Finirà così: che il Me too verrà ricordato non solo come una grande ordalia nella quale sono state bruciate carriere ed esistenze, ma anche come il fenomeno che ha delegittimato la vera lotta contro gli abusi sessuali.
Il riabilitato di questi giro di giostra è Kevin Spacey, uno degli attori più influenti e iconici degli ultimi decenni, cancellato dallo schermo dopo le accuse di Anthony Rapp. Dalle quali ieri è stato assolto.
Rapp, attore di un qualche successo, soprattutto per il suo ruolo nella serie Star Trek: Discovery, ha accusato nel 2017 «Keyser Söze» di averlo molestato... nel 1986. Normalmente, accuse riferite a un un presunto reato compiuto 31 anni prima non porterebbero mai a un processo. Lo Stato di New York, tuttavia, ha approvato nel 2019 il Child Victims Act, una legge che rende temporaneamente ammissibili vecchie accuse di molestie. Torniamo al 1986, quindi. Siamo a Brodway. Spacey e Rapp hanno entrambi uno spettacolo in corso. Rapp ha 14 anni, Spacey 26. Il futuro protagonista di American Beauty invita il giovane a una festa nel suo appartamento. Il ragazzo ci va, ma non conoscendo nessuno si mette a guardare la tv nella stanza da letto. A quel punto Spacey, ubriaco, lo prende di peso e lo mette sul letto, coricandocisi poi sopra. A quel punto Rapp si divincola e scappa. Punto. Questa è la storia. O meglio, questa è la versione di Rapp della storia, che ha definito il presunto incontro con Spacey come l’evento più traumatico della sua vita.
Quello che colpisce è innanzitutto la tenuità del fatto, anche qualora si prenda per buona la versione del giovane attore. Certo, l’età aggrava il quadro. Ma è davvero possibile rovinare la vita di una persona per uno «sfioramento» avvenuto 31 anni prima, senza che la condotta disdicevole porti ad atti sessuali o a veri episodi di violenza? In ogni caso, la giuria ha stabilito che quegli sfioramenti nemmeno ci furono, o comunque non possono essere provati. Rapp aveva raccontato la propria storia nel 2017, in piena tempesta Me too, al sito BuzzFeed News. Spacey rispose immediatamente con un comunicato di scuse, che gli è stato rinfacciato dagli avvocati di Rapp durante il processo (di cosa si scusava se non era successo niente?). In realtà, l’attore di House of cards aveva solo affermato di non avere memoria dell’incontro, aggiungendo: «Ma se mi sono comportato come lui descrive, gli devo le più sincere scuse per quello che sarebbe stato un comportamento da ubriaco profondamente inappropriato».
Sin da subito, in ogni caso, si era messa in moto una macchina inarrestabile. Spacey aveva perso tutti i suoi principali contratti. Un po’ ovunque erano spuntate altre denunce per molestie, tra cui l’aggressione sessuale a tre uomini adulti tra il 2004 e il 2015 quando era direttore del teatro londinese Old Vic (accuse per le quali Spacey si è dichiarato non colpevole). Altre accuse di molestie sono state archiviate da tribunali e alcune proprio ritirate direttamente dagli accusatori, come quella di un uomo che aveva accusato Spacey di averlo molestato in un bar di Nantucket. L’attore, inoltre, era stato di fatto costretto a fare coming out: a suo modo, un piccolo colpo messo a segno dalla maligna combriccola dell’attivismo arcobaleno, così attratta da quella «volontà di sapere» già a suo tempo vivisezionata criticamente dal gay Michel Foucault.
Oggi, dopo che lo schiacciasassi è già passato, Spacey viene assolto. Rapp, secondo i legali dell’attore, non ha mai partecipato a quella festa. E, in ogni caso, non ci sarebbe molestia sessuale perché l’accusatore non ha saputo provare il contatto con le sue parti intime. «Non ci sono prove che ciò sia accaduto e molte prove che non sia successo», ha detto Jennifer Keller, uno degli avvocati di Spacey, nella sua arringa conclusiva. E ha opportunamente puntualizzato: «Questo non è uno sport in cui sei dalla parte del Me Too o dall’altra parte. Questo è un posto molto diverso. Il nostro sistema richiede prove, supporto oggettivo per le accuse fornite di fronte a una giuria imparziale. Per quanto polarizzata possa essere la società oggi, questo non dovrebbe avere posto qui». Una giuria di 11 persone presso il tribunale distrettuale degli Stati Uniti, a Manhattan, le ha dato ragione.
Per Spacey non è ancora la fine dell’incubo: la produzione di House of cards, tanto per dirne una, gli ha chiesto 31 milioni di dollari per «grave danno arrecato allo show». Ma, di sicuro, si tratta di un importante tassello verso la sua riabilitazione. L’attore rimane del resto ben piantato nell’immaginario collettivo e non avrà certo problemi a riposizionarsi sul mercato. La vittoria è però importante perché sancisce un principio generale di giustizia: non è possibile rovinare la vita di una persona se qualcuno, con tre decenni di ritardo, si ricorda di essere stato sfiorato. Con buona pace degli aguzzini neo puritani.




