Smart working, settimana corta. Non è un déjà vu, non siamo nemmeno di nuovo in pandemia. Nonostante questo, però, l’esecutivo sta prendendo in considerazione l’idea di riportare in auge queste misure. Contro ogni previsione il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha infatti inserito nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima dell’Italia anche una «forte» spinta allo smart working e all’accorciamento della settimana lavorativa. La scusa è sempre la stessa: ce lo chiede l’Europa, bisogna rispettare gli standard fissati da Bruxelles e così via. Il problema è che non ci si rende conto che i paletti fissati dai fanatici ambientalisti saranno sempre più stringenti.
Il documento inviato alla Commissione europea è un testo di 445 pagine cui seguirà un anno di negoziati. Non prevede solo smart working e auto elettrica ma anche elettrificazione dei trasporti e ottimizzazione energetica degli edifici residenziali.
Perché però si dovrebbe arrivare a tale decisione? L’Europa ha fissato obiettivi di decarbonizzazione dei settori non Ets irraggiungibili: si tratta di un taglio delle emissioni del 43,7% rispetto ai livelli del 2005. Le previsioni italiane stimano al 2030 un taglio del 28,6% rispetto al 2005. Si risparmieranno 98 milioni di tonnellate di CO2, ma all’Europa non basta. Le percentuali richieste non coincidono ed è sempre la solita storia dei numeri. Non si capisce perché non si riesca mai a interrompere questo circolo vizioso di richieste impossibili da esaudire che ci portano a imporre misure spesso inutili, come quella dello smart working o della settimana corta. Davvero si crede che con un giorno in meno di lavoro si risparmierà energia? Nel frattempo, le aziende smetteranno di essere competitive. Lo smart working potrebbe creare più ostacoli ai dipendenti che vogliono fare carriera grazie alla ovvia mancanza di relazioni interpersonali impedita dallo schermo. Senza contare che si perde l’indotto che crea un ambiente di lavoro dinamico. Pagheranno bar, ristoranti e palestre che operano in zone ad alta densità lavorativa. Cosa ne facciamo dei lavoratori il giorno in cui non lavorano? Usciranno, inquineranno, si riscalderanno o accenderanno l’aria condizionata ugualmente. Il prossimo passo sarà l’eliminazione di massa? Purtroppo, non si tratta di una battuta perché sono molti gli attivisti dell’ambiente più estremisti, giovani soprattutto, che predicano di non fare figli perché ogni bambino nato è un nuovo inquinatore nel mondo. Insomma, il passo è breve per arrivare alla politica del figlio unico. Perché mai dovremmo in un Paese a bassa natalità? Perché ce lo chiede l’Europa, naturalmente.
Tornando al piano, il testo punta sull’elettrificazione delle abitazioni, con la sostituzione degli impianti alimentati a gas con le pompe di calore da abbinare a pannelli fotovoltaici. Un po’ il sogno di tutti, certo, purtroppo ci vogliono molti soldi e non è chiaro chi pagherà. Il documento spiega che «sarà messa in atto una riforma degli incentivi fiscali che identifichi priorità di intervento (quali gli edifici meno performanti e le situazioni di povertà energetica) e differenzi il livello di assistenza in base all’efficacia in termini di miglioramento della prestazione energetica dell’edificio sia in termini di riduzione dei consumi che di incremento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili». Il testo si potrà smussare, si potrà ammorbidire, lo spazio per intervenire esisterebbe, il problema è che va cambiato il paradigma, bisogna contestare i principi di partenza. Così che si sta tentando di fare con la legge Natura.
Intanto questo piano offre una sponda a Beppe Sala e al suo modello di città green per persone molto ricche, che magari possono permettersi di lavorare meno e in smart working nelle loro grandi case, mentre il resto del mondo è costretto a chiudersi in bui stanzini per fare una call. Il tutto per avere un mondo più verde.



