Il viaggio di Ursula von der Leyen in Africa era atteso da tempo. Molti di noi hanno sperato che la destinazione politica sarebbe potuta essere uno dei pochi paesi del Sahel ancora disposti a dialogare con l’Europa. In tre anni ci sono stati ben otto colpi di Stato. Cinque perfettamente riusciti e che hanno scalzato un secolo di storia di colonialismo e neo colonialismo francese. Dietro ai golpe quasi sempre appaiono forze russe o soldi cinesi. Spesso entrambi anche se, come accade in Africa, le tribù si mischiano e cambiano velocemente i punti di riferimento. Insomma, il Niger ribolle e ci saremmo aspettati che la numero uno dell’Ue fosse pronta a battere un colpo e dare una parvenza di linea di politica estera. No. Il viaggio di ieri ha avuto come destinazione il Kenya e la preoccupazione della Von der Leyen è stata prendere per mano l’Africa e accompagnarla in una transizione ecologia su misura. «L’Africa necessita di enormi investimenti e l’Europa vuole essere una vostra partner nel porre fine a queste mancanze», ha detto il presidente della commissione Ue. «Ecco perché metà del nostro piano di investimenti da 300 miliardi di euro, denominato Global Gateway, è rivolto al continente africano. Il Global Gateway sostiene investimenti che vanno dalle centrali idroelettriche in Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Ruanda e Tanzania, all’iniziativa da un miliardo di euro sull’adattamento climatico e la resilienza in Africa, che abbiamo annunciato alla Cop27». L’appuntamento di Nairobi è l’occasione per diversi Paesi di mettere in campo il softpower e cercare di far transitare un po’ di soldi nell’area subsaharina.
Non a caso ieri, sempre in occasione dell’Africa climate summit, gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato 4,5 miliardi di dollari di investimenti «per lanciare una serie di progetti redditizi di energia pulita in questo importantissimo continente», ha detto in un discorso il sultano Al Jaber, a capo della compagnia energetica statale, il colosso Adnoc e che presiederà anche i negoziati per la prossima Cop28 di Dubai a fine anno. Nulla di strano, insomma, gli arabi mettono sul piatto soldi e come dovremmo fare noi attivano relazioni bilaterali. Non si sono certo spinti al livello della nostra rappresentante europea, che è convinta di poter esportare i modelli dirigistici sviluppati dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
«Vogliamo condividere con voi la tecnologia europea, vogliamo investire nelle competenze dei lavoratori locali», ha aggiunto Von der Leyen parlando con i politici kenyoti. «Perché più forti siete come fornitori, più l’Europa diversificherà le catene di approvvigionamento verso l’Africa e più ridurremo i rischi per le nostre economie». Così dopo una lunga serie di esempi e di delucidazioni sulle opportunità legate all’idrogeno e alle rinnovabili ha calato l’asso. «Esiste un’altra soluzione che potrebbe sbloccare enormi risorse per l’azione climatica in Africa. Si tratta della carbon pricing», ha concluso. «Credo che fissare un prezzo per le emissioni di carbonio sia uno degli strumenti più efficienti ed efficaci a nostra disposizione. Perché favorisce l’innovazione da parte del settore privato, perché fa sì che i grandi inquinatori paghino un prezzo equo e perché le entrate possono sostenere la transizione pulita nei Paesi in via di sviluppo. Lavoreremo insieme e presenteremo una proposta per la tariffazione globale del carbonio alla Cop28».
Chissà perché nessuno ci aveva pensato prima? Basta fare una legge ed è tutto risolto. Come è accaduto al price cap del gas e del petrolio con relative sanzioni. La totale incapacità di affrontare il mondo reale dovuta all’eccessiva ideologizzazione e all’inadeguatezza del ruolo non permette nemmeno a chi pronuncia tali frasi di comprendere quanto siano finte e inutili. Come insegnano gli ultimi otto colpi di Stato nella fascia del Sahel (ma purtroppo la logica potrebbe a breve allargarsi a macchia d’olio) vince chi ha la capacità di mandare soldi e armi. Di sostenere una filiera piuttosto che un’altra. A quel punto, se a vincere sono gli avversari dell’Europa, si mette le mani sulle materie prime e al tempo stesso, se serve, si stimola la destabilizzazione per aumentare i flussi di immigrati clandestini. L’effetto è quello palese di rompere gli equilibri interni dell’Ue, aumentare le spaccature tra Stati e quindi impedire al Vecchio Continente di muoversi lungo la medesima strada geopolitica.
Ieri, l’ambasciata francese in Niger era praticamente assediata da manifestanti prezzolati. L’ambasciatore, che si è rifiutato di lasciare il Paese, potrebbe essere arrestato a momenti. Parigi attende l’incidente per giustificare un intervento armato. La diplomazia italiana si è detta contraria a mosse militari. Se i francesi danno però la zampata il rischio è duplice. Se va bene si riprendono il controllo del Paese e faranno esclusivamente i propri interessi. Se va male generano altro caos per tutta l’Ue. È mai possibile che Bruxelles continui a nascondere la testa sotto la sabbia? Non ci vengano a dire che bisogna essere pacifisti a tutti i costi. Dopo l’invio di armi in Ucraina, è tutto cambiato. Per tutelare i nostri confini ci vorranno scelte difficili. Scelte che coinvolgeranno i nostri militari. Gli eredi della Wagner non li paghi con i carbon credit né con le carte bollate di un Pnrr in salsa africana. Qui sta tutto il punto. Basta fuffa politica non possiamo più permettercela.


