«C’è un clima di repressione». Continuano le polemiche dopo gli scontri di Firenze e Pisa e ai leader della sinistra all’opposizione fa gioco alimentare surreali derive da macelleria messicana. Elly Schlein ribadisce: «Basta manganellate agli studenti, non è un episodio isolato, non possiamo più assistere a scene inaccettabili come quelle di venerdì. Il ministro Matteo Piantedosi venga finalmente a chiarire in Parlamento e a prendersi le sue responsabilità davanti al Paese».
Giuseppe Conte la marca stretto per non perdere decimali nei sondaggi: «La premier Giorgia Meloni continua a tacere sulle botte ai ragazzi, tiene la testa sotto la sabbia. Dov’è il riconoscimento del legittimo diritto al dissenso?». E dal Colle più alto si fa sentire anche Sergio Mattarella: «L’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacita di assicurare la sicurezza tutelando al contempo la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. I manganelli con i ragazzi esprimono un fallimento».
È allarme democratico. Anche se il corteo di Firenze ha tentato di sfondare per fiondarsi sul consolato americano; anche se quello di Pisa (non autorizzato ma autoconvocato sui social) ha provato ad aggirare gli sbarramenti per andare a creare il caos dalle parti della Sinagoga, distante solo 600 metri dal blocco della polizia all’ingresso secondario di piazza dei Cavalieri. È allarme democratico nelle piazze, sui social e nelle redazioni, dove si fa notare che «il diritto di manifestare è sacro», che «solo un governo autoritario zittisce le proteste con la celere».
Un risveglio improvviso, ridondante. Un agitarsi improprio di code di paglia dalla memoria corta, che per tre anni hanno osservato in silenzio dalle segreterie dei partiti, dalle terrazze romane, da Capalbio, dalle poltrone Frau le forze dell’ordine massacrare chi «manifestava pubblicamente opinioni» (per dirla con il presidente della Repubblica) contrarie alla dittatura del green pass, contrarie all’impedimento di lavorare senza l’obbligo di vaccinarsi, contrarie al semplice atto di farsi inoculare il siero. Allora le manganellate erano sacrosante; allora contro i portuali di Trieste che chiedevano solo di poter portare a casa il pane c’erano gli idranti. E poi gli arresti, e poi le espulsioni, e poi lo stigma sociale.
Tutto molto democratico, come indicavano campioni del pensiero unico quando «il diritto al dissenso» (per dirla alla Conte) evidentemente non era legittimo. Mesi di vergogna passata in cavalleria senza bisogno di metafore, perché un editorialista solitamente moderato come Aldo Cazzullo scriveva: «Ho visto da cronista decine di cortei ma solo davanti a quello no-vax, per la prima e spero ultima volta, ho tifato per l’arrivo della polizia a cavallo». In quei mesi vergognosi, nel delirio repressivo con Luciana Lamorgese al Viminale, i sinceri democratici aizzavano la celere a picchiare fra gli applausi del Nazareno.
Il vizio della memoria è una brutta bestia. Allora il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, si esprimeva così contro i no green pass: «I manifestanti non rispettano la regola d’ingaggio basilare che è: si concorda un percorso. A questo punto diventano incontrollabili e la polizia può fare una cosa sola. Caricarli».
Valeva per dei cittadini inermi, non vale più per collettivi studenteschi e Cobas che tentano di sfondare al culmine di manifestazioni uscite dai percorsi condivisi. Ma allora c’erano il governo delle quattro sinistre (con Conte a palazzo Chigi) e quello di Mario Draghi.
In quel magma gli inviti alla violenza fisica erano non solo tollerati, ma definiti nobili. Giuliano Cazzola (+Europa) tuonava in tv: «Ci vuole il feroce monarchico Bava Beccaris, che con il piombo gli affamati sfamò. Non c’è nessuna scusa, sono dei terroristi e quindi non meritano nulla. Magari non proprio Bava Beccaris, ma meritano che la celere li bastoni».
Italiani contro italiani, tolleranza zero per obbligare e reprimere. Purtroppo anche Mattarella faceva rotolare dal Colle il suo pensiero infiammabile: «Non si invochi libertà per non vaccinarsi». La stessa che oggi viene invocata per sfondare le zone rosse in nome di una pace violenta.
Erano i giorni dei «sorci da chiudere in casa» di Roberto Burioni, del «virus che ti mangia gli organi riducendoti una poltiglia verdastra» di Selvaggia Lucarelli. Allora il rossoverde Angelo Bonelli - lo stesso che vorrebbe rimuovere il questore di Pisa - auspicava la zero tolerance per la piazza dei reprobi. E Maurizio Landini faceva il tifo per annullare lo stipendio a chi dissentiva. È lo stesso campione di democrazia che oggi strepita: «Il diritto a manifestare deve essere garantito a tutti». Ipocrisia e smemoratezza quando il vero fascismo dei buoni dominava nel Paese. E Repubblica titolava: «Caccia alle feste vietate, chi sa chiami il 112», invitando i lettori a fare i delatori contro i vicini di casa. Quello era davvero «un clima di repressione» (per dirla alla Schlein). Ma a loro piaceva un mondo.


