Gregorio Paltrinieri farebbe la felicità dei divulgatori scientifici, quelli che si sforzano di farci comprendere come il tempo sia solo un modo umano di vedere le cose, inesistente nell’universo: a furia di inanellare record, il tempo è una variabile che non lo riguarda. Altra cosa quando sguazza in acqua e il cronometro ne misura le bracciate. Lì, la sua tecnica dell’hip driven - letteralmente una nuotata guidata dal movimento dei fianchi, rintuzzata dai muscoli del tronco, un’esecuzione che ne asseconda il fisico longilineo, non colossale ma armonico, con il risultato di spendere poco in termini di energia e di ottenere molto nel ritmo e nella resistenza - sintetizza il panta rei caro ai discepoli di Eraclito: tutto scorre, soprattutto le bracciate del caimano di Carpi classe 1994, che del compendio degli opposti fa una bandiera. Da esordiente nuotava d’istinto, ora sa metterci il raziocinio. Quando prepara una competizione è taciturno, ma alle Olimpiadi di Tokyo 2021 ha conosciuto meglio la sua attuale fidanzata, la spadaccina olimpica Rossella Fiamingo e «abbiamo trascorso ore a chiacchierare, di solito non mi capita, sono silenzioso prima di una sfida». E poi il look: «Giro sempre in tuta, ma mi attira il mondo della moda e se mi capita di uscire alla sera amo vestirmi bene». Insomma, furbo e curioso come Ulisse, bellicoso all’occorrenza come Achille. Ieri, nelle acque di Fukuoka, in Giappone, Paltrinieri ha guidato la staffetta mista del fondo, la 4x1500, alla conquista di un oro iridato che mancava all’Italia da 21 anni. Al suo fianco, Barbara Pozzobon e Ginevra Taddeucci puntellavano la resistenza tricolore, Domenico Acerenza lo aiutava a rifilare la zampata letale verso il traguardo. Battute Australia e Ungheria, con la Germania che ha scelto di risparmiare Florian Wellbrock per le gare in piscina e si è classificata quarta. Per il fenomeno emiliano è la seconda medaglia in questi mondiali, dopo l’argento agguantato nella 5 km di fondo tre giorni fa. Ora, dopo le sfide in mare, lo attendono quelle in piscina. La bacheca è ricca: campione del mondo in carica dei 1.500 m in vasca lunga e in vasca corta e degli 800 m in vasca corta oltre che della 6 km a squadre in acque libere. Attualmente è pure campione europeo in carica degli 800 metri sia in vasca lunga, sia corta, nella 5 km in acque libere e nella 5 km a squadre. Ha conquistato una medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016 nei 1.500 stile libero avvicinando il record del mondo, oltre a un argento negli 800 metri in vasca e il bronzo nella 10 km in acque libere ai Giochi Olimpici di Tokyo. Quel bronzo, arraffato con le unghie e con i denti dopo un mese di stop per aver contratto la mononucleosi, è una legion d’onore da raccontare ai nipoti: «Ci sono certe gare che si disputano solo con il cuore», ricorda lui, con un misto di felicità e commozione. Nel pantheon delle divinità marine tricolori si colloca con disinvoltura a fianco di Federica Pellegrini e Massimiliano Rosolino. Con lui poi condivide il record di una medaglia olimpica conquistata per ogni metallo, oro, argento e bronzo. Merito del padre Luca, nuotatore agonista di buon livello, che lo schiaffa in piscina a Novellara, nel Modenese, fin dai tempi dell’asilo. Greg parte ranista, poi, quando si trasferisce a Ostia sotto la guida del maestro Stefano Morini, sceglie lo stile libero per consacrarsi. Essenziale ed esplosivo, si ispira a Ian Thorpe, ma anche ai campioni di basket dell’Nba, sua seconda passione sportiva: «Tifo New York Knicks e mi sveglio di notte per seguire le partite». Sarà che la pallacanestro, con le sue marcature strette, gli ricorda le battaglie condotte durante gli allenamenti in acqua di mare. «Nuotare in piscina e nuotare nel mare sono due cose molto diverse. In mare poi, spesso mi sono ritrovato a schivare banchi di 500 meduse in soli 50 metri». Ma è stato competitivo pure con loro: «L’acqua è il mio elemento, ne avverto l’energia quasi mistica, quando nuoto sento di non temere nulla e sono pronto a dare il massimo sempre. In acqua sono io all’estremo e ogni cosa è ingigantita: picchi di gioia e poi subito emerge la voglia di fare di più. Gli estremi non aiutano a essere felici, ma è questo che mi ha permesso di raggiungere nuovi traguardi. Non la vivo bene, però è sempre stato così. Per fortuna, nella vita non agonistica credo di essere più equilibrato». Nei prossimi giorni lo sguardo è focalizzato su un nuovo potenziale oro. «A volte penso a quando arriveranno nuotatori più giovani e veloci di me, e allora penso a quel che farò quando la carriera agonistica terminerà. Di sicuro non sarò più così competitivo in altri ambiti come lo sono nello sport». Ma è presto per pensarci: «Ho l’impressione che per avere stimoli è come se avessi bisogno di una delusione. Così si accende la miccia. Mi arrabbio, la prendo sul personale». Sarà per questo che a Fukuoka ha esordito con un quinto posto nella 10 km in acque libere. Poi è arrivato l’argento nella 5 km di fondo. E ieri, l’oro iridato con la staffetta mista.
Questa Rai del centrodestra, pur con i connotati ancora in via di definizione, si sta già rivelando un bel trampolino: per perdere il lavoro o per non ottenerlo mai. Ne sa qualcosa il giornalista di Rai Sport Lorenzo Leonarduzzi, appena sospeso dall’amministratore delegato di Viale Mazzini, Roberto Sergio, per avere pronunciato alcune battute da caserma durante una pausa della diretta dei Mondiali di tuffi attualmente in corso a Fukuoka, in Giappone. Battute che Leonarduzzi pensava di formulare a esclusivo «beneficio» - se così si può dire visto l’assai basso livello delle stesse - del commentatore tecnico Massimiliano Mazzucchi, che gli era accanto.
La sfortuna, o la sprovvedutezza, di Leonarduzzi, non nuovo a infortuni simili (anche quando regolarmente in onda), ha invece fatto sì che in quel frangente il collegamento rimanesse aperto, per cui anche i telespettatori di RaiPlay 2, che trasmetteva l’evento, si sono dovuti sorbire stantie facezie, ispirate a Leonarduzzi da alcune tuffatrici olandesi, di questo genere: «Si la do. Gli uomini devono suonare sette note, le donne soltanto tre» o «Alte o basse, a letto le donne sono tutte uguali» (anche se quest’ultima frase Leonarduzzi sostiene di non averla detta). Pur essendo state pronunciate nella convinzione di non essere uditi da alcuno tranne che dal malcapitato Mazzucchi, tali parole hanno ovviamente suscitato un vespaio micidiale una volta rese note all’universo mondo dapprima dall’account @defrogging e quindi da una pec inviata alla Rai.
Pec che ha anche offerto il destro a Leonarduzzi per buttarla sul dietrologico: «La persona che ha riportato queste cose alla Rai mandando una mail che contiene anche una minaccia, perché lui affermava che senza provvedimenti era pronto a rendere pubblico tutto, gestisce il blog nazionale di Nicola Marconi, che era stato proposto per il commento del mondiale dei tuffi al posto di Mazzucchi. C’è del dolo, è un complotto». Complotto o no, di certo c’è che Leonarduzzi, com’era ovvio, è stato subitaneamente crocifisso anche sui social e sulla maggior parte delle testate giornalistiche, dove a molti non è parso vero di strumentalizzare l’episodio per sferrare i consueti attacchi di carattere «antropologico» nei confronti di tutto ciò che non sia riferibile all’ambito progressista. Il sillogismo (che è in realtà un paralogismo, essendo fallace) è, stavolta, il seguente: al governo c’è la destra; a un telecronista della Rai sono sfuggiti dei fuori onda imbarazzanti; conclusione: la Rai attuale, emanazione della destra, è una taverna affollata di bifolchi dalla quale ci si deve attendere ogni sorta di abiezione verbale e morale.
Eppure, oltre a Leonarduzzi, ad andare incontro a traversie professionali con la Rai (talora anche più gravi di quelle che sta vivendo il telecronista sportivo) sono stati, negli ultimi giorni, dei professionisti certamente non ascrivibili alla sinistra, da Filippo Facci, che si è visto togliere - prima ancora di iniziarla - una striscia quotidiana di approfondimento su Rai 2 per il contestato passaggio di un suo articolo dedicato al caso di Leonardo Apache La Russa, fino a Pino Insegno, biasimato per un commento sull’età della soubrette Ainett Stephens. Questo per dire che la Rai odierna a tutto somiglia fuorché a un fortilizio della destra, apparendo piuttosto sensibilissima a determinate istanze, non di rado declinate secondo i codici di un’ipocrita isteria, care al mondo della sinistra e genericamente riconducibili alla sfera della cosiddetta «correttezza politica».
Anche lo storico presentatore Claudio Lippi sembra essersi giocato future collaborazioni con il servizio pubblico a causa di alcune recenti considerazioni sulla comunità Lgbtqia+ e, addirittura, per avere auspicato l’adozione di un «linguaggio popolare come quello di Giorgia Meloni». Alla faccia della TeleMeloni di cui straparlava ieri Repubblica. Peraltro nel medesimo articolo, a firma di Giovanna Vitale, si definivano «epurati», pur senza nominarli, i vari Fazio e Annunziata da poco accomiatatisi dalla Rai: a noi, però, risulta se ne siano andati di propria spontanea volontà, ma magari ricordiamo male. E a proposito di Lucia Annunziata. Va da sé che, in privato o tra amici (o quando non si è in onda, se ci si trova in uno studio tv), tutti noi, a prescindere dalle appartenenze politiche e dalle convinzioni ideologiche, siamo in grado di dire le peggiori cose, né più né meno dello sfortunato Leonarduzzi. Ce lo insegna proprio la Annunziata, che lo scorso anno, con il supporto del collega e alto papavero Rai Antonio Di Bella (progressista lei, progressista lui), in un fuori onda di un programma sulla guerra in Ucraina, parlò delle donne ucraine come di «cameriere, badanti e anche amanti».
Vi furono nella circostanza defenestrazioni, sospensioni, cancellazioni di programmi? Figuriamoci, i due rimasero serenamente al proprio posto. Eh sì: se lo scivolone è di sinistra, affinché tutto si sistemi è sufficiente un’arrampicata sugli specchi. Meglio ancora: un bel carpiato. Altro che le tuffatrici olandesi.




