
L’ambasciatore Alon Bar: «La commemorazione sia un monito contro l’indifferenza».
Quest'anno ricorrono i 78 anni dalla liberazione di Auschwitz-Birkenau, il luogo diventato simbolo dell'inferno in terra realizzato dai nazisti e dai loro collaboratori durante l'Olocausto. La data di liberazione del campo, il 27 gennaio, è stata scelta come giorno per commemorare le vittime dell'Olocausto in tutto il mondo. Ogni anno, nel tentativo di mantenere la promessa «Mai più», questa ricorrenza ci offre l'opportunità di studiare il contesto storico, politico e ideologico che ha preceduto l'Olocausto e ne ha permesso la realizzazione. Gli eventi dell'Olocausto non possono e non devono essere paragonati a nessun altro evento storico conosciuto. Tuttavia, è essenziale identificare i punti in comune tra gli eventi che hanno preceduto e caratterizzato l'Olocausto e altri eventi simili, al fine di riconoscere il volto del male, dargli un nome e agire con determinazione contro di esso, per assicurarsi che non accada «Mai più». Per noi e per chiunque abbia una bussola morale, quest'anno la Giornata della Memoria assume un significato nuovo e doloroso.
Come per l'Olocausto, i tragici eventi del 7 ottobre «non sono accaduti dal nulla», per citare il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Tuttavia, contrariamente alla vergognosa allusione del Segretario Generale a un fattore politico - che in qualche modo sminuisce l'orrore - il contesto del massacro non è politico, ma puramente antisemita e razzista. L'Olocausto è stato preceduto da molti eventi che hanno anticipato e preannunciato ciò che sarebbe accaduto: anni di incitamento istituzionale all'antisemitismo e di legittimazione del razzismo e dell'antisemitismo di vecchia data, passati attraverso un discorso pubblico accettato e azioni che includevano pogrom violenti, discriminazione ed esclusione, per culminare nella Soluzione Finale e nel genocidio.
Allo stesso modo, i terribili eventi del 7 ottobre «non sono accaduti dal nulla», ma sono stati preceduti da espressioni di antisemitismo eclatante e diffuso nella sfera pubblica - nei social media, nei cortei e nelle manifestazioni in tutto il mondo, e persino sul palcoscenico dell'ONU. L'organismo istituito dopo la Seconda guerra mondiale, per mantenere la pace e la sicurezza nel mondo e per salvaguardare i diritti umani. Ora, invece di provare a impedire che il genocidio si ripeta, l’ONU lo legittima.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite non è stato il primo, e a quanto pare non sarà l'ultimo, a confondere la libertà di parola con la libertà di incitare e diffondere odio, menzogne, negazionismi e distorsioni della verità. Questo annebbiamento è alla radice delle difficoltà di affrontare l'antisemitismo e la negazione dell'Olocausto, così come, incredibilmente, la distorsione e la negazione delle atrocità commesse il 7 ottobre, che sono state documentate dagli stessi assassini e trasmesse al mondo mentre accadevano. Il Segretario Generale dell'ONU e altri come lui non si sono lasciati turbare da immagini e filmati terrificanti trasmessi in diretta dalle telecamere dei terroristi. Siamo rimasti stupiti e costernati nell'assistere al fallimento morale dell'ONU e dei suoi alti funzionari, dal Segretario Generale e dai capi delle agenzie ONU come l'UNICEF, UN Women e l'OMS, nonché degli alti dirigenti dell'ONU.
L'odio verso gli ebrei è sempre esistito anche nelle precedenti generazioni - spesso sotterraneo, a volte esplicito - e si è manifestato soprattutto nei periodi di crisi. Viene spesso sfruttato per ragioni politiche e utilizzato persino in luoghi dove gli ebrei sono quasi assenti. L'odio, e la relativa demonizzazione e delegittimazione, nei confronti degli ebrei e di Israele è una realtà molto concreta nel mondo arabo e in gran parte dell’Occidente. In Europa e in America, come nel mondo arabo e musulmano, l'antisemitismo è alimentato dal pregiudizio, dall'intolleranza verso gli ebrei e dall'educazione all'odio, e include la legittimazione e persino la glorificazione degli attacchi terroristici contro gli ebrei e contro Israele. I detrattori antisemiti di Israele lo dipingono come uno Stato di apartheid e hanno una visione distorta del conflitto israelo-palestinese. Le manifestazioni in tutto il mondo che invocano «la liberazione della Palestina dal fiume al mare» stanno di fatto legittimando la pulizia etnica degli ebrei. Così come gli appelli per un'altra Intifada contro gli ebrei sono diventati una routine, e non sorprende che il libro di Adolf Hitler, Mein Kampf, sia stato trovato in traduzione araba in una abitazione di Gaza usata come laboratorio e deposito di armi per Hamas. Il testo è una "presenza" regolare nelle fiere del libro della regione. I sopravvissuti all'Olocausto che vivono nel Negev occidentale e in alcune delle 30 comunità attaccate il 7 ottobre, già sopravvissuti ai più terribili avvenimenti che si possano immaginare, si sono trovati ad assistere a orrori che il mondo aveva giurato di non voler rivedere mai più. L'ambasciatore tedesco in Israele, Steffan Seibert, ha espresso molto bene questo concetto in un'intervista rilasciata durante una visita al Centro medico Beilinson. Ha detto: «Di recente ho incontrato una donna anziana che è sopravvissuta all'Olocausto. È sopravvissuta all'Olocausto e ora deve sopportare questo orrore, ovvero che un suo nipote innocente è trattenuto contro la sua volontà da qualche parte a Gaza».
Oltre ai sopravvissuti all'Olocausto che sono scampati per un soffio agli eventi del 7 ottobre, altri sopravvissuti sono stati costretti a rivivere l'incubo. Alcuni di loro sono stati rapiti, altri hanno figli, nipoti e pronipoti che sono stati sequestrati o uccisi, i membri della loro comunità sono stati massacrati e le loro case distrutte e ridotte in cenere. Alcuni di loro non sanno nemmeno cosa sia successo ai propri cari. Una di queste è la sopravvissuta all'Olocausto Ruth Haran, di 87 anni, del Kibbutz Be'eri, il cui figlio è stato ucciso in quel sabato, mentre sette membri della sua famiglia sono stati rapiti e portati a Gaza. Un altro sopravvissuto al massacro del Kibbutz Be'eri è Haim Raanan, 87 anni, che si è nascosto nella stanza di sicurezza con suo nipote. Entrambi sono sopravvissuti, ma il ricordo delle scene a cui ha assistito non gli dà pace. Solo dopo l'arrivo dell'esercito e il salvataggio suo e del nipote, ha iniziato a comprendere la portata delle atrocità: più di 100 residenti del kibbutz erano stati uccisi o rapiti. «Per me è stato un altro Olocausto», ha raccontato. «Quello che mi è passato per la testa, forse non tutti vogliono sentirlo. Mi sono chiesto, in termini numerici, che cosa è peggio, sei milioni o 107? 107 è peggio, perché i 107 li ho percepiti in prima persona; i sei milioni li ho capiti dopo, quando sono cresciuto».
Miki e Tova Stern hanno perso il loro figlio Oren in quel terribile giorno. Era un membro della prima squadra di soccorso a Netiv Ha'asara. Miki non ama fare paragoni. «L'Olocausto è stato ora per ora, giorno per giorno, settimana per settimana, mese per mese, per cinque anni. Se c'è qualcosa che è rimasto impresso nell'anima dei sopravvissuti all'Olocausto è la promessa di 'Mai più'. Una promessa che nel corso degli anni abbiamo forse trattato con troppa leggerezza; forse non ne abbiamo compreso appieno il significato».
Permettere che le espressioni antisemite siano considerate una parte legittima del discorso politico è una minaccia per i valori democratici liberali e per il futuro del mondo intero. È fondamentale affermare in modo chiaro e inequivocabile che la guerra iniziata il 7 ottobre 2023 non è una guerra per il controllo del territorio o per la libertà; è in gioco l'esistenza stessa della presenza ebraica in questa terra che si estende «dal fiume al mare».
Quest’anno più che mai, la Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto deve servire a ricordare con forza ciò che può accadere a un mondo che resta a guardare.