Proprio come aveva scoperto la Verità, la Link campus university dell'ex ministro scudocrociato Vincenzo Scotti, indagato a Firenze con l'accusa di capeggiare un'associazione a delinquere che permetteva ai poliziotti iscritti al Siulp di mettere il turbo nelle loro carriere conseguendo crediti universitari senza frequentare corsi e sostenendo esami indicati come farlocchi, e il consorzio Criss, Consortium for research on intelligence and security services (capitale sociale 24.000 euro e sede legale a Roma in via Casale di San Pio V. È partecipato, oltre che dalla Link consulting srl, anche da altre due società della premiata Scotti and friends: la Sudgest aid scarl e la Helps srl semplificata), avrebbero simulato l'esecuzione di progetti di ricerca per maturare crediti d'imposta per 15 milioni di euro ed evadere il fisco. Ieri mattina gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria di Roma, guidato dal colonnello Gavino Putzu, su mandato del pubblico ministero della Procura di Roma Stefano Pesci, si sono presentati nella sede romana dell'ateneo di Scotti per una perquisizione. Gli indagati sono 14: e tra loro ci sono Pasquale Russo, che dell'ateneo di Scotti è anche il direttore generale, il rettore Claudio Roveda, Carlo Maria Medaglia, direttore del Dipartimento di ricerca della Link, Vanna Fadini, che siede nel Cda di Link Campus e presiede la Società di gestione Gem, Achille Patrizi, delegato dal rettore della Link per le attività sportive. La Procura ritiene «la sussistenza di gravi indizi di reato» contenuti in alcune informative inviate dalla guardia di finanza di Firenze al pm Christine von Borries, il magistrato che ha rivoltato la Link come un calzino, e trasmesse per competenza a Roma. Nel faldone si è inserita anche una Cnr, il sleng investigativo «Comunicazione di notizia di reato», redatta nel dicembre 2019 dall'Ufficio analisi del rischio dell'Agenzia delle entrate del Lazio. E, così, allo stato indiziario, è emerso che la Link e il Consorzio che si occupa di ricerca nel settore dell'intelligence (tanto caro a Scotti), avrebbero simulato in tutto o in parte l'esecuzione di progetti di ricerca che, secondo la normativa fiscale introdotta nel 2015 consentono ai committenti di godere di crediti fiscali. «Avendo maturato», scrive il pm Pesci, «inesistenti crediti di imposta, le società committenti i progetti di ricerca li hanno poi utilizzati in compensazione in occasione del versamento delle imposte». Non solo: «Queste ultime hanno poi ottenuto indietro parte del denaro versato alle società commissionarie attraverso l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, con conseguenti movimenti finanziari di rientro delle somme originariamente versate». È proprio sulla documentazione che potrebbe confermare il giro vorticoso di fatture emesse dal consorzio Criss che la Guardia di finanza ha deciso di mettere le mani. Pur avendo un capitale sociale relativamente basso, il consorzio Criss appare essere diventato particolarmente produttivo, visto che dai bilanci, sottolineano gli investigatori, «si rilevano per il 2018 oltre 32 milioni di crediti a fronte dei 4 milioni e mezzo dell'anno precedente». I debiti sono inferiori a 23 milioni di euro e l'utile è di poco al di sotto dei 10 milioni. Nelle dichiarazioni i ricavi indicati per il 2018 ammontano a 25 milioni di euro. Ora, per chiarire le informazioni presenti nelle voci dei bilanci, bisognerà approfondire i contenuti di una intercettazione telefonica tra Scotti e il professore Carlo Medaglia, direttore del Dipartimento di ricerca della Link. Il 23 ottobre 2019 i finanzieri fiorentini durante una lunga conversazione captano queste parole: «Per comodità, così come qualche volta li abbiamo messi su Fondazione, dall'altra parte li abbiamo messi su... su Criss... perché non c'abbiamo i soldi, non c'avevamo le persone da rendicontare». Questo è il punto preciso della telefonata che viene annotato dalla Guardia di finanza. Gli interlocutori fanno riferimento a Russo. E Medaglia introduce il discorso: «Mah, non me sembra che ha dato 1 milione e mezzo alla Link, sinceramente». È il giro che ha fatto quel milione e mezzo ad aver creato non pochi sospetti negli investigatori. Anche perché Scotti sembra cadere dal pero: «Io chiedo che i sindaci adesso mi verifichino un attimo». Lo faranno anche la Procura e la guardia di finanza.
A leggere la sfilza di accuse che la Procura di Firenze ha inanellato l'una dietro l'altra, l'ex ministro democristiano Vincenzo Scotti sarebbe a capo di una combriccola di professori della «sua» Link Campus, l'università privata con sede a Roma creata nel 1999 e riconosciuta dal 2011 come università non statale, che i magistrati definiscono «un'associazione a delinquere».
Scotti, in qualità di presidente del Consiglio d'amministrazione, legale rappresentante e componente del Senato accademico ma anche come professore di Economia politica, viene indicato dalla pm Christine von Borries e dal procuratore aggiunto Luca Turco come il «promotore, costitutore e organizzatore dell'associazione». Al pari del direttore generale Pasquale Russo e del rettore Claudio Roveda. Il ruolo da promotore viene affibbiato anche al professor Pierluigi Matera (Diritto privato comparato), che aveva il compito di nominare le commissioni d'esame di tutti i corsi di laurea. In quella che viene descritta dalle toghe come una cricca (ma come concorrente) i pm includono anche Veronica Fortuzzi, professore a contratto di inglese, già nello staff del ministro della Difesa ai tempi della pentastellata Elisabetta Trenta. La Link Campus è, infatti, l'università nella quale il Movimento 5 stelle ha pescato parte della sua classe dirigente. E anche la ministra Trenta, che con l'inchiesta non c'entra, prima di entrare nella squadra di governo era alla Link Campus come vice coordinatrice di un master.
l'imbroglio
L'indagine, che si è conclusa con la notifica di 71 avvisi contenenti i capi d'accusa (atto che di solito precede, salvo sorprese, una richiesta di rinvio a giudizio), si è concentrata sulla laurea triennale in Scienze della Politica e dei rapporti internazionali. E in particolare sugli esami superati tra il 2016 e il 2019 da una sfilza di agenti di polizia in servizio a Firenze. Stando alla ricostruzione della Procura, si svolgevano senza professori e in sedi non autorizzate. Le domande, inoltre, venivano anticipate in chat e c'era la possibilità di copiare dal web. I libretti elettronici, poi, venivano taroccati. Le aule d'esame? «Non idonee»: come una stanza nel mercato ortofrutticolo della Mercafir a Firenze.
L'inchiesta non imbarazza, però, solo il mondo accademico che ruota attorno alla Link, ma anche il Siulp. Il sindacato di polizia più rappresentativo aveva stipulato una convenzione con l'ateneo di Scotti. E il suo segretario generale Felice Romano si è trovato nel primo capo d'imputazione quale concorrente, sostiene la Procura, nell'associazione a delinquere.
Gli studenti-poliziotto pagavano 4.100 euro complessivi (600 dei quali andavano alla Fondazione sicurezza e libertà), sostenevano gli esami senza aver frequentato una sola lezione e, ovviamente, li superavano a pieni voti. In un caso, addirittura, all'esame non c'erano i professori. Come nel caso di Informatica. A verificare le competenze degli studenti del corso del professor Eliseo Sciarretta c'era invece l'impiegato amministrativo Andrea Pisaniello che, senza esercitare vigilanza durante l'esame, avrebbe consentito l'uso di internet e di copiare le risposte. Tutti promossi. Sul verbale, oltre a quella di altri, tre professori, c'è anche la firma di Scotti.
«Falso ideologico», scrivono i magistrati. Pisiniello, che si era presentato agli studenti come un professore della Link, e il vero prof, ovvero Sciarretta, si sono beccati la stessa accusa in concorso.
i corsi
La storia si è ripetuta con lo stesso copione per diversi corsi: Analisi strategiche, geopolitica e ricostruzione post-conflittuale (professor Maurizio Claudio Zandri); Organizzazioni internazionali e regionali (prof. Zandri); Lingua spagnola (professor Stefano Mustica); Economia politica (professor Vincenzo Scotti); Corso integrato di teoria dello Stato (professor Claudio Vasale); Diritto internazionale (professoressa Ida Caracciolo); Economia e finanza internazionale (professor Gianfranco Vento); Comunicazione pubblica (professoressa Marica Spalletta); Governance politica ed economia aziendale (professor Maurizio Melani); Totalitarismi e democrazie (professor Angelo Vincenzo Emanuele). Gli studenti furbetti passavano con lo stesso metodo anche esamoni come Diritto costituzionale (professor Giorgio Mocavini), Analisi comparata (professor Sergio Zoppi) e Diritto dell'Unione europea (professor Alessandro Figus). Per la bellezza di 46 capi d'imputazione ricostruiti dall'accusa. Tra questi c'è anche l'accusa per il corso Human security, che - pur non essendo riconosciuto dal Miur - permetteva agli studenti di approdare al secondo anno di studi saltando il primo. Come? Pagando 600 euro di iscrizione e mandando via mail una tesina di poche pagine. Anche in questo caso gli studenti-poliziotto sono passati senza partecipare a una lezione e senza aver mai visto un professore. D'altra parte, nonostante la diversità delle materie, le prove sarebbero state sempre sostenute alla presenza di tutor e funzionari. Mentre i prof restavano a Roma e si limitavano a certificare il superamento dell'esame sui verbali. Quando è scoppiata l'inchiesta, Link Campus si era affrettata a dichiararsi parte offesa, qualora fossero accertate irregolarità. Nel documento giudiziario, però, di parti offese non c'è traccia.




