Come una creatura surreale, Maria Grazia Buccella si è aggirata sui set del grande cinema italiano a fianco dei mostri sacri, non sfigurando mai. Impossibile dimenticarla. Un personaggio unico, una delle poche attrici nostrane votate per la commedia, grazie all’effetto straniante di chi è sempre fuori posto. Riuscire a bloccarla su una sedia e tempestarla di domande è stata un’impresa. Ne è uscita con la consueta nonchalance. E tanta grazia.
È nata a Milano?
«Sì, però sono cresciuta in Trentino. Mio padre aveva ditte di trasporti, macchinari, mobili per le scuole, e viaggiava spesso, anche in Alto Adige e all’estero. Mia madre, che era originaria di Ancona, lo aiutava in ufficio, benché non si dicesse, perché le donne allora dovevano pensare alla casa».
Quali studi ha fatto?
«Il ginnasio e poi il liceo. Ero molto presa dallo sport: ho fatto nuoto agonistico, salto in alto, pattinaggio artistico, danza classica e moderna. Dopo la maturità avevo scelto di continuare gli studi all’università, poi sono stata abbagliata da altre cose».
La recitazione…
«Negli anni del liceo ho conosciuto il famoso alpinista Cesare Maestri, i cui familiari, il padre Antonio, la sorella Anna e il fratello Giancarlo, erano tutti attori. Mi diede lui i primi rudimenti di recitazione. Quegli anni, veramente straordinari, li ho passati con loro e poi siamo sempre rimasti in contatto».
Com’è riuscita a entrare nel mondo dello spettacolo?
«Molto lo devo a mio padre perché, come presidente di un ente turistico, mi ha fatto conoscere tante persone, in vari settori».
Quindi l’assecondava?
«In realtà, mi voleva bloccare perché non era entusiasta della mia idea, ma non è stato possibile, anche perché ero sostenuta da Anna Maestri, grande attrice di teatro».
Sua madre invece era contenta?
«Per mia madre era diverso, perché nella sua famiglia c’erano persone legate al mondo dello spettacolo. Conoscevano Virna Lisi e Federico Fellini, che andavo a trovare a Cinecittà ed era sempre contento di vedermi».
Come ha fatto a partecipare a Miss Europa e a Miss Universo?
«Mi hanno cercata tramite mio padre».
L’avevano notata perché era particolarmente bella?
«Credo più per il fatto che parlavo un ottimo tedesco, trattandosi di concorsi internazionali. Sono arrivata terza a Miss Europa, che si svolgeva in Sicilia, e poi mi hanno chiamata a Miss Universo, in California. Lì mi hanno fatto un contratto per il cinema e così ho cominciato. È stato tutto molto casuale».
In America è rimasta per molto tempo?
«Finché mi sono venuti a riprendere quelli del concorso. I miei genitori mi hanno fatto ritornare a casa. Nei mesi che sono stata lì, tra Los Angeles e New York, ho partecipato ad alcuni film, ho fatto pubblicità, ho conosciuto divi americani, tra cui Frank Sinatra. Mi ero sistemata, avevo trovato come mantenermi, ma non potevo più rimanere in America».
Non parlava inglese?
«No, ma con me c’era una signora del concorso che non mi lasciava mai, un’orientale che parlava perfettamente italiano e inglese. Quando sono andata in America una seconda volta, assieme a mia madre, sono stata da lei per un periodo. Mi ha introdotto nel settore artistico, dandomi molti suggerimenti su come dovessi comportarmi e che studi fare. Ho frequentato per un po’ l’Actors’ Studio e mi sono messa a studiare l’inglese».
Rientrare in Italia è stato duro?
«Ho avuto un momento di smarrimento. A casa mia volevano che mi iscrivessi finalmente all’università. Io ho cominciato invece a muovermi nel settore artistico, grazie sempre alla famiglia Maestri, e poi sono andata insieme a mia madre a vivere a Roma, facendo avanti indietro con il Trentino».
Il suo primo film importante è stato Il boom di Vittorio De Sica, con Alberto Sordi.
«Con Sordi ero così emozionata che non riuscivo a dire neanche mezza parola!».
Poi ha girato in Argentina Il gaucho di Dino Risi.
«Il gaucho è stato veramente importante. Ho conosciuto Vittorio Cecchi Gori, al quale sono legata da rapporti di profonda amicizia ancora oggi. In quel periodo non avevamo più notizie di uno zio che si era trasferito in Sudamerica, ma non sapevamo dove. Mia madre stava impazzendo. Grazie al console sono riuscita a rintracciarlo, ci siamo messi in contatto con lui e a Natale è tornato in Italia».
Un ricordo di Vittorio Gassman, protagonista de Il gaucho?
«Che posso raccontare di un personaggio così straordinario come Gassman, così particolare, così tutto? Aveva una mimica facciale pazzesca, detto da un’attrice che non ha mimica. Era molto altruista con gli altri attori, mi dava continue spiegazioni… però come si incavolava quando facevo delle cose che non andavano fatte!».
C’era anche Nino Manfredi in quel film.
«Molto carino anche lui nei miei confronti, ma completamente diverso come carattere da Gassman».
In Ménage all’italiana di Franco Indovina ha lavorato con Ugo Tognazzi. Nel giro di due anni è stata al fianco dei quattro grandi della commedia all’italiana.
«Sordi, Gassman, Tognazzi, Manfredi e poi De Sica: ero sotto shock! Tognazzi era un altro grande attore, di una simpatia unica. Ricordo le serate che passavamo a casa sua, perché mi ha invitato subito, con mia sorpresa, a Torvajanica».
La rimproverava anche lui sul set?
«Poteva anche rimproverarmi, però con quella sua parlata lombarda era piacevole. Uno si faceva una risata».
Un altro film importante della sua carriera è L’Armata Brancaleone di Mario Monicelli.
«Facevo la parte di un’appestata. Quando è scoppiata la pandemia e siamo stati rinchiusi in casa, mi sono sentita come il personaggio di quel film».
Con i registi i rapporti com’erano?
«In genere ho avuto buoni rapporti, non ho mai avuto difficoltà. Io cerco sempre di stare bene con tutti, così è meglio per me e per loro».
Chi ha tirato fuori la sua vera anima?
«La mia vera anima deve ancora uscire. Farei volentieri una parte in un film, anche piccola, ne sarei felicissima».
Si è sentita poco valorizzata all’epoca?
«Per la verità, mi hanno valorizzato tutti sin troppo. Non meritavo tanto».
Il pubblico la identifica con il personaggio di Dove vai tutta nuda? di Pasquale Festa Campanile, un po’ svampita, tra le nuvole, allegra e divertente.
«Non è che io sia molto diversa da quel personaggio».
Si ritrova?
«Certo che mi ritrovo, anzi mi ritrovo solo in quello, a parte l’abbigliamento!».
In quel film aveva problemi a girare sul set tutta nuda, o quasi?
«Ero abituata dal nuoto, poi nel cinema ci sono tanti accorgimenti. È più complicato su un palcoscenico. Ho fatto un po’ di cabaret alla francese, nello stile di Rosa Fumetto. Mi spogliavo, canticchiavo, con tutta la mia gestualità, cercando di essere avvincente. Era una cosa spiritosa».
In casa le hanno mai creato problemi per il nudo?
«Non pochi. Capirai, erano tutti molto religiosi».
Quindi non andavano a vedere i suoi film?
«No, li hanno visti tutti. E mi facevano pure osservazioni su come recitavo! Comunque, mio padre, borbottando, era contento. Forse era anche orgoglioso di questa figlia attrice».
Un’altra commedia divertente è Ti ho sposato per allegria di Luciano Salce, con Monica Vitti e Giorgio Albertazzi.
«Veramente bellissimo. Salce era talmente spassoso che mi divertivo di più stando con lui che a girare il film. Mi ha diretto anche in Basta guardarla e Il provinciale, con Gianni Morandi. Monica Vitti era favolosa, però anche lei qualche volta si incavolava».
Lei invece non si arrabbia mai?
«Come no! Quando mi capita, prendo e parto in quarta. Ho fatto anche un po’ di kung fu».
Aveva una buona memoria?
«Una memoria pessima. Ho fatto qualche volta teatro, dove la memoria è fondamentale, sapesse cosa ho combinato un giorno…».
Ce lo racconta?
«In uno spettacolo con Renato Rascel, Venti zecchini d’oro, mi sono dimenticata di entrare in scena. Dovevo uscire da un armadio. Non vedendomi, Rascel ha improvvisato una sceneggiata, inventandosi delle battute, io non uscivo, e allora altre battute, finché è venuto a prendermi. Il pubblico ha applaudito».
Non avevano capito?
«Non lo so. Poi mi sono esibita spesso con la compagnia del Bagaglino di Pier Francesco Pingitore e Mario Castellacci, con i quali al cinema ho fatto Remo e Romolo e Nerone. Interpretavo personaggi sopra le righe, molto divertenti».
Come mai a un certo punto ha interrotto la carriera?
«Veramente non ho mai capito quando ho smesso! Comunque, nella vita si cambia, io sono stata presa da altre cose e ho cominciato a viaggiare. A un certo punto ho conosciuto uno scrittore americano, Robert Miller, e con lui sono andata nelle scuole, nelle università a parlare della questione razziale, su cui bisognava sensibilizzare i giovani».
Adesso le è tornata la voglia di recitare?
«Sì, se è per questo, mi è tornata anche la voglia di ballare».
Potrebbe andare a Ballando con le stelle.
«No, no…».
Ha sempre mantenuto attorno alla sua vita un alone di mistero, separando nettamente la sfera privata da quella pubblica, e il suo prematuro addio dalle scene ha contribuito ad alimentarlo.
«C’è stato un periodo in cui non mi potevo affacciare da casa perché il giardinetto di fronte era pieno di fotografi. Da una parte mi dava un certo orgoglio, dall’altra mi sentivo impreparata e intimorita».
Non si è mai sentita una diva?
«Sinceramente no. Ho giocato forse a fare la diva».
Sul set?
«Anche fuori».


