«Signore ti amo» sono le ultime parole che Benedetto XVI è riuscito a pronunciare, al termine della sua vita terrena. Sono parole che riassumono il senso della sua esistenza e anche del lavoro intellettuale che di questa esistenza è stato tanta parte. Joseph Ratzinger è stato infatti, al di là di ogni dubbio, un grande intellettuale e al tempo stesso «un semplice e umile lavoratore nella Vigna del Signore», come si è autodefinito subito dopo l’elezione al sommo pontificato. A mio parere è stato l’ultimo, in senso cronologico, di una generazione di grandi teologi che hanno arricchito la Chiesa del XX secolo. Solo lui, tra loro, è riuscito però a diventare un punto di riferimento, un interlocutore non eludibile del nostro mondo culturale. L’elezione a Pontefice lo ha indubbiamente aiutato ad assumere tale ruolo, ma non ne è la spiegazione adeguata: già prima, infatti, aveva incominciato a svolgerlo e confido che in qualche modo possa continuare anche dopo la morte. Chiediamoci il perché di tutto questo. Direi che Ratzinger ha avuto una percezione acuta del nostro tempo, ha colto in profondità il senso della storia che stiamo vivendo, collocandola all’interno della storia della salvezza, cioè del lungo cammino di Dio con gli uomini. Egli stesso, del resto, ha qualificato il proprio pensiero come «segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri» e come «essenzialmente storico».
In concreto, oggi la domanda decisiva riguarda Dio stesso. Benedetto XVI lo ha detto espressamente nella Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica del 10 marzo 2009: «Nel nostro tempo, in cui in vaste zone della terra la fede è in pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio». Nasce da qui il suo costante impegno ad «allargare gli spazi della razionalità», facendo spazio a Dio nella ragione e nella cultura come nella vita personale e sociale, pubblica e privata. Vorrei ricordare in proposito tre suoi discorsi: quello di Ratisbona, quello al convegno di Verona, e quello al Collegio dei Bernardini di Parigi. Il Dio al quale Benedetto XVI vuole far spazio non è semplicemente l’Essere assoluto, il Dio dei filosofi. È il Dio biblico, il Dio che ha un nome, il Dio che può essere interpellato e pregato, il Dio eminentemente personale che ha preso l’iniziativa di rivelarsi a noi. Giungiamo così alla seconda priorità del pontificato di papa Benedetto: la preghiera, la preghiera personale e soprattutto la preghiera liturgica della Chiesa. Egli stesso ha detto: «La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita ed è diventata anche il centro del mio lavoro teologico». Quando è diventato Papa, Benedetto stava lavorando al suo Gesù di Nazaret. Il nuovo impegno, tra tutti il più gravoso che possa immaginarsi per un sacerdote, non lo ha indotto a rinunciare a quell’opera, a sua volta tanto impegnativa. Come mai? Il motivo è semplice: era convinto che, se non abbiamo certezza di Gesù, la nostra fede rischia di «annaspare nel vuoto». Perciò proprio scrivendo i tre volumi del Gesù di Nazaret Benedetto XVI confermava nella fede i suoi fratelli, come il Signore ha chiesto a Simon Pietro (Lc 22,32).
Torniamo agli «spazi della razionalità». Da molto tempo siamo abituati alla limitazione della ragione a ciò che è sperimentabile e calcolabile, indispensabile nelle scienze naturali. Se però questa limitazione viene universalizzata e assolutizzata, diventa disumana e insostenibile. Ratzinger lo ha sottolineato con forza, mostrando che in tal caso non potremmo interrogarci razionalmente sulla nostra origine e sul nostro destino, sul bene e sul male morale. Per lui la vera questione è se la ragione sia un prodotto casuale e secondario della natura o sia invece all’origine di tutto, come è scritto nel prologo del Vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo». Ratzinger non è però mai stato un razionalista. Al contrario, per lui, specialmente nell’attuale clima culturale, l’uomo rimane prigioniero di una «strana penombra» che oscura la nostra ragione. Perciò non propone le argomentazioni a sostegno del cristianesimo come dimostrazioni apodittiche, ma come «l’ipotesi migliore», che richiede da parte nostra «di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile». Parlando a Subiaco il giorno prima della morte di Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger invitava tutti, anche quegli uomini di buona volontà che non riescono a credere, a vivere veluti si Deus daretur, come se Dio esistesse, e al contempo sottolineava la necessità di uomini che tengano lo sguardo fisso verso Dio e in base a questo sguardo si comportino nella vita: soltanto così Dio potrà tornare nel mondo. Con la sua testimonianza di vita e il suo insegnamento Benedetto XVI è stato un intellettuale che ha inverato la promessa di Gesù a Simon Pietro: «Non temere… sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10).
Per essere fedele agli Appunti di Benedetto XVI il presente commento non può non cominciare dal primato di Dio nella nostra vita: non solo dunque nella realtà oggettiva e nemmeno soltanto nel nostro pensiero, per quanto, ovviamente, entrambi questi aspetti siano fondamentali, ma nel concreto della nostra vita: il primato di Dio è infatti il tema decisivo la chiave che permette di cogliere il senso complessivo degli Appunti.
In particolare il titolo di questo contributo, ricavato da un biglietto di Hans Urs von Balthasar riportato negli Appunti, «Non presupporre, ma anteporre Dio», mette in guardia dal rischio che il credente, e specialmente il teologo, non accolga concretamente questo primato. Infatti, a parere di Benedetto XVI, anche nella teologia accade spesso che Dio venga presupposto come un'ovvietà, ma in realtà di Dio non ci si occupi: il tema «Dio» appare irreale, privo di utilità pratica. «E tuttavia cambia tutto se Dio non lo si presuppone, ma lo si antepone. Se […] lo si riconosce come centro del nostro pensare, parlare e agire».
Negli Appunti sono indicati anche i motivi per i quali, nell'affrontare il problema della pedofilia dei chierici, occorre partire dal primato di Dio: un delitto di tale gravità può raggiungere una così vasta diffusione solo dove Dio è assente e la fede in lui «non determina più l'agire degli uomini». Senza Dio, infatti, il mondo «sarebbe privo di qualsiasi fine e di qualsiasi senso. Non vi sarebbero più criteri del bene e del male». Solo se le cose hanno un fondamento spirituale, se sono volute e pensate da un Dio creatore buono che vuole il bene, la vita dell'uomo può avere un senso. [...]
Affinché Dio possa essere tutto questo per noi, osserva ancora Benedetto XVI nei suoi Appunti, bisogna che egli si faccia riconoscere, si manifesti in qualche modo. In caso diverso Dio «resterebbe un'ipotesi e perciò non potrebbe determinare la forma della nostra vita». […]
Nell'epoca dell'illuminismo si è ritenuto che le norme morali essenziali potessero conservare la loro validità anche nel caso che Dio non esistesse, etsi Deus non daretur. In realtà quelle norme continuavano a poggiare sulle convinzioni di fede create dal cristianesimo, che in qualche modo continuavano a sussistere. Ma ora non è più così e per conseguenza le norme morali essenziali stanno crollando. Il tentativo di plasmare le cose umane a prescindere da Dio è dunque fallito. Ratzinger ritiene pertanto di dover capovolgere l'assioma degli illuministi e propone ai non credenti di cercare comunque di vivere veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse, riprendendo il consiglio che Pascal dava agli amici non credenti del suo tempo. [...] Così, in forma indiretta e negativa, è posto il primato di Dio, dato che solo con Dio, e non senza di lui, l'uomo e il mondo possono trovare la loro consistenza e il loro significato. […]
La sintesi tra ragione, fede e vita che ha decretato la vittoria del cristianesimo è rimasta a lungo viva ed efficace, nel mutare delle situazioni storiche. Negli ultimi secoli però questa sintesi si è progressivamente indebolita e ormai non convince più. Nell'Europa di oggi la razionalità e il cristianesimo sono spesso considerati come contraddittori e reciprocamente escludenti. Così il cristianesimo è venuto a trovarsi in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità. Ratzinger si chiede perché ciò sia avvenuto e in concreto cosa sia cambiato, sia nel cristianesimo sia nella razionalità. Per quel che riguarda il cristianesimo la risposta è che esso, contro la sua natura, era diventato tradizione e religione di Stato, mentre la voce della ragione era stata troppo addomesticata.
È merito dell'illuminismo moderno aver riproposto alcuni valori originari del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce. Il Concilio Vaticano II ha nuovamente evidenziato la profonda corrispondenza tra cristianesimo e illuminismo, cercando di arrivare a una vera conciliazione tra Chiesa e modernità, che è il grande patrimonio da tutelare da entrambe le parti.
Il cambiamento principale e decisivo è intervenuto però dalla parte della razionalità. L'unità relazionale tra ragione e fede, alla quale Tommaso d'Aquino aveva dato una forma sistematica, è stata sempre più lacerata attraverso le grandi tappe del pensiero moderno, fino alla situazione culturale di oggi, caratterizzata dal primato della scienza e della tecnica: è diffusa la pretesa che l'unica conoscenza realmente valida sia quella scientifica. In questo quadro la teoria dell'evoluzione ha finito per assumere il ruolo di una specie di visione del mondo o «filosofia prima», che da una parte sarebbe rigorosamente scientifica e dall'altra costituirebbe, almeno potenzialmente, una spiegazione o teoria universale di tutta la realtà, al di là della quale ulteriori domande sull'origine e la natura delle cose non sarebbero più necessarie e nemmeno lecite. L'affermazione «In principio era il Logos» viene pertanto capovolta, ponendo all'origine di tutto la materia-energia, il caso e la necessità. L'esito finale è quindi l'ateismo. [...]
Per Joseph Ratzinger il vero obiettivo di questa analisi è naturalmente cercare le vie di un nuovo accordo della ragione e della libertà con il cristianesimo, ossia proporre la verità salvifica del Dio di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo. A tal fine occorre anzitutto «allargare gli spazi della razionalità». La limitazione della ragione a ciò che è sperimentabile e calcolabile è giusta e necessaria nell'ambito delle scienze della natura e costituisce la chiave dei loro incessanti sviluppi, ma se viene universalizzata e assolutizzata diventa insostenibile, disumana e alla fine contraddittoria. [...] I tentativi di fare a meno di Dio sono pertanto destinati al fallimento, a livello sia teoretico che pratico: solo riconoscendo a Dio il primo posto la nostra ragione può ritrovare la sua ampiezza. […]
Camillo Ruini - «L'unità politica dei cattolici si determinò in un preciso contesto storico, con una Chiesa che aveva una presenza capillare e un'unità interna e disciplinare che ora non c'è per nulla. La rilevanza pubblica oggi deve essere perseguita attraverso la convergenza dei cattolici sui valori fondamentali».
Gaetano Quagliariello - «La suggestione di un partito cattolico periodicamente si riaffaccia: è avvenuto anche in tempi recenti, quando sembrava che fossero in preparazione a più riprese iniziative di orientamento dossettiano, apertamente appoggiate da una parte delle massime gerarchie. Fin qui i tentativi di questo tipo sono finiti prima ancora che il progetto politico prendesse forma, e anche in questo caso credo che sia stato un bene. […]
Se sotto l'egida di una sensibilità oggi molto diffusa nelle alte gerarchie si fosse costituito, con una scelta anacronistica, un soggetto politico vocato alle tematiche sociali e immigrazioniste e per certi versi aperto anche ai cosiddetti “nuovi diritti", ciò avrebbe stimolato iniziative speculari nel campo opposto - quello dei cattolici più attenti alla “questione antropologica" e ai principi non negoziabili -, facendo della politica attiva un elemento di ulteriore divisione della Chiesa in un momento nel quale mi pare che di divisioni ce ne siano già abbastanza».
PRINCIPI NON NEGOZIABILI
CR - «Un passaggio molto importante nel rapporto tra religione e politica in Italia si è consumato nel 1995, quando Giovanni Paolo II, da Palermo, chiarì che la Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, ma che ciò non legittima una “diaspora" culturale dei cattolici - un ritenere cioè ogni idea o visione della vita compatibile con la fede - e nemmeno una facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano o non prestino sufficiente attenzione ai principi e contenuti qualificanti della dottrina sociale della Chiesa. Non dunque una scelta “partitica" ma una scelta da compiersi valutando i modi in cui vengono accolti o non accolti in concreto, nell'agire delle varie forze in campo, quei valori e contenuti antropologici, etici e sociali che sono essenziali per il bene della persona, della famiglia e della società e che fanno parte dell'insegnamento cristiano ma anche della realtà, a tutti comune, del nostro essere di uomini».
GQ - «Eminenza, se il primato spetta ai contenuti, quali sono oggi i contenuti sui quali il giudizio dei cattolici dovrebbe orientarsi? Non credo che il bene comune possa essere un paniere contenente valori equivalenti tra cui scegliere a piacimento. Né mi sembra plausibile una gerarchizzazione che anteponga la questione sociale ai cosiddetti principi non negoziabili».
CR - «[…] Sono il più possibile da evitare indebite selezioni tra i valori dell'etica e della dottrina sociale cristiana. Lo stesso Benedetto XVI, nei primi anni del nuovo secolo, ci ha invitato a più riprese a superare false e pericolose divisioni, o addirittura contrapposizioni tra i diversi piani dell'etica.
Allo stesso tempo, bisogna prendere atto di come la questione antropologica, affiancatasi alle questioni politico-istituzionale e sociale che hanno marcato le vicende storiche dell'Occidente per oltre due secoli, sia destinata a diventare sempre più acuta e pervasiva, chiamando in causa in maniera quanto mai diretta la fede cristiana, con la concezione dell'uomo, l'etica e gli orientamenti di vita di cui essa è portatrice. […] I principi non negoziabili, insomma, sono tali perché se si viene meno rispetto a essi si compromette l'umanità della persona».
GQ - «[Oggi la] Chiesa sembra aver abdicato al suo ruolo in campo antropologico al punto da mettere in discussione il legame inscindibile tra cristianesimo e diritto naturale […]».
CR - «Non si può negare che da qualche anno si sia allentata la collaborazione tra i cattolici che operano in politica e il “mondo cattolico" nel suo complesso, e diciamo pure la Chiesa e la sua gerarchia. C'è chi vede in questo uno sviluppo positivo, perché verrebbero valorizzate l'autonomia e la responsabilità proprie dei laici. In realtà, però, i politici cattolici vengono a trovarsi isolati e privi del loro retroterra, mentre il mondo cattolico e la stessa gerarchia rischiano di abdicare a quello che è un loro preciso dovere, prima che un diritto; di rinunciare, cioè, a testimoniare con forza e chiarezza la verità umana e cristiana in materia di etica pubblica. Il risultato, purtroppo, è l'irrilevanza […]».
NO ALLE FOLLIE DI GRETA
CR - «[…] Si fa strada una concezione puramente naturalistica o materialistica dell'essere umano, che sopprime ogni vera differenza qualitativa tra noi e il resto della natura. […] La grande rivendicazione di oggi riguarda la libertà di fare ciò che si vuole, rifiutando qualsiasi vincolo esterno, compresa l'autorità di Dio.
Ma, mentre rivendica la libertà da vincoli esterni, la cultura contemporanea nega la libertà interna, cioè la capacità di scegliere in un senso o nell'altro, o anche di non scegliere affatto, quando siano state poste tutte le condizioni richieste per una scelta. È questa la libertà che distingue l'uomo dal resto della natura, caratterizzata dal caso e dalla necessità. Il suo fondamento non può dunque essere la natura, ma una libertà creatrice, la libertà di Dio autore dell'uomo e della natura. Se mancasse la libertà interiore, la libertà esteriore sarebbe soltanto un'illusione. […]
Quando non siamo più d'accordo su cos'è l'uomo, quando viene meno lo specifico umano, si aprono le porte al nichilismo che nasce, come ha ben spiegato Federico Nietzsche, con la “morte di Dio" […]».
GQ - «Eminenza, non vorrei compiere un salto concettuale troppo ardito, ma mi sembra che il discorso sulla riduzione della specificità umana evidenzi una ulteriore contraddizione del nostro tempo: proprio mentre si nega il dato naturale dell'antropologia si esalta l'ideologia ambientalista, ribaltando il nesso tra il fine e lo strumento di cui alla formula kantiana da lei citata […]».
CR - «Rispettare l'ambiente è certamente importante. Altrettanto importante, tuttavia, è non farne una ideologia assolutistica. In questo senso, per quanto riguarda il nostro Paese, nutro ragioni di speranza: gli italiani hanno più volte dimostrato di essere disponibili a lasciarsi coinvolgere rispetto a talune problematiche, ma di prendere distanza nel momento in cui si scivola nelle esagerazioni e negli estremismi che finiscono per negare le stesse ragioni che si vorrebbero avanzare […]».
l'ideologia gender
CR - «Dico subito che il mio giudizio [sulle unioni civili] è decisamente negativo. Equiparare di fatto al matrimonio le unioni tra persone dello stesso sesso significa stravolgere parametri fondamentali, a livello biologico, psicologico, etico, che fino a pochi anni fa tutti i popoli e tutte le culture hanno rispettato.
Si tratta di un problema gravissimo, in generale per l'umanità, e nel caso specifico per l'Italia. È anche un problema per la Chiesa, per il semplice motivo che la Chiesa non può disinteressarsi del bene delle persone.
[…] Temo che non ci sarà bisogno di attendere molto per qualche pronunciamento europeo che, a parte il nome, parifichi del tutto le unioni civili al matrimonio. Alcuni sostenitori della proposta divenuta legge hanno fin dall'inizio manifestato apertamente di puntare a questo traguardo. Si tratta di un disegno che presuppone un «diritto al figlio», ma un tale diritto non può esistere, perché il figlio è una persona e come tale non è disponibile […]».
CR - «La questione dei matrimoni omosessuali rientra nel problema più vasto della concezione che abbiamo dell'uomo, cioè di cosa sia la persona umana e di come vada trattata. Un aspetto molto rilevante del nostro essere, come già accennato in precedenza, è che siamo strutturati secondo la differenza sessuale, di uomo e di donna. […] Negli ultimi decenni si è fatta strada una posizione diversa, […] è la teoria del gender, ormai diffusa a livello internazionale, nella cultura, nelle leggi e nelle istituzioni.
Si tratta però di un'illusione, anche se condivisa da molti: la nostra libertà, infatti, è radicata nella realtà del nostro essere e quando va contro di essa diventa distruttiva, anzitutto di noi stessi. Ci illudiamo se riteniamo di poter cancellare la natura con una nostra decisione personale o collettiva […]».





