Il tesoretto è sparito a rate. In silenzio. Con bonifici sospetti, prelievi bancomat, spese non rendicontate in negozi di abbigliamento, per comprare cavalli e un crossover Bmw. Tutto in cinque anni, per un totale di 506.000 euro. Mentre a guardia della cassaforte c’erano i fedelissimi del Partito modenese. Non un Pd qualsiasi: il cuore della corrente di Stefano Bonaccini, quella che da anni gestisce, coordina e indirizza il potere politico e amministrativo in una delle province più rosse d’Italia. Lo chiamano «caso Amo». È uno scandalo politico. Perché l’Agenzia per la mobilità di Modena, società a capitale pubblico al 100 per cento, partecipata dalla Provincia e da 47 Comuni del territorio, con il Comune di Modena che da solo detiene il 45 per cento, stando a quanto sta venendo fuori, è stata per anni una macchina opaca e autoreferenziale. E oggi, davanti all’evidenza di un buco contabile da capogiro, la politica locale sta in silenzio. Per l’imbarazzo. Perché dentro l’Amo, dove risultano spese addirittura per l’insonorizzazione di una stanza, c’erano tre figure chiave. L’amministratore unico, Stefano Reggianini, diventato a maggio segretario provinciale dei dem. Il direttore dell’epoca, Alessandro Di Loreto, quello che ha firmato l’avviso di selezione e che ha reclutato la dipendente F. F., è diventato assessore all’Urbanistica alle Nuove mobilità e trasporto pubblico a Carpi (secondo Comune della provincia per elettori). E il revisore unico dei conti, Vito Rosati, che oltre a controllare i bilanci dell’Agenzia per la mobilità, in passato ha controllato anche quelli del Pd. Due tra gli altri 29 incarichi sparsi. Compresi quelli ricevuti, «nello stesso periodo, anche da diversi Comuni soci dell’ente», premette il parlamentare di Fratelli d’Italia Michele Barcaiuolo in una interrogazione depositata al Senato. «Questa pluralità di incarichi contestuali», evidenzia il deputato, «potrebbe aver determinato una minore attenzione alle irregolarità contabili e una sostanziale inefficacia dei controlli». Sottolineando «un evidente problema di conflitto di interessi, determinato dal fatto che il revisore ha operato sia presso l’ente partecipato (Amo) sia presso i Comuni soci, i quali dovrebbero invece esercitare su tale ente un potere di vigilanza e controllo analogo». In teoria, doveva controllare un ente partecipato. In pratica, riceveva incarichi da chi quell’ente l’avrebbe dovuto vigilare. Una posizione che la legge, le linee guida del ministero dell’Interno, la giurisprudenza della Corte dei Conti e persino la Legge Severino definiscono chiaramente come incompatibile. Una girandola di conflitti d’interesse e zone grigie che ora è esplosa. Tutto comincia a venire a galla il 16 aprile scorso. Il direttore Daniele Berselli deve fare un pagamento urgente. La dipendente addetta F. F., una collaboratrice prima, poi assunta e infine promossa capo ufficio, è in malattia. Così apre l’home banking. E scopre un bonifico da 7.000 euro, apparentemente non regolare, diretto a coprire un viaggio istituzionale a Londrina, Brasile. Una trasferta pagata (dice lui) dal Comune. È la crepa da cui entra la luce. Il 29 aprile Berselli ne parla con l’amministratore unico Reggianini e con i soci di Amo. Ma la denuncia parte solo a giugno. Nel frattempo emergono dettagli inquietanti: i 506.000 euro di ammanco sono frutto di bonifici irregolari per oltre 450.000 euro, a cui si aggiungono circa 50.000 euro tra prelievi bancomat e spese non giustificate che sarebbero state effettuate tra il 2022 e il 2025. Comprese uscite di cassa per utenze non tracciabili, pagamenti riconducibili a voci che con la mobilità pubblica non c’entrano nulla e persino un’autoliquidazione di stipendio superiore a quanto previsto dal contratto. Reggianini, contattato dalla Verità, in modo un po’ sibillino, non smentisce l’acquisto di sette cavalli: «Non le so dire che cosa abbia fatto coi soldi… sicuramente lei è una che aveva dei cavalli, ma io non mi occupo di cavalli». Poi c’è l’acquisto della Bmw X3: «Sì, io l’ho vista su questa macchina». E l’insonorizzazione della stanza dell’Amo: «Abbiamo fatto dei lavori di sistemazione impiantistici». Il tutto attraverso un bancomat intestato all’azienda e al suo ex amministratore unico. Secondo la versione ufficiale, riportata nella denuncia depositata dalla stessa Amo, la colpevole sarebbe la dipendente infedele. Lei avrebbe gestito tutta la contabilità, firmato documenti, predisposto estratti conto, inoltrato bilanci. Una gestione contabile a dir poco disinvolta. La contabilità di Amo, società che fattura 40 milioni di euro l’anno (tutti soldi pubblici), era nelle mani della stessa persona. Una collaboratrice esterna dal 2018, poi assunta nel 2021, autoferrotranviere prima e subito dopo promossa dirigente (le è stata mossa contestazione disciplinare ad aprile e poi è scattato il licenziamento). Da lì in poi, a quanto pare, avrebbe avuto mano libera: compilava gli estratti conto, li inviava via mail al revisore legale, spesso in forma cartacea, e li sintetizzava in «disposizioni massive», cioè voci generiche, mai distinte singolarmente. I conti, apparentemente, quadravano. Intanto, in Comune e in Provincia si cerca di lasciare la polvere sotto il tappeto. Si parla a mezza bocca di «falle nei controlli», si invoca la «tabula rasa dei dirigenti». E arriva il nuovo amministratore unico: Andrea Bosi, per due consiliature assessore alla Legalità (riconfermato dal sindaco di Modena Massimo Mezzetti) e dal 2020 vicepresidente di Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità. Lui, Bosi, appena si insedia annuncia: «Chi ha sbagliato pagherà, recupereremo le somme». Ma intanto, sotto gli occhi dei pezzi da 90 del Partito democratico modenese, mezzo milione di euro è svanito.
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