Silvia Guerini, attivista e saggista, è autrice di vari scritti piuttosto interessanti che affrontano di petto le principali questioni biopolitiche dei nostri tempi. Tra i suoi libri vale la pena di citare Dal corpo neutro al cyborg postumano (Asterios) e Pma. Dalla riproduzione artificiale animale alla riproduzione artificiale umana.
Il tema del transumanesimo ricorre spesso nelle sue opere. Ritiene che si stia imponendo una deriva transumana?
«Sì, l’utero in affitto così come la procreazione medicalmente assistita sono dentro a una visione di mondo transumanista ed eugenista. Abbiamo in origine una visione materialista, che ha desacralizzato il vivente, rendendolo disponibile. E poi si è appunto imposta questa ideologia eugenista e transumanista che ha reso il vivente non solo mercificabile, ma ingegnerizzabile e artificializzabile».
Tutto questo passa attraverso la procreazione?
«Lo scopo è proprio quello di normalizzare e generalizzare la procreazione artificiale come nuovo modo di venire al mondo. Io affermo che la procreazione medicalmente assistita è il cavallo di Troia del transumanesimo, perché una volta aperta la strada alle tecniche di fecondazione assistita la logica conseguenza è la continua ottimizzazione, la continua implementazione di tutto il processo. Dal primo passaggio dell’inseminazione intrauterina il punto di arrivo inevitabile è l’artificializzazione di tutto il processo. Dobbiamo capire davvero la posta in gioco, perché il paradigma del laboratorio trasforma il modo in cui veniamo al mondo. L’eugenetica, in tutto ciò, non è una deriva funesta, ma è il motore di questi processi e lo è fin dall’origine della fecondazione assistita. Basta ricordare che Robert Edwards, il “padre” di Louise Brown - la prima bambina in provetta - fu chiaro nell’affermare che, quando sarebbe stato tecnicamente possibile modificare geneticamente la specie umana, sarebbe stato lecito farlo».
È la vecchia legge secondo cui ciò che si può fare prima o poi si farà. E la spinta più forte sembra arrivare dal desiderio dei singoli.
«Il problema è che il desiderio di avere un figlio non può trasformarsi in un diritto. Non esiste il diritto di avere un figlio, per nessuno. Poi -intendiamoci - sono questioni complesse, come tutte quelle che riguardano i nostri corpi. Sicuramente c’è una sfera personale, c’è una scelta personale. Ma decisioni di questo tipo non possono esaurirsi nella dimensione personale, perché hanno delle conseguenze sulla società, su tutti gli esseri umani. Intendiamoci: la riproduzione artificiale non viene imposta. Viene proprio desiderata. Stiamo interiorizzando il pensiero secondo cui è meglio consegnare a tecnici la dimensione della procreazione. Poi dobbiamo considerare l’attuale condizione sociale in cui le donne continuano a rimandare la maternità. Voglio dire che viviamo in un contesto sociale che da un lato crea le condizioni di infertilità, dall’altro sta creando il desiderio di consegnare ai tecnici la dimensione procreativa. Arriveremo al punto in cui verrà considerato irresponsabile non consegnare totalmente la dimensione della procreazione alle cliniche. E poi da irresponsabile verrà considerato criminale».
Come dobbiamo regolarci dunque con chi, almeno all’apparenza, desidera un figlio con grande intensità?
«Ripeto: io comprendo nel profondo il desiderio di genitorialità, ma questo non può diventare un diritto, per nessuno. Sarò impopolare ma voglio dirlo: io penso che alla procreazione medicalmente assistita e all’utero in affitto non dovrebbe avere accesso nessuno. Perché comprendo cosa rappresenta la Pma e a cosa ci sta portando».
Stiamo vedendo i frutti di un processo che parte da lontano. Per molto tempo il femminismo ha presentato la maternità come un fardello per la donna. L’utero in affitto risponde in qualche modo a questa istanza e allo stesso tempo stabilisce il diritto di avere figli. Sembrano tendenze contraddittorie, ma sono due facce della stessa medaglia.
«Alcune rivendicazioni - ad esempio quella dell’assenza di limiti portata avanti a partire dal ’68 o le istanze delle organizzazioni Lgbtq di oggi - di fatto hanno gettato le basi per una separazione della donna dalla dimensione della procreazione. Oggi assistiamo a un cambiamento profondo della donna e della madre, tanto che in alcuni contesti non si può più dire “donna”: meglio dire “persona che mestrua”. Non si può più dire “allattamento al seno”, bisogna dire “allattamento al petto”. Assistiamo a una cancellazione, a una evaporazione della madre. La madre è colei da cui nasciamo: non si può scardinare questo fatto, altrimenti si vanno a sgretolare le radici dell’umano. Pensiamo per esempio alla recente legge di bioetica francese, che ha allargato l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita alle donne sole e alle coppie di donne. In quel caso la legge prevede che la maternità avvenga attraverso una semplice dichiarazione di volontà, senza distinzione tra la donna che ha partorito e l’altra donna. Abbiamo quindi una madre d’intenzione, dei genitori d’intenzione. Si parla di progetto parentale, dichiarazione d’intenti, genitore 1 e genitore 2… Sapete che significa? Che l’essere umano - scollegato dalla sua origine attraverso la separazione dalla dimensione della procreazione - cessa di avere una storia. E si riduce al mero assemblaggio eugenetico di un ovulo e dello sperma».
I radicali propongono la «gravidanza solidale». La maternità surrogata senza passaggio di denaro è più accettabile?
«Innanzitutto dobbiamo ribadire che c’è sempre uno scambio di denaro, anche nella cosiddetta maternità altruistica. Ma anche se non ci fosse uno scambio di denaro non è eticamente ammissibile che si possa donare un bambino. L’essere umano non può essere oggetto né di compravendita né di scambio, né può diventare oggetto di una negoziazione contrattuale. E la maternità surrogata è questo, e niente altro».
Leggendo i testi delle transfemministe odierne, o delle cyberfemministe (penso ad autrici come Donna Haraway, che suggerisce di «stabilire nuove parentele e non fare bambini») a me pare che, sul fondo, ci sia anche una potente avversione nei confronti della riproduzione.
«Leggiamo con attenzione i testi di queste teoriche transfemministe, come Donna Haraway, Rosi Braidotti o Carlotta Cossutta. Dai loro testi emerge quasi una ossessione per il vivente. Una ossessione per tutto ciò che nasce e che muore e una avversione nei confronti dei figli e della famiglia, oltre alla fascinazione per le tecnoscienze. Leggiamo nei loro saggi che il corpo è una piattaforma hackerabile, a cui le biotecnologie possono offrire nuove possibilità. L’oncotopa, che è una topa modificata geneticamente dalla multinazionale Dupont, diventa un «soggetto sovversivo». Il cyborg diventa invece un simbolo del femminismo, perché è asessuato e decostruisce i ruoli. Stiamo parlando di ideologie che sono del tutto funzionali all’avanzamento del sistema transumanista. Nell’ultimo libro della Haraway - tanto amato dall’ultima generazione di ambientalisti, prodotta da Davos - si afferma che nel nuovo mondo bambini e bambine nasceranno da uteri artificiali, senza sesso biologico, neutri, modificati geneticamente alla nascita. Non sono delle semplici favole - anche perché, intendiamoci, le ricerche dell’utero artificiale sono iniziate e stanno andando avanti. Sono delle idee precise di essere vivente, di mondo, di essere umano, di procreazione, di nascita, che poi influenzano molto le rivendicazioni delle organizzazioni Lgbtq. Il pacchetto transumano prevede utero in affitto, procreazione medicalmente assistita, autocertificazione di genere, identità di genere, bloccanti della pubertà. L’uomo nuovo sarà un essere umano biomedicalizzato inserito in una continua, infinita, spasmodica auto implementazione, auto ottimizzaizone. Le ideologhe transfemministe e queer, la sinistra postmoderna e arcobaleno di oggi rivendicano tutto ciò come libertà e autodeterminazione. Ma chiediamoci quale sia il significato di questa libertà».
Che libertà è?
«Una libertà abusata, resa feticcio, martoriata. La cancellazione delle radici sessuate, il corpo neutro e la spinta per la riproduzione artificiale dell’umano di fatto preparano la strada alla normalizzazione dell’alterazione della biologia umana, all’ingegneria genetica. Una volta che apriamo la porta accettando la trasformazione dell’essere umano, accettiamo di interiorizzare la visione transumanista per cui il corpo è un limite, qualcosa da modificare, trasformare e in fondo negare nel profondo».



