2023-08-13
Anche il pm di Bergamo difende la commissione: «Usi il nostro materiale»
Il procuratore capo di Bergamo, Antonio Chiappani (Ansa)
Antonio Chiappani, che ha guidato l’inchiesta sulla pandemia, non la pensa come il Colle: l’organo parlamentare è necessario.L’inchiesta sulla gestione pandemica della Procura di Bergamo, come è noto, è stata archiviata. Inevitabilmente, perché il reato di epidemia così come è scritto è come se non esistesse. Un testo scritto nel 1930, per cui sarebbe punibile solo il cagionare l’epidemia «mediante diffusione di germi patogeni di cui l’agente ha il possesso». L’omissione delle misure sanitarie e sociali previste per arginare, se non prevenire, comunque ostacolare il diffondersi di un’epidemia non costituisce un illecito. Ma proprio il procuratore capo di Bergamo, Antonio Chiappani, in un’intervista al Giornale ha spiegato che anche se si è in assenza di reati, esistono degli errori e lancia un appello: «La commissione Covid usi la nostra indagine». Il procuratore, pur non volendo entrare nel merito e pur rispettando la decisione del tribunale dei ministri, ha tenuto a precisare alcune questioni. La Procura ha prodotto un’informativa di 2.400 pagine, scritte per ricostruire cosa è successo nelle prime ore della pandemia. Fatali per l’esito che poi sappiamo avrebbero avuto: «A tre annidi distanza c’è ancora discussione su chi spettasse la decisione», che era politica, insindacabile in sede giudiziaria. «Mi chiedo: potranno essere sindacate, in altra sede, anche politica?». E aggiunge: «È come se i morti non esistessero più. Quando vedo la foto delle bare sui camion, penso al fatto che i morti di Bergamo al Tribunale dei ministri non hanno avuto voce». Insomma, la sottovalutazione sui rischi di quello che poteva succedere è evidente, ma spesso quando si ripensa a quei giorni ancora si parla di fatalità. Ci si dimentica che sarebbe dovuto esserci un protocollo da seguire. «Chi dice che la colpa è del buon Dio non vuole ammettere che l’Italia non era preparata ma avrebbe dovuto esserla. Per legge. Come se i disastri ambientali o sanitari non possano essere oggetto di investigazione. È “populismo giudiziario” cercare di ricostruire, ai fini di individuare eventuali responsabilità? È tra i compiti di una Procura o, come mi è stato contestato, non si doveva fare? Qui ribadisco che il materiale raccolto, come ho sempre sostenuto, non serviva solo a dare delle risposte giudiziarie, ma anche scientifiche, epidemiologiche, politiche. Gli italiani e i bergamaschi in particolare avevano e hanno il diritto di sapere come è stato affrontato l’annunciato pericolo della diffusione di una pandemia e sapere degli eventuali errori. Perché nel futuro maturi finalmente una cultura della preparedness anche al ministero». Si sanno un po’ di cose, ma non si sa tutto. «Si sa che il ministro della Salute Roberto Speranza aveva firmato per la chiusura e l’allora premier Giuseppe Conte non ha voluto. Mi chiedo, la gente di Bergamo non doveva sapere perché la medicina territoriale era allo sbando, i medici di base non intervenivano più, gli infermieri non sapevano neanche come indossare le tute e la gente moriva nelle ambulanze? La gente di Bergamo non doveva forse sapere come e chi aveva deciso di non fare i tamponi agli asintomatici, quando già si sapeva che in Cina erano ritenuti grandemente coinvolti nella diffusione del contagio? La gente di Bergamo non deve sapere perché non era stato aggiornato il piano pandemico del 2006 nonostante il successivo virus H1-N1? E che soprattutto il piano pandemico non era stato comunque attuato? Non si doveva sapere che una normativa del Parlamento Ue del 2013 imponeva le scorte di retrovirali, tute e mascherine e come organizzarsi per affrontare il rischio di una possibile pandemia?». Sono molte le domande senza risposta, ed è per questo che tutte le speranze sono riposte sulla commissione d’inchiesta parlamentare che, come chiesto da Chiappani, dovrebbe usare il materiale raccolto dalla Procura per trarre le sue libere conclusioni. Spazzando via le preoccupazioni di Sergio Mattarella sulle «iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del Parlamento alla magistratura».
Jeffrey Epstein (Getty Images)
Nel riquadro, Giancarlo Tulliani in una foto d'archivio
A Fontanellato il gruppo Casalasco inaugura l’Innovation Center, polo dedicato a ricerca e sostenibilità nella filiera del pomodoro. Presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini e il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta. L’hub sarà alimentato da un futuro parco agri-voltaico sviluppato con l’Università Cattolica.
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.
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Da sinistra in alto: Piero Amara, Catiuscia Marini, Sergio Sottani e Luca Palamara (Ansa)