È Madre Aline Pereira Ghammachi, brasiliana, ex badessa del monastero di San Gervasio e Protasio a San Giacomo di Veglia, nel Trevigiano. Laureata in economia, è stata la più giovane madre badessa d’Italia, eletta a soli 34 anni. Carismatica, con una parlantina che incanta, proviene da una famiglia influente nell’editoria brasiliana. Ed è proprio la comunicazione uno dei suoi strumenti che le sono serviti di più, dopo aver lasciato con molto clamore la clausura, insieme ad altre quattro sorelle, nel maggio scorso.
Dopo l’uscita hanno fondato una nuova comunità in una villa a San Vendemiano, data da benefattori locali, a pochi chilometri da quello ufficiale. Lì vivono oggi in tutto 12 donne tra suore, postulanti e oblate, incluse due nuove arrivate da Malta proprio in questi giorni. Nel convento originale di San Gervasio e Protasio, invece, ora sono in 14, che tengono viva la vita monastica secondo la regola cistercense.
Nella nuova sede le ex claustrali stanno lanciando un’attività chiamata «100 Volte Melius», associazione che presto avrà un sito e una linea dedicata ai prodotti artigianali: cosmetici naturali, miele, creme a base di aloe coltivata da loro. In futuro, potrebbero tornare anche il famoso vino della discordia, venduto a 18 euro a bottiglia, contro i 6 di un normale prosecco.
Ed è proprio su quel prosecco che si è giocata una delle fratture. Gli alti vertici dell’Ordine, pur non contrari alla produzione di alcolici, criticavano però l’uso dell’immagine delle suore di clausura con la bottiglia in mano: una promozione ritenuta incompatibile con la vita monastica, quasi una mercificazione del velo. Ma forse la spaccatura era nell’aria da tempo. Alcune badesse che l’hanno conosciuta a Roma in occasioni ufficiali dicono che Aline era troppo giovane, inesperta e molto, molto ambiziosa. Forse andava fermata prima. Invece, il suo carisma ha preso il largo.
A far deflagrare tutto, una lettera scritta nel 2023 da quattro suore a Papa Francesco. Nella missiva si parlava di pressioni psicologiche e abuso di autorità, non semplici malumori. Una prima visita ispettiva sembrò assolverla, anche i conti del convento erano in ordine, ma le successive verifiche portarono al commissariamento del monastero. Aline ha sempre negando tutte le accuse.
Oggi l’ex badessa punta a costruire un’alternativa autonoma, forte anche del sostegno di alcuni imprenditori locali e di una rete di relazioni politiche su cui lei stessa avrebbe fatto intendere di poter contare. C’è chi afferma che stia contattando diversi sostenitori storici del monastero per invitarli a non acquistare più i prodotti del convento ufficiale, ma a sostenere «la loro realtà». Una crociata spirituale o una vendetta commerciale?
Non solo. Secondo fonti interne, l’ex madre avrebbe denunciato una consorella rimasta all’interno della struttura originaria, accusandola di aver diffuso notizie false alla stampa. Immaginate una suora di clausura che si vede recapitare una denuncia? L’ex cistercense, combattiva e divisiva, si è affidata ad alcuni avvocati della Rota, il massimo tribunale ecclesiastico per far valere la sua voce anche nei luoghi più alti della Chiesa. Dicono che il suo vero obiettivo sia sfidare direttamente Padre Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine cistercense.
Ma le tensioni più crude non arrivano dai tribunali. Risalgono ai primi anni della sua vita monastica. Aline sarebbe entrata in convento con una giovane postulante brasiliana, sua connazionale, le due non legarono mai. Le altre suore raccontano di un clima teso. Un giorno, Aline avrebbe tentato di strapparle le vesti, minacciandola di filmarla nuda per costringerla ad andarsene. Lei nega, dicendo che sono solo malelingue. Quella postulante raccontava di avere visioni, di vedere Gesù. Fu poi trasferita ad Agrigento. Oggi, diventata suora, è potuta rientrare a Vittorio Veneto dopo l’uscita di Aline.
Nel frattempo, la nuova vita dell’ex badessa è tutt’altro che in disparte. Ha ospitato una troupe televisiva brasiliana nella sua villa, trasformata per giorni in un vero e proprio set. Lì ha raccontato la sua versione davanti alle telecamere, parlando di mobbing ecclesiastico e sottolineando come la sua destituzione sia arrivata proprio mentre si celebravano i funerali di Papa Francesco. La tempistica, insomma, non sarebbe stata casuale.
Mentre lei si dice delusa e impoverita, dal convento madre filtrano accuse: «Lei e suor Paola dormivano accanto alla cassa» raccontano. «L’abbiamo vista partire per il Brasile due volte, con valigie che non sembravano solo da viaggio». Suor Paola Dal Zotto, 75 anni, la più anziana tra quelle che l’hanno seguita, ha chiesto ufficialmente la dispensa dai voti in questi giorni. Un’altra sorella, invece, si è allontanata dalla nuova comunità: oggi si trova a Roma per riflettere su quale sarà davvero la sua strada.
Nella villa di fine Ottocento, intanto, le foto e i video sui social non si fermano: Aline appare mentre coltiva aloe, zappa la terra con le consorelle che l’hanno seguita. In un post compare persino un cartone animato che la ritrae mentre racconta la sua missione. Difficile non solidarizzare, ma tutto appare anche terribilmente studiato.
Nel silenzio ufficiale della Chiesa, tra Treviso, Agrigento e Roma, lo scandalo si allarga. E con esso la domanda resta sospesa: vocazione autentica o il tentativo di reinventare la clausura in chiave più contemporanea? Nel dubbio, la risposta potrebbe essere già su Instagram.
Come ampiamente previsto, l’assurdo obbligo di vaccinazione che investe fino a fine anno chi lavora in ospedale indebolisce il sistema sanitario. E sempre più dirigenti implorano di risolvere il problema. Walter Ricciardi, consulente di Roberto Speranza, boccia la sanità targata Roberto Speranza.
Un anno fa, migliaia di sanitari scesero in piazza a Vicenza «per il diritto al lavoro, per la libertà di cura, per la libertà di scelta», per protestare contro le sospensioni degli operatori della Sanità. «Sospendeteci pure tutti. Poi però qualcuno dovrà rimanere in ospedale al lavoro» dichiarò Dario Giacomini allora direttore della radiologia di Arzignano e fondatore dell’associazione «ContiamoCi!», in quella grande manifestazione che si opponeva all’obbligo vaccinale per medici e infermieri.
A Campo Marzio portarono la propria testimonianza i tanti medici e infermieri sospesi, sebbene guariti dal Covid e quindi con un alto livello di anticorpi, mentre continuavano a lavorare colleghi vaccinati ma con minore protezione immunitaria. «Basta il corretto utilizzo della mascherine», per chi è in ospedale a contatto dei pazienti, disse Giacomini alla Verità, non è possibile pensare che «il vaccino possa tutelare dalle varianti».
Sono passati dodici mesi, i contagi elevatissimi tra coloro che hanno fatto tre dosi hanno dato ragione a questo medico, ma è soprattutto la direzione sanitaria a riconoscere che non si possono lasciare a casa professionisti della sanità, preziosi quando indispensabili, solo perché non hanno steso il braccio.
Ai microfoni di TvaVicenza, Maria Giuseppina Bonavina, direttore generale dell’Ulss 8 Berica ha chiesto: «Ci ridiano il nostro personale, anche se non è vaccinato è personale di eccellenza, formato. Quindi aspettiamo che vengano tutti riammessi in servizio». Ha aggiunto: «Sembra anacronistico in questo momento tenere fuori medici e infermieri dalle attività assistenziali, anche in considerazione che ormai l’infezione prende pure i vaccinati con tre dosi».
Il San Bortolo, principale polo ospedaliero della città di Vicenza e della provincia, sta facendo i salti mortali per recuperare le liste d’attesa. Ha garantito 21.417 prestazioni urgenti, ma tra arretrati e nuove richieste deve ancora far fronte a 18.000 controlli, endoscopie, accertamenti cardiologici. I 62 medici e infermieri che rimangono sospesi in quanto non in regola con l’obbligo vaccinale rappresentano uno spreco di risorse, finalmente anche i vertici aziendali lo riconoscono.
«A giugno dello scorso anno parlavo proprio con il direttore generale, cercando di fargli comprendere che la vaccinazione obbligatoria per medici e infermieri avrebbe avuto ricadute soprattutto sulla qualità dell’assistenza sanitaria. In una situazione già così precaria, non sarebbe stata garantita in maniera sufficiente alla popolazione», ricorda l’ex direttore della radiologia di Arzignano, oggi demansionato e in aspettativa per non essere nuovamente sospeso. «La Bonavina replicò che c’era una legge e che andava rispettata». L’Ulss 8 fu tra le prime a sospendere il personale non vaccinato, già nel luglio dello scorso anno.
Giacomini fu tra i sospesi e il suo posto vacante, in piena estate, provocò grossi problemi all’utenza. «Cacciare i sanitari non vaccinati è stato devastante, nel quadro pesantemente compromesso del Ssn», osserva il fondatore di ContiamoCi! «Negli ultimi dieci anni sono stati tagliati 25.000 posti letto, sono venuti a mancare circa 42.000 dipendenti, tra il 2019 e il 2020 c’è stata una riduzione di un terzo delle visite specialistiche che si sono accumulate nel tempo e manca il personale per rimettersi in pari, recuperando visite e interventi non erogati. Se poi si sospendono sanitari definiti eccellenti professionisti dalla stessa Bonavina, la situazione diventa catastrofica».
Il radiologo sottolinea che «parliamo di medici e infermieri che nella fase pre vaccinale non avevano infettato nessuno, eppure è stato loro impedito di lavorare senza alcuna giustificazione scientifica. Si è sostenuto che la vaccinazione era per la prevenzione dell’infezione, mentre non è assolutamente vero. Cittadini con tre dosi, sanitari compresi, continuano a contagiarsi».
L’appello del direttore generale dell’Ulss 8 Berica è chiaramente rivolto al ministero della Salute e ai governatori di Regione, perché facciano pressione su Roberto Speranza chiedendo che venga cancellata la sospensione per i sanitari non in regola con le vaccinazioni. Un mese fa, il direttore del distretto sanitario di Padova Sus, Gianmaria Gioga, aveva scritto a quotidianosanità.it definendo la proroga al 31 dicembre prossimo dell’obbligo vaccinale per medici e infermieri una «decisione immotivata, rischiosa e controproducente».
Faceva riferimento a «rischi evidenti», in primo luogo «per i cittadini, in quanto si diminuisce ulteriormente il già scarso numero di operatori sanitari», poi per gli stessi medici e infermieri che non possono essere privati del reddito e rimetterci in salute per colpa del Ssn, quando «moltissime sono le posizioni di lavoro senza rischi di diffusione del virus», che si possono assegnare.
Evidenziava i rischi pure per le aziende sanitarie, che vedono accolti sempre più ricorsi dei lavoratori sospesi. Intanto, devono affidarsi a cooperative esterne per trovare medici che mancano nei Pronto soccorso (ben 18 in Veneto si avvalgono di questi contributi esterni), o reclutare specializzandi al primo anno, con grossi problemi nella qualità dei servizi e per la sicurezza degli utenti
«L’obbligo vaccinale deve essere tolto per tutti gli operatori sanitari», torma a richiedere Giacomini «e devono essere risarciti economicamente i lavoratori sospesi, che hanno subìto una legge ingiusta».
Tutta la stampa ha raccontato all’unisono che domenica, durante l’assemblea dell’Ordine dei medici all’hotel Villa Palace di Roma, si è sfiorata la rissa dopo l’irruzione di una cinquantina di medici no vax. Secondo le cronache il gruppo di camici bianchi avrebbe interrotto l’incontro protestando contro l’obbligatorietà del vaccino e la sospensione dei medici non inoculati e per ristabilire l’ordine sarebbe poi dovuta intervenire la polizia. Ma il dottor Dario Giacomini, direttore della radiologia di Arzignano (Vicenza) e fondatore dell’associazione «ContiamoCi!», racconta una storia molto diversa. Alcuni degli affiliati all’associazione erano presenti in loco, secondo lui i fatti sono diversi da come sono stati raccontati e i media avrebbero compiuto una vera e propria mistificazione.
Per quale motivo ci ha contattato?
«Vorrei denunciare ciò che è accaduto domenica all’Ordine di Roma, nell’assemblea che prevedeva l’approvazione del bilancio preventivo del 2022 e soprattutto la mistificazione che è stata fatta sui giornali nelle ore successive. Si è trattato semplicemente un dibattito molto acceso fra colleghi a seguito di una sospensione quanto mai irrituale dell’assemblea stessa. Sono poi usciti dei comunicati anche a firma del presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, che non corrispondono a verità».
Partiamo dall’inizio, cos’è successo in questa assemblea?
«Iniziamo con il dire che spesso queste assemblee hanno delle votazioni bulgare. Questa volta però un discreto numero di colleghi ha deciso di votare no rispetto al primo punto dell’ordine del giorno».
Ovvero?
«Un verbale della precedente assemblea di aprile che doveva essere approvato, in cui c’era scritto che all’interno dell’Ordine di Roma vi fosse una comunità di intenti tra gli iscritti. I fatti di questi due anni hanno inciso sull’unità della categoria e quindi molti non erano d’accordo con questa affermazione. Dopo la prima votazione (114 voti contrari e 83 favorevoli), l’assemblea è stata sciolta. Ne è seguito un acceso dibattito, che tale è rimasto. Non ci sono stati spintoni, né assalti. Nessuno, che non facesse parte regolarmente dell’assemblea, è entrato. Non solo, ricordo che tutti i presenti sono iscritti e pagano regolarmente la quota. E non è vero che si trattasse di medici sospesi o medici non vaccinati».
Questo come fa a dirlo?
«Alcuni li conosco personalmente e per poter partecipare all’assemblea bisogna essere iscritti all’Ordine».
Per entrare bisognava avere il green pass?
«Sì, quindi, erano tutti con la carta verde o da tampone o da vaccino. Posso dirle di più, almeno un medico di quelli che contestavano la gestione dell’Ordine era un medico vaccinato e vaccinatore, quindi le parole di Anelli, che ha parlato di una una protesta di medici non vaccinati non sono veritiere. È stato informato male».
Se per entrare bisognava esibire il pass ci potevano essere medici non vaccinati.
«Certamente sì, ma è un’assemblea privata come quelle di condominio o come avviene in Parlamento, dove ci si può recare solo se muniti di certificato e quindi rispettosi della legge. Non c’è stato alcun assalto all’assemblea».
Quindi le parole di Anelli, che sostiene che un gruppo di medici non vaccinati ha fatto chiudere l’assemblea sono false?
«L’assemblea è stata chiusa prima della protesta, ma è stata una rimostranza civile fatta di parole, come succede anche in Parlamento. Sconfesso il dottor Anelli perché so per certo che alcuni dei contestatori erano sicuramente vaccinati e vaccinatori. Non sono medici no vax quelli che stavano contestando la gestione dell’Ordine».
Tutti i giornali hanno parlato di medici no vax...
«È assolutamente falso».
Ma il punto era un altro…
«Esatto. C’è stata la bocciatura del primo punto dell’ordine del giorno, il consiglio era stato messo in minoranza e nei punti successivi si sarebbe discusso del bilancio, che avrebbe visto un voto contrario per via del commissariamento dell’Ordine. Successivamente, nelle “varie ed eventuali”, i medici che fanno parte dell’associazione “ContiamoCi!” avrebbero presentato anche un documento per interrogare le istituzioni riguardo alla pandemia. Questo non si è potuto fare perché l’assemblea è stata sciolta prematuramente. E ci sono anche dei dubbi anche sulla modalità di scioglimento dell’assemblea».
Quindi lei mi sta ribadendo che nessun medico no vax ha fatto irruzione in assemblea?
«Nessuno. Erano già tutti dentro l’assemblea perché regolarmente convocati, non è entrato nessuno in assemblea in un momento successivo se non le forze dell’ordine, senza che ci fosse nulla da sedare, perché si stava semplicemente discutendo. Era solo un’accesa diatriba tra colleghi».
E quindi mi conferma che c’erano medici vaccinati tra coloro che sostenevano queste posizioni?
«Sì, c’erano anche medici vaccinatori e vaccinati. Per cui dire che l’assemblea è stata interrotta da medici no vax è una falsità. Quello che è molto grave è che nel comunicato stampa della Fnomceo si parla di risvolti disciplinari e giudiziari, cosa inconcepibile, e un altro punto veramente discutibile è la richiesta al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, di un impegno particolare per mettere in sicurezza l’Ordine dei medici. Se adesso un’assemblea privata deve essere controllata militarmente e non si può più esprimere magari anche in maniera veemente un proprio pensiero e delle proprie opinioni questo rasenta una deriva autoritaria. Un’assemblea in cui si stava discutendo di bilanci e di gestione dell’ordine e che non vedeva argomenti come l’obbligo vaccinale è stata trasformata dalla stampa in una irruzione di medici no vax, cosa non vera».
In quanti siete nella sua associazione?
«Tremila iscritti, con circa 2.000 sanitari. I sospesi non sono più del 30%. Abbiamo donato 1.000 euro a 160 famiglie in difficoltà economiche a seguito della sospensione, soprattutto di infermieri e Operatori socio sanitari, che tra i sanitari hanno il reddito più basso».
Lei è stato sospeso?
«Sì, sono stato sospeso il 28 luglio e sono rientrato in questi giorni a seguito di una guarigione da Covid».
Ha collaborato Tommaso Baronio






