«Il conto, nell’inchiesta in Liguria che coinvolge il governatore Giovanni Toti, lo stanno pagando i cittadini. Il rischio è che si blocchino tutti i cantieri. Servono nuove regole sul finanziamento ai partiti, e uno scudo per i presidenti di regione che garantisca governabilità. Non è possibile che una legislatura regionale finisca in anticipo per colpa di una semplice indagine». Il viceministro alle Infrastrutture e Trasporti Edoardo Rixi interviene sulla bufera giudiziaria ligure che vede il governatore ancora agli arresti domiciliari. E a proposito di infrastrutture, immagina un grande rilancio dei porti italiani: «Serve una società pubblica che espanda all’estero le nostre linee logistiche, una sorta di Eni portuale. Non è solo una questione commerciale ma geopolitica: la presenza italiana in Africa e nel mondo dev’essere garantita anche attraverso le attività portuali: noi italiani abbiamo gli strumenti e le conoscenze per farlo». Perché, dice Rixi, con la guerra in Ucraina «l’Europa non ha più sbocchi a Est, è diventata un’isola, l’unica strada è saper gestire la marittimità».
Iniziamo dalla Liguria. È normale che Toti sia ancora agli arresti, mentre Giacomo Bozzoli, condannato in primo e secondo grado per l’uccisione di un parente, non aveva sulla testa alcun provvedimento restrittivo e si è dato alla fuga? Questo è solo un esempio. Insomma, esiste una doppia morale?
«È evidente che ci sono due pesi e due misure. È la prima volta che a un presidente di Regione non viene concesso di concludere il proprio mandato, presiedendo giunta e Consiglio regionale. È un caso unico».
Il capo di gabinetto della Regione Liguria, Matteo Cozzani, si è dimesso, ed è tornato libero. Tutto lascia pensare che anche il governatore possa andare incontro allo stesso destino: quello di dover scegliere tra carica istituzionale e libertà personale. Politica sotto ricatto?
«C’è sicuramente una forte pressione psicologica. Certo, le dimissioni di Cozzani non influenzano l’andamento dell’Ente, mentre Toti è il presidente e le sue dimissioni farebbero decadere l’intera legislatura. A rischio è la stessa governabilità di un territorio importante come la Liguria».
Chi paga il conto di questa inchiesta? Rischiamo i cantieri bloccati?
«Questa tensione comporta molta più difficoltà a far funzionare la macchina pubblica, e questo tocca direttamente la vita dei cittadini. Peraltro, le eventuali dimissioni del presidente non risolverebbero la questione. L’unico modo per ristabilire la normalità è chiudere l’inchiesta, e io infatti mi auguro che duri il meno possibile, perché questa situazione non può reggere a lungo».
La Liguria rischia di costituire un pericoloso precedente?
«Sì e per questo bisogna correre ai ripari sul piano legislativo. Occorre intervenire sulle regole riguardanti il finanziamento ai partiti. In questo caso il presunto reato sarebbe stato commesso con un bonifico tracciato per finanziare una campagna elettorale, quindi bisogna evitare, con interventi legislativi, situazioni incerte che in teoria potrebbero verificarsi ovunque in Italia».
Sono necessari scudi giudiziari per i governatori?
«In Liguria, di fatto, siamo andati ben oltre la legge Severino, che prevede la decadenza dei politici in primo grado: qua non c’è neanche un rinvio a giudizio. Stiamo arrivando all’assurdo: basta un’indagine a far cadere un governatore?».
Quindi occorre un’immunità a livello regionale?
«Perlomeno bisogna fare in modo che la legislatura possa andare avanti. Almeno fino a un eventuale condanna in primo grado. E già questa sarebbe un’anomalia perché in base alla nostra Costituzione si è innocenti fino a sentenza definitiva».
Certa magistratura, con alcune decisioni, vuole forse boicottare l’Autonomia delle regioni?
«L’Autonomia è un traguardo che l’Italia insegue dai tempi di Cattaneo, è un obiettivo centrato dalla Lega, una richiesta che sale dai territori da anni, una conquista che non si può mettere in pericolo».
Perché ha chiesto un’accelerazione della riforma dei porti? Quale sistema immagina?
«Chi ha letto le carte dell’inchiesta in Liguria si rende conto di un fatto: oggi le spinte dei grandi player mondiali sui porti è molto forte. Dobbiamo fare un tagliando alle attuali leggi, rafforzare le governance, avere una gestione più lineare delle concessioni portuali».
Dunque?
«L’Italia è al centro degli interessi di grandi investimenti internazionali e servono regole adeguate. Non esiste nessun paese marittimo che non abbia una propensione delle linee logistiche negli altri continenti».
Insomma, sta dicendo che l’Italia deve gestire porti all’estero, facendo concorrenza a Cina e Russia?
«Sì, serve un’Eni portuale, che non si occupi di idrocarburi ma di porti. L’Italia deve poter acquisire con una società pubblica scali, terminal, presenze fisiche, in centri strategici nordafricani, o in Medio Oriente, o nel Sudest asiatico. Per consolidare le linee logistiche e avere una presenza commerciale, anche al fine di supportare quei Paesi».
Parla solo di commercio, o anche di sicurezza nazionale?
«Certo, è geopolitica. L’Italia deve essere presente all’estero sulle catene logistiche, anche per fronteggiare le crisi ormai endemiche nel sistema mondiale. Oggi i conflitti si moltiplicano, non possiamo riprogrammare ogni volta le linee logistiche europee in funzione dell’ennesima guerra: dobbiamo gestire questi processi personalmente, sottraendole ad altre potenze come la Cina, che come è noto attualmente ha una fortissima penetrazione in Asia e Africa, insieme alla Russia. Ciò che non facciamo noi lo faranno altri».
Tutto questo si accorda con il piano Mattei?
«Sì, il piano Mattei va concretizzato appunto, realizzando questo tipo di progetti. Con la guerra in Ucraina l’Europa non ha più sbocchi terrestri, è diventata un’isola. La marittimità è fondamentale e l’Italia è tra i principali operatori a livello mondiale. Abbiamo la storia, le conoscenze, gli uomini giusti per affrontare questa sfida da protagonisti: anzitutto, occorre volerlo».



