Il problema non è avere al governo troppi fedelissimi di Matteo Renzi. Il problema è averne troppo pochi. L'aria che si respira in casa Pd, ma anche dalle parti del M5s, profuma di sospetti. Stando a quanto trapela dai quartier generali dei due azionisti della (quasi) maggioranza giallorossa, infatti, la pattuglia renziana starebbe cortesemente rifiutando le proposte di poltrone ministeriali. Un atteggiamento che ha due chiavi di lettura. C'è chi pensa che Renzi non voglia restare intrappolato in quella che si annuncia una continua conflittualità tra Pd e M5s nel governo, e che compenserà l'assenza di ministri a lui direttamente riconducibili facendo il pieno di sottosegretari: sarebbe una strategia ottima per mantenere il radicamento sui territori, soddisfacendo gli appetiti politici dei dirigenti locali. La seconda lettura è più inquietante: Renzi, stando a chi nel Pd lo conosce bene, potrebbe decidere di non impegnare i protagonisti politici a lui più vicini nel governo per poter staccare la spina da un momento all'altro, e per poter anche incalzare in continuazione l'esecutivo giallorosso guidato da Giuseppe Conte.
Fatta questa premessa, andiamo a scoprire quali sono, al momento, i probabili ministri del Conte 2. Lo schema di un solo vicepremier, se sarà confermato, prevede che la casella sia occupata dal vicesegretario del Pd Andrea Orlando. «Potete pensarlo, ma non è detto che questo avvenga», ha risposto Orlando a chi gli chiedeva conferma della ipotesi. Una dichiarazione che lascia intendere che l'ex ministro della Giustizia sia ingolosito dalla poltrona di viceConte unico, alla quale ambisce anche Dario Franceschini, che però è anche in pole position per la carica, importantissima, di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Per Orlando, è improbabile un ritorno a via Arenula: il ministro della Giustizia spetterebbe a Leu, i cui voti sono fondamentali soprattutto al Senato. La figura individuata è quella di Pietro Grasso, che fino ad ora ha declinato ogni offerta, per tentare di lasciare spazio a Roberto Speranza. Se però la proposta fosse insistente, Grasso accetterebbe, prendendo il posto di Alfonso Bonafede, e Orlando potrebbe andare agli Esteri.
Bonafede è considerato uno dei pochi ministri M5s uscenti certo della riconferma, anche se in una nuova casella, forse la Pubblica amministrazione. Probabilissima la riconferma di Sergio Costa all'Ambiente e quelle di Riccardo Fraccaro ai Rapporti con il Parlamento e di Alberto Bonisoli ai Beni culturali. Sempre sul fronte M5s, Barbara Lezzi resterà ministro per il Sud, mentre il capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli, potrebbe prendere il posto di Danilo Toninelli alle Infrastrutture. Promozione in vista, con un incarico da ministro, anche per il capogruppo alla Camera, Francesco D'Uva, che potrebbe andare alla salute al posto di Giulia Grillo. E Luigi Di Maio? Il capo politico del M5s è in cerca di un ministero che gli garantisca popolarità. Stanco di dover affrontare le problematiche spinose del ministero dello Sviluppo economico e soprattutto del Lavoro, con tavoli di crisi perennemente aperti, multinazionali in fuga dall'Italia e altri nodi difficili da sciogliere, Di Maio è convinto che la lotta all'immigrazione selvaggia sia l'argomento che in questo momento sta più a cuore agli italiani. Di Maio ha fatto di tutto per andare al Viminale, sperando di poter replicare i successi di Matteo Salvini, ma dovrà ripiegare con ogni probabilità sulla Difesa. Al suo posto, al ministero dello Sviluppo economico, dovrebbe approdare Paola De Micheli, vicesegretario Pd. L'Economia è una casella assai delicata: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, avrebbe visto di buon occhio la riconferma di Giovanni Tria, ma le probabilità sono remote. Salgono invece le quotazioni di Carlo Cottarelli. Il ministro dell'Interno difficilmente sarà il capo della Polizia, Franco Gabrielli: salgono a dismisura in queste ore le chance del capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio. Per il ministero della Famiglia, sempre alte le quotazioni di Vincenzo Spadafora del M5s. Un capitolo a parte merita Emma Bonino: al Senato ogni voto è prezioso, ed è in atto un pressing per far accettare un ministero alla leader di +Europa, forse le Pari opportunità. Agli Affari regionali dovrebbe andare Stefano Buffagni, pentastellato che ha ricoperto, in questo dicastero, la carica di sottosegretario. Non escluso un ritorno di Maurizio Martina all'Agricoltura, poltrona ambita anche da Giuseppe Brescia, fedelissimo del presidente della camera, Roberto Fico. L'attuale ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, potrebbe traslocare agli Affari europei. Sempre più probabile la nomina a Commissario europeo di Paolo Gentiloni. Queste le indiscrezioni, ma l'ultima parola spetterà a Sergio Mattarella.
Che cosa hai fatto nella vita? «Presiedevo una cooperativa». Di che cosa si occupava? «Pomodori». Allora potresti prendere il ministero dell'Agricoltura. «Buona idea». Ma com'è finita quella cooperativa? «È fallita». Allora potresti andare anche allo Sviluppo economico. Dev'essere andato più o meno così, nelle segrete stanze del Pd, il colloquio con cui si è scelto di puntare su Paola De Micheli come uno degli elementi di spicco del nuovo governo giallo e rossopomodoro. Il quale governo non è ancora nato, forse non nascerà, ma ci regala già emozioni indicibili. Candidare la presidente di una coop fallita allo Sviluppo economico, infatti, è un po' come candidare lo sterminatore di gerani a ministro dell'Ambiente o lo stafilococco aureo a ministro della Sanità. Siamo a livelli di barzelletta.
Il fatto va raccontato. Correva l'anno 1998, e Paola De Micheli, dopo alcune esperienze professionali importanti, quali quella di impiegata nell'associazione «Gli eletti dell'Ulivo per Piacenza», diventò presidente e consigliere delegato della Agridoro di Pontenure (Piacenza). La società cooperativa si occupava, per l'appunto, di trasformare e vendere pomodori. Non andrò benissimo: cinque anni dopo, infatti, la coop fu dichiarata fallita e posta in liquidazione coatta. Nell'ultimo bilancio aveva accumulato un debito di 7.265.457 euro. Non è mica impresa da poco accumulare 7 milioni di debiti a colpi di pomodoro. Ma Paoletta ci riuscì alla grande. Tanto che, per la prima volta forse, si può dire che la politica, rubando braccia all'agricoltura, non ha fatto particolari danni. Anzi. Per l'agricoltura è stato un sollievo. Per il resto dell'Italia un po' meno. Ma tant'è.
E pensare che la aspirante ministro ci teneva tanto a quei pomodori. «Quella coop era lo scopo della mia vita», confessò a Bruno Vespa, in una serata al sapor di conserva. Aggiungendo: «Ci tengo ai valori». Senza specificare però se in quei valori fossero compresi pure i 7 milioni di debiti. E senza spiegare come mai nel conservare pomodori non sia mostrata allora così brava come poi si è mostrata nel conservare poltrone: da presidente della cooperativa, infatti, la De Micheli prese pure una multa (2.000 euro) per aver lasciato 188 fusti di pomodori pieni di vermi e dall'odore nauseabondo accanto ai prodotti destinati al mercato. «Violazione della legge igienica». Di qui si capisce l'imbarazzo del totoministri: meglio mandarla all'Agricoltura, in virtù della sua esperienza sui pomodori nauseabondi, o allo Sviluppo economico, in virtù della sua esperienza di fallimenti? Quando si hanno così tanti talenti è difficile scegliere quale privilegiare.
E Paola di talenti ne ha avuti sempre tanti. Nata a Piacenza, dopo aver preso la maturità classica nel 1992 al liceo Gioia, ha scelto infatti astutamente di iscriversi a una facoltà non proprio impossibile, Scienze Politiche. Ebbene: è riuscita a laurearsi nel 2001. Nove anni per terminare gli studi in Scienze politiche? Non è forse una dimostrazione di abilità straordinaria? C'è da rimanere stupiti che, nell'attuale totoministri, non si pensi a lei anche per la Pubblica istruzione. Se anziché metterci solo nove anni per laurearsi ce ne avesse messi 12, sono sicuro che un pensierino ce l'avrebbero fatto. Anche se a dire il vero lì il Pd preferisce piazzare chi una laurea non ce l'ha proprio.
Per il resto il curriculum dell'eterna candidata, alla voce «esperienze professionali», non è particolarmente ricco. Non si registra null'altro di particolarmente importante, a parte l'Ulivo e la coop. Un impiego in un'agenzia, un altro alla Global Chef, un altro al Consorzio Cooperative Conserve Italia (ridagli col pomodoro). E tre mesi di «consulenza a Urumqi» in Cina. Non si sa consulente di che cosa. Ci auguriamo per i cinesi non per l'agricoltura.
Molto più interessante, invece, il curriculum politico della De Micheli. Membro della Direzione provinciale della Dc, diventa poi responsabile dei Giovani Popolari, entra nella Margherita e di qui nel Pd, dove si lega subito al carro del suo conterraneo Pierluigi Bersani. Quando Bersani cade, dopo il 2013, Paoletta scopre improvvisamente il suo amore per Enrico Letta. Un amore che così forte che, quando Matteo Renzi a suon di «stai sereno» lo caccia da Palazzo Chigi, lei scoppia a piangere a dirotto. Una carriera interrotta? Macché, non la conoscete: il tempo di asciugarsi le lacrime e diventa sottosegretario all'economia del governo Renzi e quando cade Renzi si fa confermare da Paolo Gentiloni sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Quando poi Nicola Zingaretti diventa segretario del partito, ecco dimenticata la fase bersaniana, quella lettiana, quella renziana e quella gentiloniana, le scatta subito la molla zingarettiana, tanto da guadagnarsi la nomina a vicesegretario, e ora la candidatura a ministro. Che ci volete fare? Tutti la vogliono al fianco, tutti ne apprezzano le doti, alcune delle quali molto evidenti, per la verità. E lei ricambia dando a ogni suo mentore almeno una sicurezza. Quello che lei, prima o poi, gli volterà le spalle.
Eppure Paoletta l'arrampicatrice in tacco 12, continua a piacere un sacco. Sempre in tv, sempre agghindata come si deve. Lo sguardo un po' malizioso. Di recente anche i giornalisti sovranisti anti Pd, come Alessandro Giuli, hanno cominciato a tessere le sue lodi esagerate («sa esprimere concetti con capacità seduttive felliniane, è il vero segretario del Pd»). E lei, ambiziosa com'è, non ha nessuna intenzione di fermarsi, ma continua a coltivare (roba da Agricoltura) la sua ascesa inarrestabile (roba da Sviluppo economico), accumulando cariche di ogni tipo, dalla presidenza della Lega Volley alla poltrona di Commissario per la ricostruzione del terremoto del Centro Italia. Quest'ultima l'ha tenuta per oltre un anno, dal settembre 2017 all'ottobre 2018, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, purtroppo. Macerie mai rimosse, ritardi devastanti, popolazioni abbandonate. E strade mai ricostruite. Ma non ditelo troppo forte se no qualcuno la propone anche per il ministero delle Infrastrutture. «Cosa hai ricostruito da commissario?». Niente. «Allora poi andare alle Infrastrutture». E se poi mi tirano i pomodori come a Toninelli? «Tranquilla, ci puoi sempre fare una cooperativa». E se fallisce come l'altra? «Allora sei proprio fatta per lo Sviluppo economico». Nel tentativo, ovviamente, di far fallire l'intero Paese. Impresa per cui, c'è da scommettere, la candideranno direttamente al Quirinale.





