Il quale pretende di risolvere con il multiculturalismo i conflitti nati da un'immigrazione di massa, selvaggia o ufficiale, e sempre meno disposta a farsi assimilare al vecchio «modello francese».
Mostrare che il multiculturalismo è l'argomento totalitario con il quale il potere post-istorico tenta di far stare insieme popoli incompatibili, distrugge il sapere classico, scristianizza la Chiesa, fa accedere - grazie al «genere» e all'antirazzismo - delle minoranze pretesamente oppresse a uno statuto culturale dominante – ecco che ciò basta a suscitare due forme di castigo.
Lo scrittore può, per prima cosa, essere privato delle sue tribune: Le Point, l'ultima rivista che mi ha chiesto degli articoli, ha finito per ritenermi infrequentabile in seguito a un articolo pubblicato sul mio blog, nel quale tentavo di pensare ciò che ha di simbolico, dal punto di vista storico e sociale, il fatto che una legge sul lavoro, che suscita contro di sé le forze del goscismo culturale alleato al neo-stalinismo sindacale, porti il nome di un ministro marocchino: El Khomry.
Facevo anche notare che il ministro dell'educazione nazionale, la signora Belkacem, è anch'essa marocchina e che e che questi due nomi non erano privi di significato nel contesto della guerra civile: questa sottolineatura è stata giudicata sacrilega.
La mannaia si è abbattuta; e poiché non c'è, in Francia, un vero giornale di opposizione, lo scrittore è spesso ridotto al silenzio. Il politicamente corretto francese consiste principalmente nel non comprendere ciò che è «urlante di verità», come dice magnificamente un'espressione francese. Lo scrittore che fa eco all'urlo di verità vedrà dunque i suoi libri, ormai pubblicati da piccoli editori, passati sotto silenzio nella stampa ufficiale. Egli potrà essere infine trascinato in tribunale da quegli apparati ideologici di Stato che sono le leghe antirazziste, che hanno fatto condannare lo scrittore Renaud Camus per «incitazione all'odio razziale» e il giornalista Eric Zemmour per aver dichiarato che le prigioni francesi sono in maggioranza popolare di Arabi e di Neri. Houellebecq, dal canto suo, ha ottenuto l'archiviazione 15 anni fa, dopo aver dichiarato che l'islam è la religione «più stupida».
Non possiamo essere sicuri che oggi, invece, non sarebbe condannato, visti i progressi dell'islamizzazione nazionale, in virtù dei quali evocare i numerosi stupri commessi su delle donne italiane da soldati musulmani, durante la liberazione dell'Italia, sarebbe per esempio impossibile.
E sto parlando solo di persone celebri, non degli attivisti che si ritrovano davanti alla celebre 17esima camera correzionale del tribunale di Parigi come davanti ai tribunali moscoviti dell'era staliniana, dato che la Francia è il solo Paese sovietico che abbia avuto successo, come dicono nelle cancellerie. E c'è pure di peggio: «patria dei diritti dell'uomo, della libertà, della democrazia», la Francia è il Paese in cui il pensiero, quando non è divenuto «unico», è non solamente sorvegliato, ma anche terrorizzato dai commissari politici, che vanno dal più piccolo giornalista di provincia al ministro della Cultura, dai grandi editori ai consiglieri del capo di Stato, passando per gli innumerevoli domestici del goscismo culturale quali sono gli scrittori che accettano di auto-censurarsi e di scrivere in una lingua deculturata.
È per aver denunciato le relazioni causa/effetto della mediocrità intellettuale della Francia e del multiculturalismo al quale essa si è convertita che io sono stato bandito dal cuore del sistema editoriale, dopo ciò che si è soliti chiamare un «caso». Ovvero uno scandalo mediatico al quale il nome del dissidente resterà per sempre attaccato e che può, lo ripeto, uccidere simbolicamente. Ricordiamo il caso Gouguenheim, con il quale, nel 2008, i lacché del nuovo ordine morale avevano tentato di screditare uno storico che aveva osato, nel suo libro Aristotele a Mont Saint-Michel, mettere in discussione l'apporto degli Arabi nella trasmissione dell'eredità classica.
La violenza di questi casi è al livello della menzogna istituzionale alla quale collabora la quasi totalità dell'intellighenzia e della nomenklatura mediatica. Ciononostante, il goscismo culturale è un mostro capace di produrre i suoi ribelli istituzionali per screditare quelli veri con il nome di «reazionari» o «fascisti»; esso può anche recuperarne uno autentico e servirsene come alibi nel corso di un «dibattito di idee» in cui si dibatte di tutto tranne che dell'essenziale.
In tutto ciò, le icone del goscismo culturale continuano a stare al calduccio e, come Badiou, a fare l'elogio delle Guardie Rosse della Rivoluzione culturale che ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone, sotto l'occhio languido di intellettuali sempre al potere. Non perdiamo di vista la parola «culturale»: in questa post-istoria in cui gli attori hanno un sorriso tanto deforme che infelice, la Cultura è divenuta la moneta principale di un'altra morte: quella della civiltà europea, che è cominciata quarant'anni fa nel Vicino Oriente, dove lo scrittore giordano Nahed Hattar è stato appena assassinato vicino a un tribunale davanti al quale doveva comparire per «incitamento al dissenso religioso».