Morto Colin Powell: la colomba che diventò falco

Morto Colin Powell: la colomba che diventò falco
Colin Powell (Ansa)

È morto oggi, all'età di 84 anni, il generale statunitense Colin Powell.

«Il generale Colin L. Powell, ex segretario di Stato degli Stati Uniti e capo di Stato maggiore congiunto, è morto questa mattina a causa di complicazioni dovute al Covid 19», ha scritto la famiglia Powell su Facebook. «Abbiamo perso un marito, un padre, un nonno e un grande americano straordinari e amorevoli», ha aggiunto il post, specificando che il generale fosse vaccinato.

Powell è stato consigliere per la sicurezza nazionale ai tempi di Ronald Reagan e presidente dello Stato maggiore congiunto sotto George H. W. Bush, per poi diventare il primo segretario di Stato afroamericano della storia statunitense durante il primo mandato del figlio di quest'ultimo, George Walker. Repubblicano di area centrista, è stato considerato più volte un possibile candidato alla presidenza degli Stati Uniti (sia nel 1996 che nel 2000), ma ha alla fine sempre evitato di scendere in campo per la Casa Bianca. Durante il suo servizio da capo di Stato maggiore congiunto e negli anni della presidenza Clinton, Powell si distinse per una politica di stampo realista e conseguentemente polemica nei confronti dell'interventismo militare umanitario all'epoca sostenuto dai democratici.

La dottrina che portava il suo nome –elaborata ai tempi della guerra del Golfo– vincolava d'altronde strettamente ogni intervento militare agli interessi nazionali vitali e a una vasta coalizione di partner. Una linea, questa, che –durante la presidenza di Bush jr– determinò degli attriti con l'allora segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld. Costui riteneva l'approccio di Powell troppo limitato per un contesto internazionale che si stava facendo sempre più caotico. L'allora capo del Pentagono preferiva invece puntare su un esercito agile e in grado di spostarsi rapidamente da uno scenario a un altro, non rinunciando ad adottare un approccio improntato all'unilateralismo. Al di là di queste turbolenze, Powell –inizialmente restio a rovesciare il regime di Saddam Hussein– ha successivamente visto il proprio nome legato alla guerra in Iraq, soprattutto dopo che –davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite– difese le ragioni dell'intervento militare con delle prove che si sarebbero rivelate poi fallaci.

Lasciato il Dipartimento di Stato nel 2005, ha lasciato trapelare una certa freddezza nei confronti di Bush jr, mentre nel 2008 si avvicinò notevolmente a Barack Obama. Pur restando nel Partito repubblicano, Powell si è rivelato uno dei più aspri critici di Donald Trump e, l'anno scorso, annunciò che avrebbe votato per il democratico Joe Biden. L'addio formale all'elefantino, per passare tra gli indipendenti, è invece arrivato lo scorso gennaio, dopo l'irruzione in Campidoglio. Con la morte di Powell, avvenuta pochi mesi dopo quella di Rumsfeld, se ne va un altro protagonista di una controversa stagione della politica estera statunitense. Nello stesso anno, tra l'altro, della catastrofica conclusione del conflitto in Afghanistan.

Con la vittoria dell’icona Mamdani la sinistra rimarrà una minoranza
Zohran Mamdani (Ansa)
Le battaglie ideologiche fondamentali per spostare i voti alle elezioni. Green e woke usati per arruolare i giovani, che puntano a vivere le loro esistenze in vacanza nelle metropoli. Ma il sistema non può reggere.

Uno degli aspetti più evidenti dell’instaurazione dei due mondi sta nella polarizzazione elettorale tra le metropoli e le aree suburbane, tra quelle che in Italia si definiscono «città» e «provincia». Questa riflessione è ben chiara agli specialisti da anni, rappresenta un fattore determinante per impostare ogni campagna elettorale almeno negli ultimi vent’anni, ed è indice di una divisione sociale, culturale ed antropologica realmente decisiva.

Il fatto che a New York abbia vinto le elezioni per la carica di sindaco un musulmano nato in Uganda, di origini iraniane, marxista dichiarato, che qualche mese fa ha fatto comizi nei quali auspicava il «superamento della proprietà privata» e sosteneva che la violenza in sé non esista ma sia sempre un «costrutto sociale», così come il genere sessuale, ha aperto un dibattito interno alla Sinistra.

«In cella per un video sui migranti a zonzo»
Jean-Eudes Gannat
L’attivista francese Jean-Eudes Gannat: «È bastato documentare lo scempio della mia città, con gli afghani che chiedono l’elemosina. La polizia mi ha trattenuto, mia moglie è stata interrogata. Dietro la denuncia ci sono i servizi sociali. Il procuratore? Odia la destra».

Jean-Eudes Gannat è un attivista e giornalista francese piuttosto noto in patria. Nei giorni scorsi è stato fermato dalla polizia e tenuto per 48 ore in custodia. E per aver fatto che cosa? Per aver pubblicato un video su TikTok in cui filmava alcuni immigrati fuori da un supermercato della sua città.

«Quello che mi è successo è piuttosto sorprendente, direi persino incredibile», ci racconta. «Martedì sera ho fatto un video in cui passavo davanti a un gruppo di migranti afghani che si trovano nella città dove sono cresciuto. Sono lì da alcuni anni, e ogni sera, vestiti in abiti tradizionali, stanno per strada a chiedere l’elemosina; non si capisce bene cosa facciano.

Confindustria rimpiange i fondi che però anche lei chiese di tagliare
Emanuele Orsini (Ansa)
Dopo aver proposto di ridurre le sovvenzioni da 6,3 a 2,5 miliardi per Transizione 5.0., Viale dell’Astronomia lamenta la fine dei finanziamenti. Assolombarda: «Segnale deludente la comunicazione improvvisa».

Confindustria piange sui fondi che aveva chiesto lei di tagliare? La domanda sorge spontanea dopo l’ennesimo ribaltamento di fronte sul piano Transizione 5.0, la misura con dote iniziale da 6,3 miliardi di euro pensata per accompagnare le imprese nella doppia rivoluzione digitale ed energetica. Dopo mesi di lamentele sulla difficoltà di accesso allo strumento e sul rischio di scarse adesioni, lo strumento è riuscito nel più classico dei colpi di scena: i fondi sono finiti. E subito gli industriali, che fino a ieri lo giudicavano un fallimento, oggi denunciano «forte preoccupazione» e chiedono di «tutelare chi è rimasto in lista d’attesa».

L’Ue deve fare da leva sull’export e migliorare l’accordo col Mercosur
Emmanuel Macron (Ansa)
L’intesa risponderebbe al bisogno europeo di terre rare sottraendoci dal giogo cinese.

Il tema è come rendere l’Ue un moltiplicatore di vantaggi per le nazioni partecipanti. Mettendo a lato la priorità della sicurezza, la seconda urgenza è spingere l’Ue a siglare accordi commerciali nel mondo come leva per l’export delle sue nazioni, in particolare per quelle che non riescono a ridurre la dipendenza dall’export stesso aumentando i consumi interni e con il problema di ridurre i costi di importazione di minerali critici, in particolare Italia e Germania. Tra i tanti negoziati in corso tra Ue e diverse nazioni del globo, quello con il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay ed Uruguay) è tra i più maturi (dopo 20 anni circa di trattative) e ha raggiunto una bozza abbastanza strutturata.

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