Grintosa, sicura di sé, temperamento romantico. Il colore dei suoi occhi, che può ricordare le acque di un mare talvolta quieto e talvolta turbinoso, ha colpito noti registi e fotografi. A lei la televisione ha affidato ruoli di primo piano in programmi ad alto tasso di audience sin dal 1995, a fianco di Pippo Baudo nella presentazione di Sanremo. Anna Falchi - Anna Kristiina Palomäki - dal 6 ottobre 2025, su Rai 2 dal lunedì al venerdì, dalle 11.10 alle 13, conduce, con Flavio Montrucchio, l’ormai storico I fatti vostri. Ha iniziato come modella. È nata a Tàmpere, in Finlandia, da madre finlandese e padre italiano.
Le persone più importanti della tua vita oggi…
«La mia famiglia, mia figlia e anche il mio fidanzato. E poi le mie amiche».
Già da bambina in Italia. Come ricordi i tuoi primi anni di vita in Finlandia?
«Non li ho trascorsi completamente in Finlandia perché mia madre faceva avanti e indietro con l’Italia. Ricordi un po’ vaghi. Ci sono stata forse troppo poco in Finlandia, ma l’ho frequentata e la seguo sempre. Sento di provenire da quella meravigliosa terra. Ho ereditato la tempra delle donne finlandesi, il sangue freddo. Caratterialmente sono una donna mediterranea. Ma ho il sangue freddo, riesco ad affrontare tutto con saggezza, aplomb…».
La mamma è finlandese.
«Sì, finlandese. Mi chiamo Anna Krìstiina, l’accento è sulla prima “i”: è tutto così in Finlandia, mia madre Kàrina con l’accento sulla prima “a”. Il pilota di Formula 1, in Italia lo chiamano Räikkönen con l’accento sulla “o”. Invece va con l’accento sulla prima “a”. Venne a fare una vacanza con delle amiche, si erano diplomate e, su cinque, quattro sono rimaste in Italia, folgorate dall’Italia ma soprattutto dagli italiani».
E il tuo impatto con l’Italia?
«Abbiamo cambiato tante case e tante città e quindi mi sento un po’ una cittadina del mondo ed è giusto così quando si ha un’etnia mista. Questo ti apre molto la mente e non ti attacchi alle cose o alle persone, ti crei ogni volta una tua realtà sociale. Questo è stato molto stimolante anche per la formazione del mio carattere».
Inizialmente, qui in Italia vivevi con la mamma?
«Sì sì, sempre, io, mia mamma e mio fratello Sauro. Mia mamma sta al piano di sotto, siamo vicine vicine».
Hai conquistato tante copertine, ad esempio di Cosmopolitan ed Esquire. Com’è nata l’idea di fare la modella?
«Per il fatto che non credevo in me stessa. Spesso ero la più alta rispetto alle mie amiche, avevo una postura diciamo non consona alla mia altezza e mia madre mi fece fare un corso da indossatrice, circa in seconda liceo linguistico, un corso di portamento. Poi in uno scouting nella scuola di modelle mi notò la Why not di Vittorio Zeviani e andai a Milano. La mattina partivamo tutte con il book sotto braccio, c’erano anche Litz Theron, Sharon Stone, Monica Bellucci, eravamo in erba, le ho conosciute tutte… A me quel mestiere non piaceva, mi stava stretto, non ho mai amato molto le foto».
Ah, interessante…
«Ancora oggi non sono così fanatica di me stessa, non mi piace farmi fotografare, se non per pubblicizzare qualcosa cui tengo. Non ho una fotografia mia in casa… Tutte le mattine mi vedo allo specchio ed è più che sufficiente. Quindi trovavo un po’ noioso fare la modella e ho preferito impormi con la mia personalità. Da lì la voglia di emergere in altri ambiti, attrice e il resto…».
Sei stata ritratta da grandi fotografi.
«Con Helmut Newton la cosa non ebbe buon fine. Andai per fare questa fotografia, un poster a grandezza naturale per Max. L’anno prima, nel 1996, feci il mio primo calendario. Ero disposta a fare il topless ma oltre a quello non volevo andare. Lui era famoso per fare i big nude. Voleva da me un nudo integrale. Per una forma di pudore non mi andava e purtroppo litigammo. Il servizio fotografico lo feci con Gian Paolo Barbieri, grande autore. Qualcuno ha ancora il poster in casa».
Nel 1993 protagonista, con Paolo Villaggio, della réclame per Banca di Roma «Il sogno», autore Federico Fellini. Tu e Villaggio, che sta tradendo la moglie, seduti a un tavolino su una strada ferrata. Lui si trova con la sedia incastrata nei binari e legato. Poi tu, su un albero, gli dici: «Guarda! Sta arrivando il treno…». Villaggio si sveglia di soprassalto. Era un incubo. Fellini voleva anche dire che una bella donna è pericolosa?
«(Ride, ndr)) Probabilmente sì».
Ti consideri pericolosa per un uomo?
«(Ride, ndr) Ma no, assolutamente. Nell’immaginario collettivo avrei potuto rappresentare un pericolo, quello che una donna di spettacolo faccia perdere la testa a un uomo. In realtà sono un agnellino. Sembro più aggressiva di quello che sono in realtà. Spesso mi hanno dipinta come una femme fatale, una sex symbol. Ma non sono più quella roba lì, anche perché uno si evolve».
Come ricordi le riprese di quella pubblicità accanto a questi due «mostri sacri»?
«Mi sembrava di vivere in un sogno vero e proprio. Nulla di quello che si vede nello spot c’era nella realtà. Eravamo sul lago di Bracciano. L’albero era finto, finta la ferrovia, il vento fatto con i ventilatori… Era un grande sogno per me, come essere catapultata a Hollywood, una cosa quasi surreale. Ero molto emozionata, loro mi hanno fatta sentire molto a mio agio, con tenerezza. Poi con Villaggio mi sono ritrovata in Palla di neve. È stato una persona molto cara nella mia vita».
Un altro richiamo estremo di amore e morte, il film Dellamorte dellamore, del 1994, di Michele Soavi. Sei a fianco di Rupert Everett. Il custode di un camposanto s’innamora di te, una vedova che va a trovare il marito defunto e poi lì faranno l’amore.
«È uscito nuovamente l’anno scorso in 99 copie per i cinema italiani, con annesso dvd e blu-ray. Dopo 30 anni Rupert Everett è tornato in Italia. Abbiamo fatto la prima al cinema Massimo Troisi a Trastevere con un’affluenza incredibile di persone, arrivati con poster, locandine, dvd. Lui è stato un amore, l’antidivo insomma, è venuto a farsi intervistare ai Fatti vostri e ci ha fatto un grandissimo regalo. All’epoca avevamo instaurato un rapporto così bello che l’abbiamo ritrovato a distanza di così tanto tempo».
Secondo te, la donna, in amore, può cercare emozioni forti e potenzialmente mortali?
«Forse l’amore non è più passionale come in passato. Si è meno pronti, diciamo, al sacrificio. Tutti cercano un compagno o una compagna di vita. Le emozioni forti, fino a un certo punto della vita, possono piacere. Ma l’obiettivo di tutti è avere una serenità emotiva, un obiettivo che non sempre si raggiunge».
Ti è accaduto di sottoporre un uomo a prove d’amore?
«No, le cose devono essere spontanee. Uno si deve esporre per quello che è… Dev’essere spontaneo».
Deve manifestarsi la persona insomma…
«Ci vuole tempo. Una persona non si finisce mai di conoscerla, a volte siamo misteriosi anche per noi stessi. Ma l’importante è evolversi, essere al passo con i tempi, non si può dire “non cambierò mai”, bisogna essere coerenti con il tempo che passa, non ci sono scuse e non si può incappare negli stessi errori. Bisogna affinarsi, riconoscere i propri difetti, quando si è adulti queste cose accadono».
In una trasmissione tv hai osservato che un fenomeno folkloristico degli italiani, quello di fare i «pappagalli» e fischiare per strada a una bella ragazza, non è da criminalizzare se resta nei confini del lecito. Non sei la sola a pensarla così.
«Sì, il catcalling, sono stata anche contestata. Ho sdoganato il catcalling perché è un gesto spontaneo, un complimento estemporaneo che non nuoce a nessuno se fine a sé stesso. Questo può far piacere a tutti, lo dicevo in questo senso. Non stigmatizzo chi lo considera una molestia, è libero di farlo. Ma rispetto a tutte le piaghe sociali che esistono mi sembra una cosa così leggera, tanto che non è considerato un reato. Ci sono il mobbing, lo stalking, il revenge porn, il body-shaming, il razzismo, l’odio social, l’etaismo, cose molto più importanti. Mi sento di dire così. Tornando al passato, mi viene in mente una canzone di Fred Buscaglione, Che bambola».
Come no, fischiava a una bella donna e diceva «che bambola»…
«Dobbiamo tacciarla di sessismo? Se si legge il testo, “riempiva un bel vestito di magnifico lamé, un cumulo di curve come al mondo non ce n’è...”. Quando la donna si stranisce, si gira, gli dà uno schiaffone e lui dice (fischia, ndr) “che sventola”. Insomma c’è la libertà o di prenderlo come un complimento o di offendersi. Poi nelle commedie degli anni Settanta-Novanta con la Fenech, la Bouchet, sogni proibiti degli italiani, era quasi un cliché. È un modo un po’ anacronistico ma se qualcuno ancora lo faccia, solleviamolo da questo piccolo peccatuccio… Mi sembra che il discorso sia logico».
Chiaro che partiamo dal principio che la donna si rispetta. Tuttavia un complimento un po’ maschio come un fischio può fare, anche inconsciamente, piacere a una donna…
«Esatto. In questo senso volevo dire».
Tra l’altro, quel brano di Buscaglione finiva con il «bel mammifero targato 103» che si pentiva del ceffone e dava un bacio al fischiatore messo ko. Ma non è che le donne, con alcune esagerazioni, finiscano per incutere terrore anche a uomini che conoscono bene i limiti del rispetto?
«Gli uomini adesso prendono distanza, stanno sulle difensive. È comprensibile, perché c’è un perbenismo un po’ anche forzato, diciamolo. Non si possono rubricare tutti gli approcci allo stesso modo».
Cosa più ti piace del mondo dell’intrattenimento?
«Come conduttrice, la diretta. Fare programmi in diretta è la cosa che mi piace di più. Adrenalina pura. Non mi annoio mai».



