Va in scena: pane, coperto e sanzione che oscilla da 400 a mille euro, 280 se si paga entro cinque giorni, più la chiusura coatta del locale a discrezione del Prefetto. Nonostante questo in miglia hanno aperto: disobbedienza civile, sopravvivenza necessaria. Si potrebbe dire: «Più del pizzardon potè il digiuno», parafrasando Dante di cui ricorre - in silenzio per ora - il settimo centenario, perché nonostante raffiche di multe sparate ad alzo zero migliaia di ristoranti dal Piemonte alla Sicilia ieri sera hanno aperto. Il ministro dell’interno Luciana Lamorgese - forse rifacendosi a un celebre film dal titolo patriotico Bianco rosso e verdone - è sembrata il compianto caratterista Mario Brega: «Sta’ mano po’ esse fero o po’ esse piuma». Con una circolare inviata a tutti i prefetti due giorni fa ha avvertito: la legalità va fatta rispettare, evitando scontri e facendo che ci si attenga a tutte le norme. Ma contrariamente alla battuta inventata da Carlo Verdone la mano ieri sera è stata non una piuma, ma una mazzata. Al coordinamento di Io apro - la protesta dei ristoratori - che è stato spontaneamente creato a Firenze da Momi (Mohamed El Hawi) nel più grande dei sui tre locali (Tito, peccati di gola) già dalle 18 sono cominciate ad arrivare segnalazioni di multe e di inviti alla chiusura. Ma nello stesso tempo sono arrivati i numeri delle adesioni alla protesta. Che è partita è vero timidamente in molte città, ma poi ha preso vigore quando è arrivato il testo del nuovo Dpcm che vieta l’asporto per i bar e conferma gli orari di chiusura dei ristoranti e l’elenco delle tre Regioni in zona rossa e delle dodici arancioni. Con il passare delle ore l’elenco dei ristoranti aperti per protesta si è ingrossato. Yuri Naccarella monitora la protesta dal quartier generale di Firenze dice: «Siamo a occhio più di trentamila, la situazione delle multe però è pesante, mi dicono che sono migliaia in tutta Italia. Le regioni che hanno riposto più massicciamente all’iniziativa sono la Toscana, la Lombardia, le Marche, gran parte dell’Emilia Romagna. Forti adesioni anche in alcune città del Veneto, nel Lazio e in Campania». Peraltro a Caserta e poi a Napoli tre giorni fa i ristoratori avevano bloccato strade e autostrade. «I conti», prosegue Yuri, «però li faremo nei prossimi giorni perché Io apro è una protesta gentile, una forma di disubbidienza civile che riguarda non solo i ristornati, ma anche i bar, le palestre, le piscine, gli organizzatori di eventi tutti quelli che hanno perso il lavoro per colpa di questi decreti, di queste chiusure a singhiozzo. Ora ci multano anche e magari ci fanno chiudere i locali. Ma noi abbiano organizzato un comitato di difesa con i nostri avvocati e diciamo che più cercano di farci stare zitti e più protestiamo. Sempre in maniera civile. Pensiamo di avere non una, ma cento ragioni: i locali sono stati messi a norma, la cassa integrazione è arrivata a singhiozzo, che potevamo fare?». Il sostegno ai ristoratori è ampio. È vero che la Fipe Confcommercio ha preso le distanze dalla manifestazione per «non avallare comportamenti che vanno contro la legge ed evitare altre sanzioni ad aziende già massacrate» ma è anche vero che il comparto di tutto ciò che ruota attorno al turismo e agli eventi ormai è allo stremo. A questi ristoratori che protestano è arrivata la solidarietà della Lega con Matteo Salvini in prima fila, ma tra i sostenitori più convinti c’è Vittorio Sgarbi che ha lanciato un video sui social in cui incita ad aprire. E racconta: «L’altra sera ero a cena dal mio amico Umberto Carriera che ha riaperto i suoi ristoranti a Pesaro e mi hanno multato. A me? A me che sono lo Stato, il Prefetto mi multa in ragione di leggi illegittime?». Ad andare avanti nella protesta esorta anche Gianfranco Vissani che è diventato ormai il padre nobile dei ristoratori arrabbiati. «Sono dalla loro parte, sto con loro perché i ristoratori stanno morendo. E più di un anno che non si lavora. Abbiamo messo i locali a norma, abbiamo investito soldi, ma ci hanno tenuti chiusi. I ristori sono pochi e non sono arrivati a tutti. In più si è dimostrato che con i ristornati chiusi i contagi sono aumentati. E allora che vuol dire? Ci dobbiamo difendere». Tra gli stellati qualcosa si muove. Ad esempio a Milano Tano Simionato si è messo a fianco della protesta. Dice Manuele Boccardo di Padova, tre ristoranti, il più famoso è La Corte dei Leoni: «Qui a Padova abbiamo aperto in una trentina e sono ovviamente fioccate le multe, ma non ci arrendiamo». Lo stesso vale a Sassuolo dove Antonio Alfieri ha guidato i ristoratori di Io apro, e nel pesarese nei cinque locali di Umberto Carriera. Molti altri locali pur non avendo aperto al pubblico - ed è stata questa la forma di protesta più diffusa - hanno comunque apparecchiato le tavole e hanno acceso le luci così come i bar che hanno organizzato degli aperitivi dimostrativi. Ma come dice Momi: è solo l’inizio. Nei prossimi giorni Io apro ha intenzione di andare avanti, di organizzare il contrasto legale alle multe e di coinvolgere tutti i negozianti e le imprese penalizzate dai Dpcm. «Stasera», racconta Naccarella, «abbiamo fatto la pizza per i giornalisti, per i clienti che si sono affacciati. Anche loro erano spaventati dalle multe e anche perché fuori del locale c’era un cordone di Polizia». Stessa scena a Padova. Nota Boccardo: «Niente da rimproverare a questi ragazzi in divisa, loro fanno il loro dovere; è chi li manda che non fa il proprio dovere. Affama il Paese per incompetenza». Oggi Io apro continua.
Molti ristoranti, dunque, aprono lunedì. E così molti altri esercizi commerciali. Nel frattempo un gruppo di cervelli, a Roma, probabilmente con lampadina in testa come Archimede Pitagorico, sta scrivendo le regole che devono rispettare per poter riaprire i battenti. Devono essere in pochi, perché oggi è giovedì e, forse, le regole definitive saranno pronte domani, venerdì. Tre giorni per adeguarsi. Ma vi pare una cosa possibile? Ma vi pare che si possa trattare una categoria così importante in questo modo?
In Italia ci sono 112.000 ristoranti e 335.000 attività varie di ristorazione. Se, per ipotesi, calcoliamo cinque persone ad azienda ci avviciniamo a quasi 2 milioni e mezzo di lavoratori. Ora, come si può, in tutto questo tempo non avere pensato di ascoltare i rappresentanti di questa categoria? Eppure è successo.
Lino Stoppani, presidente della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), lo ha denunciato chiaramente. Perché di denuncia si tratta, di inadempienza, non legata a un obbligo, ma a una normale norma di buonsenso, di praticità. Come si fa a studiare delle norme in astratto, senza conoscere la vita quotidiana, i problemi, le opportunità, i ritmi di una attività economica? In base a cosa vengono decisi i metri, la disposizione dei tavoli e delle sedie, le varie strutture di prevenzione del contagio? Una volta stabilite - infatti - le precondizioni per l'apertura (in sede di comitati scientifici vari), prima di affidare all'Inail la redazione delle norme, non si poteva confrontarsi con i ristoratori stessi per capire come fare? Con tutto il rispetto, secondo voi, ha più creatività - in questo settore come in altri - un funzionario, un professore, un politico, un tecnico o un ristoratore? Certamente quest'ultimo, risponderete, anche se non siete ristoratori, perché la vostra risposta è dettata dalla conoscenza della vita, niente di più e niente di meno.
Riepilogando. Se mi costringi a chiudere mi devi aiutare in qualche modo, cosa che non è successa. Ah no, e successa: 600 euro per marzo. Se mi costringi a riaprire rispettando delle regole, mi devi ascoltare per concordare insieme le regole, perché tu non conosci la mia attività. I rappresentati dei ristoratori hanno calcolato che i coperti giornalieri passeranno da 7 milioni a 2 milioni e 800.000. Sono misure insostenibili. Molti di loro non riapriranno, se riapriranno chiuderanno a breve. Quanti resisteranno? Poi non vengano a parlare dell'importanza del turismo (anche se solo interno) perché se parte la pernacchia - o con la lingua in fuori o premendo sulla bocca il dorso o il palmo della mano (in questi tempi di comitati è bene essere precisi) - non ci sarà possibilità di replica.
Una parte di ristoratori milanesi - che sono 11.000 - sta protraendo una protesta con l'hashtag #seapriamofalliamo. Sono un gruppo di irresponsabili? Gente che lotta contro il governo? Dei pericolosi attentatori al clima di melassa nazionale che circonda il governo e il suo presidente Conte, che magari comincia pure a crederci? No, è gente che sta dicendo che avendo sulle spalle quasi tutte le spese di prima non può farcela con un quinto del fatturato di prima.
Sarebbe ora che il governo mettesse su un comitato di confronto con questa categoria - e altre - per capire cosa possono fare, e come lo possono fare, semplicemente per sopravvivere. Hanno aggiunto 11 figure femminili pochi giorni fa ai comitati. Bene per le quote rosa. Se non si sbrigano a sentire queste categoria tra poco avremo le quote nere, il colore della morte, anche se si tratta di imprese. Dopo che faranno, avendo tempo libero andranno tutti in monopattino per le vie di Milano e dell'Italia?




