
Il ministro dell'Economia, con il sostegno di Sergio Mattarella e dei grand commis, si mette di traverso alle riforme più attese dal popolo. I suoi referenti non sono Lega e M5s, ma i tecnocrati che non accettano il verdetto delle urne. E fanno opposizione al posto del Pd.ed è andato a toccare con cattiveria e falsità il nervo più delicato. Questa terza ipotesi appare la più probabile. Ma allora viene naturale chiedersi: perché lo fa? È istinto suicida? Dedizione a Leopold von Sacher-Masoch? Scarso senso di squadra?Macché: Tria il senso della squadra ce l'ha fortissimo. Il fatto, però, è che la sua squadra non è quella che hanno votato gli italiani e che adesso, piaccia o non piaccia, forma la maggioranza di governo. La sua squadra è la tecnocrazia, la struttura dei burocrati, l'oligarchia dei sedicenti migliori, che grazie alla protezione del Quirinale si sente oggi più che mai investita della missione di decidere al posto dei rappresentanti del popolo che cosa è buono e che cosa no, che cosa si può fare e che cose invece è vietato. Di mettere, insomma, la democrazia sotto tutela in nome di un potere sommo che non si capisce dove nasca, chi lo gestisca, in nome di chi. Ma di cui noi dovremmo fidarci ciecamente perché (ci dicono) esso sa meglio di noi quello che ci serve. Quello che è giusto e quello che è sbagliato. Che cosa possiamo avere e che cosa no.Fateci caso: mai come in queste ore si sente esaltare il ruolo dei boiardi di Stato, capaci di opporsi (in mancanza di altra opposizione) alle decisioni della maggioranza politica. Il Pd si sta estinguendo? Forza Italia si arrabatta? Liberi e uniti sono scomparsi? Non preoccupatevi: la linea Maginot contro la politica del governo viene tirata su dai burocrati di Palazzo che non a caso vengono subito beatificati sul Giornale unico nazionale. Il Corriere della Sera, per esempio, non perde occasione per compilare ritratti commossi del «super ragioniere» Daniele Franco: «Me lo devono solo dire e vado subito sulle Dolomiti», fa sapere quest'ultimo, inventandosi una specie di Aventino in salsa bellunese. Mentre Il Sole 24 Ore pubblica una splendida lettera del direttore del centro studi di Confindustria, Andrea Montanino, in cui si fa l'elogio della «tecnocrazia», dicendo che tocca a essa suggerire alla politica che cosa fare («soprattutto se la politica manca di esperienza e di competenza specifica»). Conclusione del Sole: «Facciamo una campagna per i tecnici». Conclusione del Corriere: in ogni caso, qualsiasi cosa dicano Luigi Di Maio e Matteo Salvini, state tranquilli, «i conti non cambieranno». Ci pensano il super ragionere e la sua Boiardi band.Questo concetto è stato espresso con chiarezza anche da uno dei più importanti editorialisti del quotidiano di via Solferino, Massimo Franco. In collegamento con Maria Latella, durante la rassegna stampa di Radio 24 di ieri mattina, ha detto testualmente: «Non credo che sia nella disponibilità dell'attuale maggioranza decidere il ministro dell'Economia». Non è nelle disponibilità, capito? E il motivo? Semplice: «Abbiamo capito che chi conta, oggi, non è chi sta a Palazzo Chigi o al ministero dell'Interno o al ministero del Lavoro, ma chi sta al ministero dell'Economia». E dunque, laddove si prendono le decisioni vere, gli eletti dal popolo non possono arrivare. C'è qualcuno che decide per loro. C'è qualcuno che si sostituisce alle istituzioni democratiche e ai governi regolarmente eletti. Verrebbe da capire in nome di che cosa. E perché.Ma in fondo quello che sta succedendo in Italia non è molto diverso da quello che svelò l'anonimo membro dell'amministrazione americana, qualche settimana fa, nel famoso articolo sul New York Times: ci sono «persone coraggiose» che impediscono al presidente Donald Trump di fare quello che egli ritiene giusto fare. Cioè ciò per cui è stato eletto. Perché le «persone coraggiose», è chiaro, contano più del presidente e della maggioranza del popolo americano. Così come Tria, il ragioniere, i tecnocrati sotto la guida del presidente Sergio Mattarella contano più del governo e del popolo italiano. Chiaro il concetto? La democrazia va bene finché si sta lontano dalle decisioni importanti. Quando si deve decidere davvero, quando si tratta di cambiare sul serio, quando si arriva ai nodi nevralgici, fermi tutti, macchine indietro. Non scherziamo. I cittadini? Per carità: non sanno quello che vogliono. Vanno messi sotto tutela. Vanno trattati come bambini al luna park, un lecca lecca ogni tanto, ma quali sono le giostre giuste su cui salire lo decide mamma tecnocrazia. E i loro rappresentanti? Idem. Possono dilettarsi con i ministeri che non contano, possono giocare un po' a fare i ministri in giro per l'Italia, possono rilasciare interviste e dichiarazioni, ma non è che poi pensano davvero di entrare nella stanza dei bottoni? Di sedersi sulle seggiole dove si comanda realmente? Macché. Lì, ovviamente, c'è spazio solo per i poteri giusti, quelli unti dall'alto, quelli che sanno e possono, e tutto decidono, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Resta solo un dubbio, a questo punto: se tanto decidono tutto loro, in ogni caso, perché farci perdere ancora tutto quel tempo per votare?
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L’episodio è avvenuto a Lucca: la donna alla guida del bus è stata malmenata da baby ubriachi: «Temo la vendetta di quelle belve».
Città sempre più in balia delle bande di stranieri. È la cronaca delle ultime ore a confermare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti: non sono solamente le grandi metropoli a dover fare i conti con l’ondata di insicurezza provocata da maranza e soci. Il terrore causato dalle bande di giovanissimi delinquenti di origine straniera ormai è di casa anche nei centri medio-piccoli.
Quanto accaduto a Lucca ne è un esempio: due minorenni di origine straniera hanno aggredito la conducente di un autobus di linea di Autolinee toscane. I due malviventi sono sì naturalizzati italiani ma in passato erano già diventati tristemente noti per essere stati fermati come autori di un accoltellamento sempre nella città toscana. Mica male come spottone per la politica di accoglienza sfrenata propagandata a destra e a manca da certa sinistra.
Zohran Mamdani (Ansa)
Le battaglie ideologiche fondamentali per spostare i voti alle elezioni. Green e woke usati per arruolare i giovani, che puntano a vivere le loro esistenze in vacanza nelle metropoli. Ma il sistema non può reggere.
Uno degli aspetti più evidenti dell’instaurazione dei due mondi sta nella polarizzazione elettorale tra le metropoli e le aree suburbane, tra quelle che in Italia si definiscono «città» e «provincia». Questa riflessione è ben chiara agli specialisti da anni, rappresenta un fattore determinante per impostare ogni campagna elettorale almeno negli ultimi vent’anni, ed è indice di una divisione sociale, culturale ed antropologica realmente decisiva.
Il fatto che a New York abbia vinto le elezioni per la carica di sindaco un musulmano nato in Uganda, di origini iraniane, marxista dichiarato, che qualche mese fa ha fatto comizi nei quali auspicava il «superamento della proprietà privata» e sosteneva che la violenza in sé non esista ma sia sempre un «costrutto sociale», così come il genere sessuale, ha aperto un dibattito interno alla Sinistra.
Jean-Eudes Gannat
L’attivista francese Jean-Eudes Gannat: «È bastato documentare lo scempio della mia città, con gli afghani che chiedono l’elemosina. La polizia mi ha trattenuto, mia moglie è stata interrogata. Dietro la denuncia ci sono i servizi sociali. Il procuratore? Odia la destra».
Jean-Eudes Gannat è un attivista e giornalista francese piuttosto noto in patria. Nei giorni scorsi è stato fermato dalla polizia e tenuto per 48 ore in custodia. E per aver fatto che cosa? Per aver pubblicato un video su TikTok in cui filmava alcuni immigrati fuori da un supermercato della sua città.
«Quello che mi è successo è piuttosto sorprendente, direi persino incredibile», ci racconta. «Martedì sera ho fatto un video in cui passavo davanti a un gruppo di migranti afghani che si trovano nella città dove sono cresciuto. Sono lì da alcuni anni, e ogni sera, vestiti in abiti tradizionali, stanno per strada a chiedere l’elemosina; non si capisce bene cosa facciano.
Emanuele Orsini (Ansa)
Dopo aver proposto di ridurre le sovvenzioni da 6,3 a 2,5 miliardi per Transizione 5.0., Viale dell’Astronomia lamenta la fine dei finanziamenti. Assolombarda: «Segnale deludente la comunicazione improvvisa».
Confindustria piange sui fondi che aveva chiesto lei di tagliare? La domanda sorge spontanea dopo l’ennesimo ribaltamento di fronte sul piano Transizione 5.0, la misura con dote iniziale da 6,3 miliardi di euro pensata per accompagnare le imprese nella doppia rivoluzione digitale ed energetica. Dopo mesi di lamentele sulla difficoltà di accesso allo strumento e sul rischio di scarse adesioni, lo strumento è riuscito nel più classico dei colpi di scena: i fondi sono finiti. E subito gli industriali, che fino a ieri lo giudicavano un fallimento, oggi denunciano «forte preoccupazione» e chiedono di «tutelare chi è rimasto in lista d’attesa».






