Milano si scopre al centro di una lunga anomalia istituzionale sul fronte urbanistico, una irregolarità che affonda le radici nelle giunte di centrosinistra degli ultimi dieci anni. Una Commissione nata per difendere il paesaggio ha finito per occuparsi anche di edilizia e urbanistica, mescolando competenze che la legge imponeva di tenere rigorosamente separate. È quanto emerge dalla relazione firmata dal professor Alberto Roccella e consegnata il 13 agosto 2025 alla Procura, un documento che accusa Palazzo Marino di avere trasformato, dal 2014 in avanti, l’organo di garanzia in un meccanismo ibrido, «in diretta e irrimediabile violazione» del Codice dei beni culturali. Non un mero vizio formale, ma - scrive il relatore - «una precisa volontà politica di orientare l’opinione pubblica, occultando sotto la nobile veste del paesaggio lo svolgimento di funzioni di rilevantissimo impatto, anche economico».
Il punto di frattura è il Regolamento edilizio del 2014, approvato dalla giunta Pisapia, quando all’urbanistica sedeva l’assessore e vicesindaco Ada Lucia De Cesaris, figura chiave di quella stagione e oggi indagata a sua volta nell’inchiesta urbanistica che ha travolto il Comune. Con quell’atto la Commissione paesaggistica si è vista attribuire - «in composizione unica» - anche le competenze che un tempo spettavano alla Commissione edilizia. Il risultato è una sovrapposizione normativa che, secondo il consulente, costituisce «un’indebita protrazione del sistema istituito da una legge regionale del 1997 ormai abrogata». L’articolo 146, comma 6, del Codice dei beni culturali impone invece una netta separazione tra la tutela paesaggistica e le funzioni amministrative urbanistico-edilizie, senza eccezioni. Dal 2014 in avanti, con la prosecuzione sotto le giunte Sala, quel modello ibrido non è mai stato messo in discussione, diventando prassi ordinaria nell’amministrazione cittadina.
A rendere più delicato il quadro è il ruolo della Regione Lombardia. La relazione annota che «la violazione è sfuggita alla Regione», non come scelta intenzionale, ma come conseguenza delle nuove regole introdotte nel 2021: da allora la verifica dei requisiti tecnico-scientifici delle Commissioni è stata rimessa agli stessi Comuni titolari delle funzioni, con la Regione limitata a controlli a campione attraverso la piattaforma Mapel. In questo scenario, l’anomalia milanese ha potuto protrarsi senza essere intercettata da un controllo diretto e sistematico. Nel frattempo, quando Palazzo Marino annunciò il rinnovo della Commissione nel dicembre 2024, la comunicazione ufficiale parlò solo di tutela del paesaggio, ignorando le competenze edilizie che il Regolamento le attribuisce da anni. Per il relatore, una rappresentazione «parziale e fuorviante» dell’effettivo perimetro dei poteri.
Il capitolo dei conflitti d’interessi completa il quadro. Il regolamento originario prevedeva un divieto esplicito per i commissari di assumere incarichi professionali di progettazione nel territorio comunale; col tempo quella barriera è venuta meno. L’effetto, denuncia il documento, è che oggi chi valuta può essere anche professionista nello stesso spazio: «La disciplina attuale lascia spazio a situazioni di conflitto oggettivo, incompatibili con i principi di imparzialità e terzietà». In questo modo, la neutralità dell’organo tecnico risulta compromessa, con gravi conseguenze sulla credibilità delle decisioni.
I rimedi non sono palliativi. O si separano radicalmente le funzioni, con due organi distinti, o si rinuncia alle competenze paesaggistiche in attesa di istituire una Commissione autonoma e conforme alla legge. Una scelta obbligata, secondo il relatore, se Milano vuole ristabilire la legalità e la trasparenza delle proprie procedure. Non basta aggiustare il regolamento, occorre riscrivere dalle fondamenta l’architettura dei controlli, prevedendo incompatibilità rigorose e barriere nette tra chi progetta e chi giudica.
Sul fondo del testo emergono i protagonisti che hanno incarnato questa vicenda. Giuseppe Marinoni, architetto nonché ex presidente della Commissione del Paesaggio, è indagato nell’inchiesta urbanistica per corruzione e falso. Giovanni Oggioni, ex vicepresidente della Commissione e già direttore tecnico dello Sportello unico edilizia, è già sotto processo in un filone giudiziario parallelo. Alessandro Scandurra, architetto, commissario nella tornata 2018-2021, è accusato di aver percepito parcelle milionarie dal patron di Coima, Manfredi Catella. Tutti sono accusati a vario titolo di aver approvato progetti per studi di architettura o immobiliaristi, anche se percepivano da loro migliaia di euro: un evidente conflitto di interessi secondo la Procura. Le loro posizioni sono ora oggetto dei procedimenti giudiziari, ma il documento tecnico non intende sostituirsi alla magistratura: solleva invece il tema più ampio dell’impianto istituzionale, che deve essere ricondotto alla legalità, senza zone grigie né sovrapposizioni.
La relazione, infatti, non è una cronaca giudiziaria, ma una diagnosi politico-istituzionale: Milano ha accettato per anni di fondere paesaggio ed edilizia, coprendo scelte rilevanti sotto un’idea di tutela. La conclusione del documento è netta: la città deve riportare ordine, separando le funzioni o rinunciando temporaneamente a una parte di esse, perché solo così sarà possibile ristabilire la trasparenza e la legalità nell’amministrazione del territorio.



